Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 11/01/2013, a pag. 44, l'articolo di Nina Furstenberg dal titolo " Democrazia e shari'a. 'Sia nella costituzione'. 'No, lo Stato è laico' ".
Abdullahi An-Na’im Tariq Ramadan
Nina Furstenberg
Come possa Nina Furstenberg, nelle righe di presentazione, definire Tariq Ramadan 'intellettuale e riformista musulmano', è un mistero.
E' 'riformista' una persona che crede che sia giusto che la shari'a diventi fonte per la costituzione in Egitto ?
Sempre nelle prime righe, Furstenberg scrive di un qualcosa che non esiste, le 'nuove democrazie arabe'. La Tunisia, la Libia, l'Egitto sarebbero democrazie ? Furstenberg era distratta quando Morsi, poche settimane fa, ha accentrato tutti i poteri nelle proprie mani ?
Il fatto che i vecchi dittatori siano caduti e che ci siano state elezioni non significa automaticamente che il prodotto sia 'democrazia'. Anche Hitler nel '33 vinse le elezioni democraticamente. Nessuno, però, si sogna di descriverlo come leader democratico.
Nel corso del dibattito, come si può leggere nel pezzo che segue, Tariq Ramadan difende (anche se in maniera ambigua) la shari'a. Non che la cosa ci sorprenda, conosciamo la doppiezza di Ramadan e la sua abilità nel dissimulare la sua ideologia fondamentalista.
Arriveranno ad accorgersene anche i laudatores nostrani del 'pensatore' di Ginevra ?
Ecco il pezzo:
Tariq Ramadan e Abdullahi An-Na’im, due tra i più noti intellettuali e riformisti musulmani contemporanei, sono stati posti di fronte l’uno all’altro da Reset-Dialogues on Civilizations per discutere della shari’a, la legge islamica, e se debba avere un posto e quale nelle Costituzioni delle nuove democrazie arabe.
An-Na’im
Per quanto riguarda i rapporti tra shari’a e diritto, ritengo che la legge dello Stato non debba mai configurarsi come shari’a. La legge dovrebbe essere laica e come tale deve essere riconosciuta. Solo così una legge può essere discussa e modificata senza intaccare le convinzioni religiose della popolazione. La shari’a non deve essere legittimata dallo Stato: come ordinamento normativo dell’Islam, vale a dire come somma dei doveri di un musulmano, la shari’a — e proprio questo è il suo valore aggiunto — deve poter essere praticata volontariamente. Introdurla nel sistema costituzionale e normativo di uno Stato equivarrebbe a imporla ai cittadini, travisandone la natura e il valore eminentemente religiosi. Temo una shari’a imposta da un’istituzione statale che può essere o diventare coercitiva.
Ramadan
Il punto è questo: se da un lato per shari’a si intende un percorso verso la fede costituito da principi e obiettivi, dall’altro dobbiamo ricordare che tutto ciò che a essa si aggiunga in termini di leggi e di apparati normativi non è che una costruzione dell’uomo. Quando qualcuno mi dice che la shari’a è il suo principale punto di riferimento, la sua fonte di ispirazione, la domanda che io gli rivolgo è: ma quale tipo di ispirazione ricavi dalla shari’a, sono leggi da applicare o obiettivi da raggiungere? Se la risposta è “leggi”, allora il riferimento alla shari’a è destinato a non funzionare perché ne implicherebbe l’imposizione di tipo normativo sugli altri. Sarebbe la strada più breve verso una teocrazia, e non verso la democrazia. In Egitto è in corso un dibattito molto acceso sul significato di un “riferimento alla shari’a” nella Costituzione. I cittadini copti, giustamente, si chiedono in che modo un riferimento del genere nella carta costituzionale possa garantire loro gli stessi diritti, gli stessi doveri e la stessa libertà di tutti gli altri cittadini. [...]
An-Na’im
Se la Costituzione cita la shari’a, e questo per te non fa alcuna differenza, perché farlo?
Ramadan
Perché per il musulmano fa una differenza sapere che il rispetto per gli altri deriva proprio dal suo principale punto di riferimento.
An-Na’im
Ma non puoi dire che il riferimento alla shari’a non determinerebbe differenze tra copti e musulmani.
Ramadan
[...] La differenza c’è, e sta nel fatto che in un paese a maggioranza musulmana non puoi convincere la gente a seguire un progetto politico se questo viene avvertito come estraneo al proprio ordine di riferimento. [...]
An-Na’im
Ci sono molti paesi a maggioranza musulmana, come il Senegal, il Mali e il Gambia, la cui Costituzione è esplicitamente laica. I musulmani in India, che rappresentano la seconda popolazione musulmana più numerosa al mondo, vivono in uno Stato laico. Non credo affatto che i musulmani si ribellino a uno Stato solo perché è laico. [...]
Ramadan
Ma è la comunità che forma lo Stato ed elegge il governo, quindi è meglio affrontare in maniera critica il problema del riferimento alla shari’a nella sua interezza cercando di stabilirne una volta per tutte il significato profondo. Dirò di più: è proprio nel nome della shari’a che dobbiamo costruire un sistema legale che non faccia distinzioni tra i cittadini. “Siamo uguali in nome della nostra religione” è un’esortazione, un principio che nei paesi a maggioranza musulmana risulterà molto più efficace del modello che tu proponi.
An-Na’im
Se la inserisci oggi nelle Costituzioni essa sarà compresa nel suo significato attuale, e non in quello che le attribuisci tu. [...] I musulmani che oggi convivono in uno Stato con altri non musulmani non sono i destinatari del comandamento che prevede le hudud, le pene corporali, un comandamento rivolto solo ai credenti ed estraneo al mondo attuale. È ovvio che non può essere applicato da un punto di vista normativo in uno Stato in cui convivano musulmani e non. Le hududnon devono essere legittimate dallo Stato. La legge è laica e per questo deve essere un prodotto della ragione e del discorso civile, per cui respingo con forza il concetto di immutabilità. Se vuoi proporre una legge, devi difenderla e spiegarla in un modo che non si appelli all’autorità religiosa: non puoi pretendere di legittimarla affermando che “è così che deve andare perché è Dio che lo vuole”. Un crimine non è un peccato; un comportamento, da due punti di vista diversi, può essere entrambi, ma i due concetti non sono affatto equivalenti.
Ramadan
È vero che la shari’a e tutte le regole annesse vengono interpretate dall’uomo, ma ci sono diversi livelli di razionalità giuridica, diverse sfumature e varianti interpretative. Il punto è dire ai musulmani “sì, nel Corano ci sono riferimenti alle pene corporali e a quella di morte, e nella tradizione profetica ci sono due o tre testi che parlano di lapidazione. Ma la nostra interpretazione deve basarsi non solo sul contenuto letterale, ma sull’essenza e sugli obiettivi del Corano stesso”. [...] Da musulmano mi trovo ad affrontare testi che parlano letteralmente di “tagliare la mano dell’uomo e della donna”. Non può essere difesa l’applicazione di queste pene con la scusa che si sta rispettando il testo, non se si è fedeli al Corano e se si è compreso che i suoi obiettivi sono la giustizia, il rispetto degli esseri umani e la dignità, vale a dire l’esatto opposto della tortura. [...] Quando mi rivolgo all’Occidente vorrei rimuovere fattori di ansia, ma quando mi rivolgo ai musulmani e ai paesi a maggioranza musulmana vorrei ritrovare in essi anche un certo senso di coerenza, apertura e benessere. Non credo che i musulmani saranno disposti ad ascoltarti se l’unico obiettivo è tranquillizzare l’Occidente.
An-Na’im
Non sto cercando di appagare l’Occidente. Dico le stesse cose al Cairo, in Indonesia o ovunque mi trovi. Che i musulmani siano la maggioranza o una minoranza non importa: la shari’a non dev’essere implementata dallo Stato. Ci sono venti milioni di musulmani che vivono in Europa, si tratta di una preoccupazione fondamentale per chi ci vive, musulmano o non.
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