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La Stampa Rassegna Stampa
09.01.2013 La nomina di Hagel al Pentagono piace all'Iran
un motivo in più per dubitare che sia stata una buona scelta. Cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 09 gennaio 2013
Pagina: 16
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Teheran applaude Hagel al Pentagono»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/01/2013, a pag. 16, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Teheran applaude Hagel al Pentagono".


Maurizio Molinari, Mahmoud Ahmadinejad, Chuck Hagel

Teheran vede con favore la designazione di Chuck Hagel alla guida del Pentagono e la decisione di dirlo ad alta voce rilancia le ipotesi di una trattativa bilaterale sul nucleare con l’amministrazione Obama.

È il portavoce del ministero degli Esteri della Repubblica Islamica, Ramin Mehmanparast, ad affermare che la scelta di Obama di nominare Hagel «può portare a migliorare le relazioni fra Teheran e gli Stati Uniti». Hagel può introdurre «cambiamenti concreti nella politica estera americana» aggiunge il portavoce, sottolineando che «se gli Stati Uniti rispetteranno i diritti di altre nazioni queste cambieranno l’approccio verso gli Stati Uniti».

La scelta da parte di Mehmanparast di adoperare il termine «rispetto» contiene un messaggio alla Casa Bianca perché fu proprio Obama ad usarlo, dopo l’insediamento nel gennaio 2009, auspicando un miglioramento delle relazioni con Teheran poi non avvenuto.

Il passo iraniano si spiega con il fatto che Hagel quando era al Senato di Washington per il Nebraska in più occasioni non votò provvedimenti sanzionatori nei confronti dell’Iran e in seguito si è detto a favore di un miglioramento delle relazioni bilaterali. Si tratta di posizioni destinate a complicare il processo di ratifica da parte del Congresso della nomina al Pentagono ma Teheran vi vede un segnale di possibile schiarita con Washington.

Il tutto coincide con una fase che vedrà l’amministrazione Obama – prevede l’analista Robert Satloff del Washington Institute – «offrire in tempi stretti a Teheran un grande scambio fra nucleare e sanzioni» nel tentativo di scongiurare l’attacco militare considerato «una reale possibilità» da Dennis Ross e Elliott Abrams - protagonisti della politica mediorientale americana negli ultimi 25 anni - in ragione del fatto che l’Iran potrebbe raggiungere quest’anno la soglia critica di accumulazione di materiale fissile per realizzare l’atomica.

L’ipotesi del «grande scambio» di cui Satloff parla sta emergendo dalla preparazione del nuovo incontro fra l’Iran e il gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna più la Germania) atteso entro fine mese. Fonti diplomatiche spiegano al «Washington Post» che la proposta a Teheran sarà di «fermare l’arricchimento dell’uranio al 20 per cento», ovvero il passo prima dell’uranio militare, di chiudere l’impianto sotterraneo di Fordow dove avviene e di trasferire all’estero l’uranio già arricchito in cambio di importanti concessioni economiche grazie all’allentamento delle sanzioni dell’Onu.

Al momento Teheran pone ostacoli, arrivando a voler includere nel negoziato anche un accordo sulla risoluzione della crisi in Siria, ma dall’amministrazione Obama trapela la convinzione che un contatto diretto potrebbe contribuire a progredire verso un «grande scambio».

Ad avvalorare tale convinzione di Washington c’è quanto sta avvenendo in Iran dove il ministro del Petrolio, Rostam Qasemi, ha ammesso che produzione e vendite di greggio sono diminuite del 40% nel 2012 a causa delle sanzioni internazionali. Per l’Opec l’export iraniano di petrolio è sceso da 2,4 milioni a 1 milione di barili al giorno e ciò può causare seri problemi di bilancio a una nazione che deve proprio ai prodotti energetici le maggiori entrate. Per evitare la bancarotta Teheran potrebbe essere obbligata a raddoppiare il cambio con il dollaro – da 12,260 a 25 mila rials – aggravando però la spirale dell’inflazione che sta già flagellando l’economia.

A fronte dell’ottimismo di Teheran su Hagel vi è l’estrema cautela di Gerusalemme. Il presidente della Knesset, il Parlamento israeliano, Reuven Rivlin ha detto «dobbiamo essere preoccupati ma non intimoriti dalle idee isolazioniste di Hagel perché potrebbero avere un impatto su di noi». Per Rivlin tuttavia «un ministro non fa la differenza perché in America a decidere la politica è il presidente». I componenti del governo di Benjamin Netanyahu hanno evitato commenti su Hagel con l’eccezione di Danny Ayalon, vice ministro degli Esteri, che ha detto di «averlo incontrato spesso» e non avere dubbi sul fatto che «considera Israele un alleato».

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