Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 08/01/2013, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Ecco cosa c’è dietro alla guerra fra Netanyahu e i “Gatekeepers” ".
Giulio Meotti
Bibi Netanyahu
Roma. “Shin Bet Country”. Così è anche definito Israele. Il paese dello Shin Bet, l’onnipotente servizio segreto che ha in mano le chiavi della sicurezza quotidiana dello stato ebraico. Nel primo decennio di vita d’Israele l’esistenza stessa di questa agenzia era ignota ai cittadini. E fino a qualche anno fa non si conosceva neppure il nome dei suoi più alti funzionari, ma soltanto le loro iniziali. Sono “The gatekeepers”, i guardiani, dal titolo del docufilm di Dror Moreh vincitore di numerosi premi, in cui parlano per la prima volta i cinque capi ancora in vita del servizio segreto. Nella pellicola i responsabili dello Shin Bet, oltre a raccontarsi per la prima volta di fronte alle telecamere, mettono in guardia gli israeliani dai rischi della prolungata occupazione militare dei Territori ed esigono dalla classe politica israeliana una soluzione negoziata della questione palestinese. C’è chi dice che si tratta di un’operazione politica contro il premier Benjamin Netanyahu a ridosso delle elezioni che si terranno il 22 gennaio. Il regista, Dror Moreh, è anche una firma di Yedioth Ahronoth, quotidiano da settimane impegnato in una campagna contro la rielezione di “Bibi”. Ma tra i capi dello Shin Bet e il primo ministro Netanyahu scorre cattivo sangue fin dall’assassinio di Yitzhak Rabin nel 1995. Allora Carmi Gillon, l’intellettuale gerosolimitano laburista che comandava lo Shin Bet durante l’attentato, dichiarò che dirigenti della destra israeliana – fra cui l’ex premier Netanyahu e Ariel Sharon – erano indirettamente responsabili dell’uccisione del primo ministro per aver sobillato contro l’accordo con l’Olp. Lo Shin Bet, il cui motto è “Magen Ve- Lo Yera’e”, scudo invisibile, è un mito vivente in Israele. Persino i famigliari non sanno dove lavorino gli agenti, che cosa facciano, scompaiono d’improvviso e poi riappaiono. La gente tributa loro rispetto e timore perché corrono spesso immensi rischi personali infiltrandosi nei ranghi del terrore. Per questo sta facendo scalpore l’intervista, pubblicata sempre da Yedioth Ahronoth, rilasciata da Yuval Diskin, l’ultimo capo dello Shin Bet. A meno di tre settimane dalle elezioni, Diskin ha detto che Netanyahu rappresenta una minaccia per la sicurezza del paese. “Non potevo più tacere”, ha detto l’ex capo dei servizi Diskin al giornalista Moreh, autore del film. Negli anni in cui ha lavorato per Rabin, Shimon Peres, Ehud Barak, Netanyahu, Ariel Sharon ed Ehud Olmert, Diskin è stato chiamato a tracciare profili psicologici dei più pericolosi nemici di Israele e a pianificarne l’uccisione. Oggi Diskin elargisce un profilo, poco lusinghiero, del primo ministro. E Yedioth gli concede sette pagine. “In Netanyahu – attacca Diskin – c’è un miscuglio di ideologia, di senso profondo di far parte di una ‘famiglia reale’ e di una élite gerosolimitana (l’allusione è al padre, lo storico Benzion Netanyahu, ndr), assieme a una mancanza di sicurezza e a una paura profonda di prendere decisioni e di assumersi responsabilità. Non ha un ‘nucleo’ forte, quel nucleo di fronte al quale potresti dire: nei momenti cruciali, nei momenti di crisi, posso seguirlo, posso fidarmi di lui. La maggior parte delle volte l’ho visto zigzagare, andare avanti, poi indietro, astenersi dal decidere, e poi essere influenzato da interessi del momento, immediati, opportunistici”. Esprimendo i sentimenti che ritiene condivisi da altri ex responsabili della sicurezza, Diskin dice: “Più di una volta abbiamo avuto la sensazione che dovevamo restare in guardia affinché Netanyahu non trascinasse il paese in situazioni irresponsabili, e non per ragioni concrete, e con mezzi illeciti”. Il premier potrebbe innescare un conflitto con l’Iran: “Ma non sono affatto sicuro che lo saprebbe gestire, che potrebbe assicurare a Israele i risultati necessari”. L’attacco senza precedenti di Diskin a Netanyahu sarebbe una ritorsione per quella rivelazione che fece scalpore nell’ottobre scorso – di cui sono stati accusati membri del governo – quando in prima serata, durante il programma “Uvda” della giornalista televisiva Ilana Dayan, è andata in onda la verità sullo strike d’Israele all’Iran. In un giorno imprecisato del 2010, Netanyahu, assieme al ministro della Difesa Ehud Barak (anche lui attaccato da Diskin), ordina all’esercito il livello “P+”: ci si deve preparare all’attacco alle centrali atomiche iraniane. Il raid fu evitato a causa della dura opposizione dei capi della sicurezza. Barak ha confermato il rapporto di Ilana Dayan: “Al momento della verità, la risposta fu che non erano in grado”, ha scandito Barak. Cattivo sangue scorre fra Netanyahu e i responsabili della sicurezza anche per la nomina, due anni fa, del nuovo capo dello Shin Bet. Si dice per quello zucchetto ricamato, simbolo abituale dell’ebraismo nazionalreligioso, che spicca sulla rada capigliatura di Yoram Cohen, il nuovo capo dello Shin Bet, guidato per decenni esclusivamente da laici e laburisti. Cohen si è guadagnato la nomina, dice chi lo conosce, per l’efficienza dimostrata nella lotta contro l’Intifada armata in Cisgiordania, all’inizio degli anni 2000. Cresciuto in una famiglia immigrata dall’Afghanistan, Cohen è considerato un esperto di “cose iraniane”: questione che, a partire dal dossier nucleare, assilla Israele e il governo Netanyahu come nessun’altra. Ma dal quotidiano Haaretz e da anonimi ufficiali interni dell’agenzia è arrivato un fuoco incrociato contro Netanyahu, perché pare che il candidato principale alla guida dello Shin Bet fosse un altro, indicato con l’iniziale “Y”. Cohen lo ha scavalcato all’ultimo grazie a pressioni politiche. In particolare è stato citato un intervento del movimento della destra religiosa volto a silurare la possibile designazione di “Y” (la sua identità è protetta dalla censura) poiché questi, nelle sue funzioni di responsabile del “dipartimento ebraico” dello Shin Bet, avrebbe usato maniere forti contro gli insediamenti.
“Netanyahu è un irresponsabile”
Gli ultimi sei capi del servizio segreto sono politicamente impegnati contro la rielezione di Netanyahu. A cominciare da Yaakov Peri, che ha servito lo Shin Bet dal 1988 al 1995. Oggi l’ex 007 è in lista con la formazione laica del giornalista televisivo Yair Lapid. Sull’Iran, Peri ha detto che Israele deve fare di tutto per fermare i piani atomici degli ayatollah, ma non è stato ancora raggiunto il punto di non ritorno per lanciare un attacco militare preventivo. Nelle scorse settimane, contro la linea di Netanyahu sull’Iran, ha parlato un altro ex capo dello Shin Bet, Ami Ayalon: “Netanyahu è un irresponsabile”, ha scandito Ayalon. Entrambi, Ayalon e Peri, hanno avanzato un piano di accordo con i palestinesi agli antipodi di quello, incentrato sulla sicurezza, di Netanyahu, ovvero per un completo ritiro dei coloni. Ambienti vicini a Netanyahu dicono che Diskin è rancoroso per non aver ottenuto la guida del Mossad dopo le dimissioni di Meir Dagan. “Diskin parla come un burocrate frustrato”, dice al Foglio Efraim Inbar, capo del Begin-Sadat Center (massimo pensatoio in Israele) e autorità internazionale. “Il problema è che il Likud non ha saputo costruire una classe di servitori dello stato, così la sinistra ha riempito il vuoto. I capi della sicurezza odiano Netanyahu perché non è un primitivo, ma un leader con laurea al Mit di Boston. Ma conosco tanti ufficiali che hanno una stima profonda per Netanyahu”. “Ci sarebbe stato anche uno scontro fra Netanyahu e Diskin su quali capi terroristi eliminare nella Striscia di Gaza”, ci dice Ely Karmon, stratega spesso consultato dai governi israeliani e titolare di cattedra nel famoso Centro Interdisciplinare di Herzliya. “Lo scontro fra Netanyahu e i capi della sicurezza è un misto di ideologia, politica e antipatia personale”, dice al Foglio il celebre storico israeliano Benny Morris, autore fra gli altri di “Mossad” (Rizzoli), la prima storia dei servizi segreti israeliani. “Bibi è inviso ai capi della sicurezza fin dal 1997, quando venne eletto premier per la prima volta. Fu l’anno della fallita operazione ordinata da Netanyahu per uccidere Khaled Meshaal a Damasco”. L’allora primo ministro ordinò l’uccisione del capo di Hamas nelle vie di Damasco. Fu un disastro. Il Mossad gettò un veleno nel suo orecchio, ma senza ucciderlo. Gli agenti furono catturati e per liberarli Gerusalemme consegnò l’antidoto e liberò lo sceicco di Hamas, Ahmed Yassin. “Netanyahu non è Barak o Sharon, non ha esperienze militari di alto livello e nella élite della sicurezza è avvertito come un outsider. Sul piano umano poi i capi della sicurezza non si fidano del premier uscente. Inoltre sono da sempre dei pragmatici e accusano Netanyahu di irresponsabilità nei negoziati con i palestinesi”. Storicamente, dice Morris, le chiavi della sicurezza d’Israele sono state sempre custodite nelle mani della sinistra. “Ci sono stati generali e grandi ufficiali della destra, ma Mossad e Shin Bet sono agenzie nate dalla sinistra laburista dell’Haganah e del Palmah di David Ben Gurion. Però l’uomo della strada in Israele ha grande rispetto per quello che dicono i capi dei servizi segreti, prima di tutto perché non c’è nepotismo, ma chi arriva al vertice dei servizi è perché ha qualità eccezionali. Inoltre, perché lo stato ebraico è da sempre in guerra e la vita dei suoi cittadini è letteralmente nelle loro mani”. Sono i guardiani dell’ingresso.
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