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Ugo Volli
Cartoline
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Ricordiamocelo quando andremo a votare 07/01/2013

Ricordiamocelo quando andremo a votare
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli


Gerald Steinberg, presidente di NGO Monitor

Cari amici,

diciamolo, mentre inizia una campagna elettorale assai poco attraente: nonostante tutto, nonostante i politici e gli antipolitici, è bello vivere in democrazia. Il fatto che decidiamo noi con una scheda chi governerà non è proprio sicuro, ma almeno siamo certi che le scelte più orribili non saranno fatte: una democrazia non costruisce Auschwitz né i gulag, non va in guerra facilmente, non distrugge le classi o le "razze" che non piacciano ai governanti. Tutto questo lo diamo per scontato e quasi non ci pensiamo; ma è una cosa preziosa e fragile, che non è certo patrimonio di tutto il mondo.

Ma questa nostra implicita soddisfazione ha dei limiti. E' imperfetta, come sappiamo, la nostra stessa democrazia, vi sono squilibri nel sistema dei poteri, consorterie, vi è una tendenza crescente a un sistema di sorveglianza universale (ufficialmente per ragioni fiscali) che inquieta. Ma soprattutto la nostra democrazia è incompleta perché non è autonoma, parti crescenti della nostra sovranità sono cedute a un sistema, quallo europeo, che sostanzialmente non è democratico. Perché la democrazia non è fatta solo di elezioni, ma anche di equilibrio di poteri, dunque di responsabilità dell'esecutivo, di leggi decise dal potere legislativo e non dall'esecutivo, di un sistema giudiziario che controlli l'attività del l'esecutivo e non agisca come suo braccio armato. Tutte queste cose in Europa non ci sono. Il parlamento è eletto ma non conta nulla, non fa le leggi e non nomina la Commissione (il governo), che è espressione dei singoli esecutivi nazionali. Soprattutto in Europa manca la trasparenza, le politiche vere sono fatte da una casta di funzionari che non rispondono al Parlamento e neppure alla Commissione e che decidono che fare di fondi giganteschi e come devono comportarsi gli Stati grazie a regolamenti oscuri e a provvedimenti che spesso non sono neppure pubblicati.

Vi faccio questo discorso perché voglio riferirvi un caso tipico, che ci interessa perché riguarda Israele, ma in realtà è solo un sintomo - e di cui naturalmente non troverete traccia sulla stampa italiana. L'altro giorno la Corte di Giustizia Europea ha respinto un ricorso dell'organizzazione NGO Monitor che chiedeva di vincere l'ostruzionismo delle strutture comunitarie che non vogliono far sapere  quali sono le organizzazioni israeliane che ricevono soldi dall'Unione Europea, quanti e decisi su che base (http://blogs.spectator.co.uk/douglas-murray/2013/01/when-will-the-government-do-the-right-thing-to-the-eu/). Non si tratta qui dei finanziamenti ai palestinesi, di cui un recente dossier di IC ha mostrato il peso e la diffusione anche a livello delle amministrazioni locali italiane; ma delle organizzazioni israeliane o israelo-palestinesi che lavorano per contrastare sul piano politico, mediatico e giudiziario la politica democraticamente decisa dal popolo israeliano.

Dal punto di vista dei cittadini europei questo significa che il governo europeo non è obbligato a dire ai suoi cittadini che uso fa delle nostre tasse (sono decine di milioni di euro, non bruscolini). Da quello israeliano invece questo vuol dire che l'Unione Europea è autorizzata impunemente, senza neppure dirlo, a manipolare la democrazia israeliana finanziando certe parti del suo sistema politico, senza neppure dire che lo fa e perché: una sorta di guerra mediatico/politica (http://www.ngo-monitor.org/article/eu_court_decision_on_ngo_monitor_case_confirms_eu_s_secrecy). E' una situazione che noi italiani conosciamo benissimo, perché l'Urss ha finanziato dal '45 fino all' '89 il partito comunista e le sue organizzazioni con miliardi di lire, per cercare di distogliere la nostra democrazia dalla sua affiliazione alla Nato. Sostanzialmente si tratta di tentare di imporre uno Stato di sovranità limitata.

Ancor più preoccupante sono le ragioni addotte dalla corte europea per la sua decisione, per come la riportano le notizie (http://www.jpost.com/Opinion/Op-EdContributors/Article.aspx?id=298514). Da un lato la Corte avrebbe detto che merita di essere tutelata la "privacy" della Commissione. Ora naturalmente un organo di governo è pubblico e non può avere "privatezza", ma semmai segretezza, e in un sistema democratico solo per fasi limitate che servono a garantire la sua possibilità di funzionamento. Il fatto che tutti gli atti amministrativi diventino pubblici è una delle basi della democrazia, perché vuol dire che chi li ha assunti è soggetto a revisione e contestazione degli interessati: qui invece la Corte Europea ha permesso degli omissis (per esempio sui criteri di valutazione delle candidature per il finanziamento), che sanno tanto di segreto militare. E infatti questi finanziamenti fanno tanto pensare a una sorta di guerra non coinvenzionale.

Ancor più inquietante, da questo punto di vista, l'altra motivazione che secondo le notizie ha addotto la Corte: se si sapessero le entità dei finanziamenti e le loro ragioni, potrebbe esserne danneggiata la reputazione dei riceventi. Dato che Israele è uno Stato di diritto, che rispetta la libertà di opinione e di associazione, non si dice che potrebbe esservi una qualche persecuzione nei confronti di chi prende i soldi; ma solo che se si sapesse che questi soldi sono stati presi, la gente li giudicherebbe male. Ma questa è una delle forme della democrazia: permettere che l'opinione pubblica si formi un'opinione suo fatti. Dunque la Corte di Giustizia avvalla la politica europea di condurre una forma di guerra politica irregolare a Israele e di tenerne segreti i termini per non assumersene la responsabilità né lei né i suoi esecutori in Israele. Non vi sembra grave dal punto di vista democratico?

E non vi ricorda nulla? A me sì, un episodio del passato recente, quando il presidente del consiglio Monti rovesciò la politica estera  consolidata del nostro paese e le promesse esplicite del nostro ministro degli esteri sull'astensione dell'Italia al voto Onu sulla promozione dell'Autorità Palestinese a "Stato osservatore non membro" e decise di votare a favore "per rafforzare l'unità dell'Europa". Lo fece senza consultare il Parlamento, senza un voto su questo tema né prima né dopo. Insomma, c'è una politica europea sul Medio Oriente che non cerca neppure un'approvazione democratica, né a livello degli Stati né a quello continentale. Ecco un punto - ma non è certo il solo - su cui le nostre elezioni non hanno molto potere (salvo che incoroni, come molti prevedono, un governo in cui il ministro degli esteri sia un certo signore che va a braccetto con gli esponenti di un movimento terrorista e sostenitore di Assad come Hezbollah - ma questo è un altro discorso). Ricordiamocelo, quando andremo a votare.

Ugo Volli


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