Il commento di Stefano Magni
Stefano Magni, giornalista de L'Opinione
Anno nuovo, vecchio antisemitismo. L’Italia ha inaugurato il 2013 con un’aggressione, a Venezia, ai danni di uno studente ebreo americano, ai margini dei festeggiamenti del capodanno, in un vicolo vicino al Ghetto. Sulla vicenda ci sono ancora molti punti oscuri. Il nome dell’aggredito è protetto dall’anonimato e, per convenzione, viene chiamato David. Sarebbe stato circondato da un gruppo di 10-15 arabi. Dopo un breve scambio di insulti, a quanto risulta dalla denuncia, è partita l’aggressione. David non ha denunciato subito l’accaduto. Prima è stato ricoverato in ospedale, dove sono state riscontrate le ferite: 7 giorni di prognosi. Poi, in Israele (un giorno prima che comparisse sulle cronache italiane), è stata diffusa la notizia del linciaggio. E allora è stata la Digos a convocarlo e interrogarlo. Tuttora le indagini sono in corso. La comunità ebraica di Venezia è in allarme. C’è la certezza che David sia stato aggredito perché ebreo. Essendo membro del movimento Chabad Lubavitch, portava la kippah e gli tzitzit.
Il capoluogo veneto, negli ultimi secoli, non è certo noto per antisemitismo. L’aggressione ha spezzato una lunga tradizione e sembra essere un fenomeno importato dall’esterno. Fra le testimonianze raccolte dal quotidiano online Huffington Post, un negoziante dice che: “Quegli arabi, di cui ovviamente ha riconosciuto la lingua, non erano di Venezia, erano qui per il Capodanno. David ha cercato di ignorarli, come si fa sempre quando qualcuno, per strada, inizia a puntare il dito verso di noi. Ma loro avevano anche bevuto”. Il nuovo antisemitismo, d’altronde, in Italia, così come in Francia e nel resto dell’Europa centro-settentrionale, ha raramente origini autoctone. Sono gli immigrati dai Paesi musulmani gli autori della stragrande maggioranza delle violenze, secondo quanto riportano tutti gli ultimi rapporti sull’antisemitismo. E’ un pezzo di guerra mediorientale importato nel Vecchio Continente. Ma alimentato da una cultura europea sempre più ostile allo Stato ebraico.
In Italia, non a caso, il 2012 è stato contraddistinto da un’escalation di “antisemitismo ideologico”, secondo l’ultimo rapporto del Cdec (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea). Gli insulti contro gli ebrei e l’ebraismo, nel 2012, sono cresciuti del 40% rispetto all’anno precedente. Si tratta soprattutto di graffiti e attacchi via Internet, sui social network e nei forum dei commenti sugli articoli dei quotidiani online. Il breve conflitto a Gaza, lo scorso autunno, ha fatto da catalizzatore. Ma è soprattutto il modo in cui i media lo hanno ritratto che ha generato la percezione di un Israele “aggressore” o addirittura “genocida”.
Dimenticare che è stata una pioggia costante di razzi lanciati da Hamas sulle città israeliane a far scattare la reazione dello Stato ebraico, è il consueto primo passo della delegittimazione mediatica di Israele. Poi le istituzioni internazionali hanno completato l’opera: con il riconoscimento della Palestina quale Stato osservatore all’Onu (col voto favorevole della stessa Italia), a sole due settimane dalla fine delle ostilità, gli aggressori sono stati anche formalmente premiati. Si dirà: è stata riconosciuta l’Autorità Palestinese (dominata dal partito Al Fatah di Abu Mazen) e non la Gaza di Hamas. Ma la differenza fra i due partiti è sempre più sfumata. Una settimana dopo il ritorno dall’esilio del leader politico di Hamas, Khaled Meshaal, lo scorso 4 gennaio Al Fatah ha potuto celebrare a Gaza il 48mo anniversario della sua fondazione, con tanto di bandiere gialle al vento, per la prima volta dopo il golpe del 2007. “La vittoria è vicina, presto ci incontreremo”, ha dichiarato, da Ramallah, il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen. Lungi dal voler punire i radicali islamici di Gaza, i palestinesi “moderati” si stanno avvicinando alla loro linea, anche nei discorsi ufficiali. Al Fatah e Hamas somigliano sempre più alla figura allegorica del “poliziotto buono e poliziotto cattivo”: il primo parla con i governi occidentali e promette pace, in cambio di concessioni apparentemente raggiungibili (lo stop alla costruzione degli insediamenti ebraici, la fissazione di una frontiera, la divisione di Gerusalemme, il riconoscimento di uno Stato palestinese che coesista con quello ebraico), il secondo predica e pratica la guerra santa. Ma, alla fine, l’evidenza dei fatti suggerisce che il loro obiettivo è comune: la distruzione di Israele. E’ solo il linguaggio che cambia. Forse all’Onu non se ne sono accorti, ma riconoscendo la Palestina, è stato riconosciuto anche il terrorismo di Hamas contro gli israeliani.
La retorica dell’odio contro lo Stato ebraico, nel frattempo, continua a montare anche nei vicini Stati arabi. In Egitto, prima di tutto, dove gli integralisti islamici restano padroni dell’arena politica, dopo l’approvazione referendaria della loro costituzione. Il consigliere del presidente Morsi, Essam el Erian, invita gli ebrei egiziani a tornare in “patria”. Perché, “fra dieci anni Israele non ci sarà più”. L’offerta proviene da un esponente dello stesso partito che vorrebbe cancellare il trattato di pace con lo Stato ebraico. Dunque la minaccia è credibile. Morsi ha lasciato parlare liberamente e pubblicamente il suo consigliere e non ha affatto replicato. E’ intervenuto, in compenso, il suo portavoce (che dovrebbe esprimere la linea ufficiale del capo dello Stato) con un commento ancora peggiore di quello di Erian: “Gli ebrei egiziani sono criminali che andrebbero puniti per quello che hanno fatto ai palestinesi e agli egiziani”. Eccolo qui, il volto nuovo dell’Egitto.
In Tunisia, il primo Paese in cui scoppiarono le rivoluzioni arabe del 2011, già a pochi giorni dalla cacciata del dittatore Ben Alì bruciavano le prime sinagoghe. Anche in questi ultimi mesi si sono verificati altri episodi gravi di antisemitismo, sia nella retorica che negli episodi di violenza. Secondo quanto riporta Zvi Mazel, già ambasciatore israeliano in Egitto, Romania e Svezia: “Durante la visita del Capo del Governo Hamas Ismail Haniye lo scorso novembre, i militanti salafiti hanno urlato slogan che chiedevano la eliminazione degli ebrei. Secondo fonti francesi, il quotidiano Al Quds al Arabi del 12 dicembre ha riportato le parole dell’imam Sheikh Ahmaed Al Suhayli, mentre predicava nella moschea di Rades una lunga invettiva contro gli ebrei: ‘O Allah, tu sai cosa hanno fatto questi maledetti ebrei, la corruzione che diffondono in tutto il mondo.. colpiscili in modo che spariscano tutti. Allah, rendi uomini e donne sterili, scaglia la tua ira e il tuo odio su di loro’”. In novembre la polizia ha prevenuto in tempo il rapimento di un ragazzo ebreo a Tunisi. Fra i rapitori figurava anche un poliziotto tunisino, oltre a quattro libanesi. Anche la Tunisia, dopo la liberazione dal dittatore, è finita sotto una maggioranza parlamentare islamista, il partito Ennahada. Il futuro del Paese è abbastanza prevedibile.
A tanto odio possono seguire fatti di sangue molto gravi. In Israele il governo teme lo scoppio di una Terza Intifadah, una massiccia offensiva coordinata da Gaza e dalla Cisgiordania. L’accordo (in funzione anti-israeliana) fra Fatah e Hamas fa temere il peggio. E siamo certi che una nuova Intifadah non verrebbe combattuta nel solo Medio Oriente, ma anche nelle piazze europee. E nelle calli di Venezia.