Onore a CHARLIE HEBDO, per il coraggio che dimostra nel rifiutare l'auto-censura che caratterizza ormai l'Occidente. La provocazione esiste solo nella testa di chi nega la libertà di esprimersi, una caratteristica dell'islam. Nel tracciare la vita di Maometto a fumetti, non c'è nulla di irrisorio, lo fanno tutte le religioni, accettandone la trasposizione.
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 31/12/2012, a pag.20, con il titolo "Charlie Hebdo ci riprova, vita di Maometto a fumetti" l'articolo di Alberto Mattioli.
Charb, direttore di Charlie Hebdo
Profeta a fumetti, parte seconda. «Charlie Hebdo» non lascia, anzi raddoppia: dopodomani sarà in edicola con un numero speciale intitolato «La vita di Maometto», facendo a strisce il fondatore dell’Islam e, con ogni probabilità, irritando i suoi fedeli e anche parecchio. Si tratta dello stesso settimanale satirico che nel novembre 2011 uscì in edicola con un altro hors série, «Charia Hebdo»: allora, la redazione fu incendiata da una bottiglia Molotov, il sito del giornale piratato e il direttore minacciato di morte.
Questo kamikaze della satira si chiama Stéphane Charbonnier, in arte Charb, e dice tutto tranquillo che si tratta di una biografia «perfettamente halal». Cioè, direttore? «Cioè non è né una caricatura né una satira. Si tratta proprio di una vita di Maometto scritta da Zineb, un sociologo musulmano franco-marocchino e disegnata da me con il mio stile abituale. Nessuno ci potrà rimproverare nulla. È dal 2006, dal famoso episodio delle vignette su Maometto pubblicate da un giornale danese, che penso che Maometto sia, alla fine, un personaggio molto poco noto. Quindi mi sono detto: prima di scherzare su qualcuno, bisogna conoscerlo».
Soprattutto, Charb non vuol sentire la parola «provocazione», anche se sa benissimo che per molti musulmani rappresentare il Profeta è blasfemo. «Ma è solo una tradizione. Nel Corano non c’è nulla sull’argomento. E, in ogni caso, per noi non cambia nulla. Riconosco a chiunque il diritto di arrabbiarsi, ma pretendo che venga riconosciuto il mio di disegnare quello che voglio. Nego che ci sia della provocazione. Non vedo perché non si possa leggere la nostra Bd (bande dessinée, ndr ) come al catechismo si legge la vita di Gesù».
Però dopo il putiferio per il numero sulla sharia e, più recentemente, per altre vignette che hanno provocato una mezza crisi diplomatica con alcuni Stati arabi, si pensava che voi di «Charlie» sareste diventati più prudenti... La replica è pura Edith Piaf: «Non, je ne regrette rien», no, non rimpiango niente. «Rifarei tutto. Molta gente ha giudicato i contenuti del giornale prima ancora di averlo fra le mani. E devo dire che, più dei musulmani che si sono sentiti in dovere di manifestare, mi ha dato fastidio l’atteggiamento di alcuni uomini politici, che forse dimenticano che la Francia è uno Stato laico e repubblicano che tutela la libertà di espressione».
Tutela anche la sicurezza di Charb e dei suoi giornalisti. Il direttore vive sotto scorta da più di un anno, la redazione è sorvegliata e, c’è da giurarci, mercoledì sarà più facile entrare nel caveau della Banca di Francia che nelle stanze di «Charlie Hebdo».
Però, Charb, l’impressione è che lei se le vada sempre a cercare. Si sarà chiesto se c’è un limite alla satira e, se sì, dove comincia... «Certo che me lo sono chiesto. E la risposta che mi sono dato è che l’unica cosa che dobbiamo assolutamente vietarci è di cominciare a censurarci».
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