Sulla STAMPA di oggi, 29/12/2012, a pag.1/29, con il titolo " La vera partita per il futuro di Israele ", A.B.Yehoshua riprende l'analisi della situazione israeliana in un articolo che si presta a una doppia lettura. Da un lato, Yehoshua prende le distanze da alcune sue posizioni precedenti, e precisamente:
1) elimina la terminologia 'destra' e 'sinistra' nel riferirsi ai partiti israeliani, sostituendola con 'falchi' e 'colombe'.
2) riconosce che la questione della pace non è più il punto nodale del dibattito politico. Non arriva ancora a scrivere la parola 'sicurezza', ma poco ci manca, anche perchè riconosce che ai palestinesi interessa poco il ritorno ai confini del '67, e che le ostilità continueranno anche se ci fosse un accordo di pace. E' la prima volta che lo scrive.
3) riconosce nella possibilità di uno Stato bi-nazionale il pericolo più grande per il futuro di Israele, come aveva già scritto in articoli precendenti, oggi lo riafferma con chiarezza.
4) addebita ai palestinesi il fallimento delle trattative con Israele, detto da A.B.Yehoshua è sperabile che lo ricordino gli 'esperti' - Parsi sulla STAMPA, per esempio- quando scrivono il contrario.
Indica poi nel problema demografico la questione più urgente che Israele deve affrontare, affinchè non diventi reale il pericolo di uno Stato bi-nazionale.
Un problema molto dibattuto in Israele, che vede due correnti di pensiero contrapposte. Qui, Yehoshua, propone la creazione di 'cantoni'- non meglio precisati, insieme a una doppia cittadinaza, anch'essa poco chiara - che lasciano pensare però ad un superamento del progetto di uno Stato palestinese, così come previsto dagli accordi di Oslo.
Ritorna poi ad essere l' A.B.Y. tradizionale, quando alla fine si limita a chiedere la fine dell'ampliamento degli insediamenti, un'altra questione che non può essere risolta con una affermazione radicale. Per finire, un Yehoshua che lascia capire come la sua analisi sia in movimento, con una visione innovativa del giudizio sulla politica palestinese.
Vedremo come si evolverà.
Ecco l'articolo:
Abraham B.Yehoshua
Ora che è iniziata la sarabanda elettorale in Israele sarebbe bene cercare di definire il nocciolo della controversia tra «colombe» e «falchi». Di proposito mi attengo a questa definizione anziché a quella di «destra» e «sinistra» perché nel dibattito politico israeliano queste due fazioni non corrispondono alla definizione ideologica del termine accettata in tutto il mondo.
Il punto focale dell’attuale dibattito non verte infatti intorno alla questione della pace.
Anche in chi è disposto ad accettare gli accordi formulati a Ginevra nel 2006 si insinua il dubbio che i palestinesi e i loro sostenitori arabi non intendano accontentarsi di uno stato smilitarizzato entro i confini del 1967 con una presenza giuridicamente riconosciuta a Gerusalemme ma senza la possibilità di un ritorno dei profughi in Israele.
Gran parte della fazione delle «colombe», rappresentata nelle prossime elezioni dai partiti della sinistra e del centro, non è infatti composta da ingenui visionari con sogni e utopie irrealizzabili. E neppure da chi è convinto che anche se venissero firmati accordi di pace e lo stato ebraico si ritirasse dalla Cisgiordania le ostilità cesseranno.
La fazione delle colombe, in tutte le sue sfumature e varianti, deve battersi per un unico obiettivo: arrestare il pericoloso processo di lenta trasformazione di Israele in uno stato bi-nazionale, un’eventualità disastrosa per entrambi i popoli.
È questo è il nocciolo della controversia tra i due campi. Dinanzi alla dura realtà di una costante espansione degli insediamenti, della mancata evacuazione di avamposti ma soprattutto della costruzione di nuovi quartieri ebraici in zone mai appartenute geograficamente e storicamente alla città di Gerusalemme, dinanzi a un processo di cecità storica e di abbaglio demografico nel corso del quale negli ultimi anni due popoli così diversi fra loro si stanno legando in un profondo intreccio, la fazione delle colombe dovrebbe presentarsi alle prossime elezioni con una posizione inequivocabile che dice: fin qui.
È infatti molto probabile che i palestinesi, che con una testardaggine all’apparenza incomprensibile rifiutano di condurre trattative con gli israeliani, intendano trascinare Israele nella trappola di uno stato bi-nazionale esteso dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo con la paziente illusione che questo stato, col tempo, si trasformi in palestinese.
E nonostante l’attuale governo israeliano abbia designato ai palestinesi il ruolo di «fodera» nell’indumento che si sta tessendo, è bene che sappia che anche la fodera un giorno potrebbe causare la lacerazione dell’intero abito. Abbiamo visto in questi ultimi anni come dall’oggi al domani popoli apparentemente tranquilli abbiano strappato e distrutto amministrazioni governative.
In linea di principio gli ebrei osservanti non hanno un particolare timore di uno stato bi-nazionale. L’identità religiosa ebraica è infatti «errante», consolidata in se stessa, ha un’esperienza storica secolare di resistenza in civiltà e popolazioni di religioni diverse e di certo chi si riconosce in essa non si scompone per una condizione di bi-nazionalità, soprattutto quando sa di essere protetto dall’esercito israeliano.
Il dibattito deve quindi svolgersi fra le «colombe» e i leader laici della fazione di destra. Costoro, sostenitori dell’ideologia di Jabotinsky, dimenticano che quando il loro maestro parlava negli anni trenta del secolo scorso di uno stato ebraico su entrambe le rive del Giordano c’erano al mondo 18 milioni di ebrei, molti dei quali avevano un disperato bisogno di una patria, mentre il numero di arabi palestinesi era meno di un milione. Per questo Jabotinsky poteva immaginare un Paese a maggioranza ebraica con all’interno una minoranza araba con pieni diritti.
Ma oggi ci troviamo sull’orlo di uno stato bi-nazionale e molti esperti, consapevoli di ciò che sta accadendo, sostengono che sia ormai impossibile fermare questo processo. Sebbene tali esperti possano anche avere ragione, ritengo che ci sia ancora modo di porre rimedio alla situazione grazie a una divisione in cantoni e a una soluzione di doppia cittadinanza.
Il nocciolo del dibattito tra falchi e colombe in vista delle prossime elezioni non dovrebbe perciò vertere sulla questione della pace, dell’isolamento internazionale, o della separazione tra Stato e religione, argomenti sui quali potremo continuare a discutere all’infinito. Dovrebbe invece vertere sulla chiara pretesa di cessare immediatamente l’ampliamento degli insediamenti come prima e imprescindibile condizione di una possibile partecipazione della fazione delle colombe, in tutte le sue componenti, al terzo governo Netanyahu.
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