Sulla STAMPA di oggi, 24/12/2012, a pag.21, con il titolo "Ostaggio del marito in Arabia Saudita,libera dopo 10 mesi" Silvana Mossano racconta il sequestro in Arabia Saudita di Chiara Invernizzi, da parte del marito. La sventurata non conosceva l'islam, adesso sì.
Ecco l'articolo:
La diplomazia ha fatto il suo corso. Il sottosegretario degli Esteri Staffan De Mistura, appena completata la missione di ricondurre in Italia, per Natale, i due marò prigionieri in India, è riuscito a portare a casa anche Chiara Invernizzi, la valenzana da dieci mesi ostaggio, insieme al padre Andrea, del ricchissimo saudita che lei aveva sposato sei anni fa e che adesso si «rifiuta di chiamare ancora marito». Ieri, accompagnati da Simone Petroni, console italiano a Gedda, sono atterrati a Malpensa. «In un’alba bellissima è finito un incubo, ma - confessa Chiara Invernizzi - ho avuto paura di non farcela mai». Più volte, in questi mesi, nella febbrile tessitura diplomatica si erano aperti spiragli che, però, il ricco saudita era riuscito a richiudere «solo per capriccio». Senza il suo visto, la donna, che formalmente è ancora sua moglie, non poteva lasciare l’Arabia, e così pure il padre, perché entrambi, a suo tempo, avevano ottenuto il permesso a entrare nel Paese dall’uomo che lei avrebbe sposato. La legge è così: chi autorizza all’ingresso, deve poi consentire l’uscita.
Lo sdoganamento è arrivato soltanto sabato sera, alle nove e mezza. Chiara ha ricevuto la telefonata personalmente dal marito che ne ha tenuto in balìa la sorte per mesi: «C’è il visto, puoi partire». E poi, forse nell’immaginario disegno di riconquistarla, in tono più lieve ha aggiunto: «Merry Christmas, Chiara».
Per Chiara, sì, sarà un bel Natale nella casa valenzana da dove la madre Giovanna Lami ha lottato come una tigre per far conoscere all’opinione pubblica, attraverso giornali e tivù, il caso disperato del marito e della figlia ostaggi a Gedda. Quando ieri sono scesi dall’aereo, «atterrato addirittura con quindici minuti di anticipo, dopo un viaggio di cinque ore», Giovanna Lami è scoppiata a piangere. Una commozione troppo a lungo repressa, perché «da qui dovevo incoraggiarli, nelle telefonate via Skype: non potevo mostrare cedimenti» spiega.
Racconta Chiara: «Mentre mi avvicinavo al portellone di uscita, lo steward mi ha richiamato “signora – ha detto – ha dimenticato…” e mi ha indicato la cappelliera dove avevo posato la abaja, il lungo spolverino nero delle donne arabe». Lei ha replicato: «Tenetelo pure, a me non serve più». Aveva pensato di bruciarla nel caminetto, «ma avrebbe fatto troppo fumo!». Si può ridere ora: degli imprevisti, delle coincidenze strane, delle bizze del destino. E si annodano con affetto i ricordi di quanti, arabi e no, in generosa gratuità, li hanno aiutati, «uomini e donne straordinari» che non hanno chiesto nulla, ma hanno agito «per dovere etico» e perché «sta scritto nel Corano che Dio aiuta le persone di buon cuore». Chiara e Andrea sono persone di buon cuore: andavano aiutate a tornare a casa.
Ce l’hanno fatta. La strada del rientro in auto, da Malpensa a Valenza, percorsa più volte in questi anni, «non mi è mai sembrata così bella, avvolta di nebbia e ricamata di galaverna, tra campi di neve ghiacciata» dice Chiara, e ride, serena, tranquilla, «dopo aver pianto tanto». Ride dei gatti «che non vedevo l’ora di ritrovare», del pranzo di Natale «che faremo qui in casa, noi tre soli» dice Giovanna Lami, e ride all’idea che «questa sarà la prima notte che dormiremo senza il sonnifero».
Intanto, la mente va già oltre il domani e progetta: «Papà e io vogliamo fare il cammino di Santiago di Compostela». Inoltre, lei vuole raccontare in un libro la sua vicenda. «E’ l’unico modo per liberarmene del tutto». Poi, dubbiosa: «Chissà se crederanno a una storia talmente strana…». Ma torna subito a ridere. Merry Christmas? No, questo è un Buon Natale. In Italia. A casa.
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