La cugina americana Francesca Segal
Traduzione di M. Faimali
Bollati Boringhieri Euro 17,50
Qualche anno fa il regista Gus Van Sant decise di girare un particolare remake del film Psycho di Alfred Hitchcock. La particolarità consisteva nel fatto che Van Sant non intendeva proporre una propria versione della storia ma omaggiare il capolavoro del cineasta inglese con la tecnica shot-for-shot. Dunque copiò l’intero film, dalla prima all’ultima inquadratura: sovrapponendo le due pellicole, le sbavature tra una versione e l’altra risultarono minime. Naturalmente si passò dal bianco e nero al colore; dall’Arizona del 1960 a quella del 1998; e da Anthony Perkins a (purtroppo) Vince Vaughn. Nonostante le intenzioni – ossia riverire un genio e proporre il film a una nuova generazione di spettatori – il risultato fu imbarazzante. Tutto sembrava di cartapesta, persino i dialoghi. Gli attori parevano imbalsamati nei panni di chi li aveva preceduti in quei ruoli. L’intera operazione apparve ai cinefili come un sacrilegio
La cugina americana di Francesca Segal (figlia di Eric, autore del bestseller Love Story) è un testo che troppo sbrigativamente si presterebbe alla definizione di remake cartaceo de L’età dell’innocenza di Edith Wharton (1920, premio Pulitzer) sebbene ogni brano richiami il brano dell’opera precedente (basta scorrere i due romanzi per rendersene conto). Ma la Segal compie un restauro tutt’altro che da pennivendola. La Wharton raccontava la storia ottocentesca e newyorchese del sensibile Newland, promesso sposo della virginale May, che si innamora perdutamente (ricambiato) della cugina della sua futura moglie, la baronessa Ellen Olenska; un amore impossibile, mai consumato, per sempre ricordato; in questa rivisitazione in chiave moderna, l’azione si svolge nella comunità ebraica londinese, tra riti religiosi e feste più o meno uguali a casa di una o dell’altra facoltosa famiglia; tra i dialoghi degli anziani sull’Olocausto e Israele e quelli dei giovani sul Manchester United e i desideri carnali da assecondare; tra ciò che si è subito in prima persona e ciò che si è dovuto imparare per perpetrare la memoria.
In questo mondo in cui tutti si conoscono fin da bambini, Adam sta per convolare a nozze con Rachel, la figlia del suo principale. Il loro legame è cominciato dodici anni prima durante le vacanze in un kibbutz e ha avuto una sola sbavatura di qualche mese, quando avevano deciso di lasciarsi per vivere esperienze diverse. Pare tutto saldo nella vita di Adam: gli affetti (è adorato da parenti stretti e suoceri), il lavoro (è avvocato), e le aspirazioni (un matrimonio, i figli, una casa degna di una famiglia benestante). A scompaginare le carte, però, arriva Ellie, la cugina americana di Rachel. Nonostante la giovane età, ventidue anni, Ellie è già un’ex modella dal passato burrascoso: ha perso la madre in un attentato in Israele; il padre da allora l’ha affidata a parenti o amici ed ha iniziato una sorta di viaggio del mondo in solitaria; ha calcato le passerelle, frequentato uomini sposati le cui mogli strillano vendetta, fatto uso di droghe, tentato il suicidio e, in ultimo ma non per ultimo, pare abbia recitato in un filmino hard del quale è possibile guardare qualche immagine su YouTube
La normalità agiata cui Adam aspira resta tramortita dallo scontro con l’ansia di vita della nuova arrivata – e le esistenze di entrambi non saranno più le stesse. «Ma, se era stato facile accantonare Ellie sul piano teorico, adesso che l’aveva davanti era tutto diverso. Il corpo di Adam aveva reagito alla sua vista, e quello che pensava di lei perdeva importanza perché in sua presenza gli era impossibile pensare». Non possono amarsi, non sanno evitarsi, e la loro relazione senza sbocchi si palesa in più circostanze: attorno, tutti, persino Rachel, sembrano accorgersi di quello che (non) succede. Proprio la comunità ebraica nel cui ventre caldo Adam è cresciuto, ordisce il sottile piano di tenerlo lontano da Ellie. Ma Adam non è più quell’accomodante ragazzo che tutti ricordano
Lo Psycho di Van Sant fu un flop su tutta la linea, e a ragione. Il remake della Segal è entrato in tutte le classifiche e sta raccogliendo insospettabili consensi di critica. Ragione o torto noi, da qui, ci limitiamo a dire che il libro merita la classifica. E però non consigliamo all’autrice di ripetere il gioco.
Christian Frascella
Tuttolibri – La Stampa