"Scontro di civiltà" è una affermazione che condanna al marchio di razzista chi la pronuncia. Ci chiediamo però se non sia invece l'esatta definizione per chiamare fatti come quello che si legge sulla STAMPA di oggi, 23/12/2012, a pag.14, con il titolo " Accusato di blasfemia bruciato vivo in Pakistan", con la cronaca di Giordano Stabile.
Un poveraccio con problemi mentali, solo e senza fissa dimora. Finito nel posto sbagliato al momento sbagliato: una moschea di una cittadina nel distretto di Dadu, nella provincia di Sindh, Pakistan meridionale. I fedeli lo hanno visto recitare le preghiere della sera e poi sistemarsi per passare la notte lì, al riparo. Al mattino è cominciata a correre la voce che gli addetti alla pulizia della moschea avevano trovato all’interno pagine del Corano bruciate. O addirittura «alcune copie intere». L’unico che poteva aver compiuto il sacrilegio era il poveraccio. Quattro agenti sono venuti a prenderlo, l’hanno portato al piccolo commissariato di paese.
Un folla, due, trecento persone ha circondato l’edificio, difeso da una decina di poliziotti con poca voglia di rischiare la vita. I più esagitati hanno minacciato di dar fuoco al commissariato, mentre altri con gli smartphone filmavano l’assalto con bastoni, asce e tizzoni accesi, come nel film «Furia» di Fritz Lang. Gli agenti si sono lasciati sopraffare senza troppa resistenza. L’uomo è stato trascinato per strada, massacrato di botte e dato alle fiamme: «Occhio per occhio, dente per dente». La stessa fine delle pagine sacre per la 53esima persona linciata a morte perché sospettata di blasfemia in Pakistan, in vent’anni. Senza contare le centinaia perseguitate, condannate in processi farsa.
Il Pakistan ha una delle leggi più severe nel punire la mancanza di rispetto verso la religione. In un Paese con significative minoranze cristiane (3%) e indù (2%) è benzina gettata quotidianamente sul fuoco dell’intolleranza e dell’odio etnico.
Spesso a essere accusati di blasfemia sono proprio i cristiani. Come nel caso di Rimsha Masih, anche lei sospettata di aver bruciato pagine del Corano, arrestata e poi scagionata. Peggio è andata a Asia Bibi nel 2009, accusata di aver insultato Maometto e poi condannata a morte, nonostante uno degli uomini che l’ha denunciata abbia ritrattato. Per essersi opposti alla legge sulla blasfemia un ministro Shahbaz Bhatti, e un governatore del Punjab, Salman Taseer, sono stati assassinati. Ora la magistratura sembra più attenta a non farsi trascinare dall’emotività delle folle. Per il linciaggio di ieri trenta persone sono state arrestate e quattro agenti sono accusati di «grave negligenza». Per il vagabondo de Dadu è troppo tardi. Asia Bibi può ancora essere salvata.
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