Sul CORRIERE della SERA di oggi, 22/12/2012, apag. 43, con il titolo "Alber Elbaz: 'non è più tempo di essere superficiali'', Paola Pollo traccia un ritratto di Alber Elbaz, il creatore di moda israeliano che ha trovato il successo a Parigi. Prima dell'articolo, alcune note biografiche:
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Alber Elbaz nasce in Marocco ma si trasferisce in Israele, a Holon, fuori Tel Aviv, da bambino. Dopo il servizio militare («tre anni in cui mi sono occupato di organizzare spettacoli ed eventi. Sognavo, allora, di fare l'attore!») si iscrive alla scuola di design di Tel Aviv, Shenkar
La carriera: A 24 anni è a New York da Geoffrey Beene, poi a Parigi da La Roche, Yves Saint Laurent e infine a Milano prima da Gucci e poi da Krizia
Dal 2001 è il direttore creativo di Lanvin, una delle più antiche case di moda parigine
Il carattere: Uomo di grande simpatia e comunicativa, oltre che di indubbio talento creativo. Ama mangiare, trascorrere le vacanze in Maremma, andare al cinema e il luogo dove si sente più tranquillo, racconta, «è l'ospedale»
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Ecco l'articolo:

Alber Elbaz
«Monsieur Alber? Mais oui. Il suo tavolo è quello, all'angolo. Come sempre». Fuori fa freddo, la gente corre, gli operai trapanano e la police blocca l'accesso a rue Boissy D'Anglas, la piccola strada che porta al bar del Grand Hotel de Crillon ma anche, svoltando a destra, all'Eliseo. Noblesse. Tutto può accadere in quelle poche centinaia di metri. Elbaz (Alber), lo sa benissimo, per questo «adora» questo quartiere. Il caso ha voluto che lì fosse anche (Faubourg Saint-Honoré) la sua maison (boutique ma pure atelier), quella Lanvin che una certa signora Shaw Law Wang, ricchissima imprenditrice di Taiwan, gli affidò una decina di anni fa e che lui ha riportato in poche stagioni fra le maison che contano in fatto di stile.
Genio&curiosità. E racconta. «È così che colgo, qua e là, le mie ispirazioni». Osserva, ma soprattutto ascolta: «Libri, quadri, immagini? Anche. Ma sono le parole ad attirare la mia attenzione, la mia curiosità. È sempre da una parola che comincio la mia storia. Che non è mai però un monologo perché io amo i dialoghi». Suoni e significati. «E la mia fantasia va, prende un treno di notte e viaggia e viaggia». Strana creatura quest'uomo che non indossa mai le calze, che porta il pantalone corto-corto, il papillon o il foulard allentato, grandi occhiali neri e soprattutto che non nasconde il suo incondizionato amore per il cibo. «Si vede, eh? Ma io non do importanza alla forma e non mi guardo allo specchio! Ho bisogno della libertà di essere. Se mi togli quella sono morto. Libertà di mangiare, di provare, di dire, di sognare. Io non ho bisogno di molte cose. Solo di tempo e di libertà. Ecco. Magri, grassi. Alti o bassi. Ricchi o poveri. Bianchi o neri. Giovani o vecchi ma cosa significano queste classificazioni? Nulla».
Ma dietro a queste «classificazioni» ci si perde. A cominciare dalla moda. «Guardo esterrefatto per esempio a tutte quelle blogger e giornaliste che si cambiano quattro, cinque volte al giorno per farsi fotografare. Superficialità, niente altro che questo. Pure un po' aggressiva per via degli eccessi; pensare che invece questo sarebbe il momento di entrare dentro le cose. Non è più tempo di sedersi a una sfilata solo per raccontarla: un minuto dopo che è finita, già tutto il mondo la vede. Foto, filmati e tutte quelle altre cose». Cioè Twitter e «Fb»? «Sì, sì. Insomma, ciò che appare oggi è subito comunicato. Ma quel che sta dietro e dentro è un universo mondo che va raccontato, ai giornali del futuro il lavoro. Un mondo di storie e qualità. Che non hanno nulla a che vedere con tutta questa corsa a essere un personaggio per far parlare di sé. Io non ho tempo di andare a feste, cene e locali. Lavoro e lavoro. Certo un po' di vita folle piace anche a me perché se vivi di sola pizza non puoi creare molto... Però c'è altro».
Qualità è una parola che ricorre spesso nel vocabolario di monsieur. «Se ne sta perdendo traccia. Quando qualcuno mi dice "che bello, ma quanto costa?" Per me non è un complimento. Cosa significa quanto costa? Significa che un abito è qualcosa con tre buchi, due per le braccia e uno per la testa? O è una storia, un'ispirazione, un tessuto, un taglio ? Il mio lavoro ma anche quello dei miei assistenti e le sarte e le aziende e gli operai e gli artigiani».
Olivier Saillard, direttore del Palais Galliera e guru storico della moda, ha scritto in questi giorni su Le Figaro che lei è lo stilista che sta meglio interpretando la nuova sensualità femminile che i suoi abiti anche di pizzi e pellicce sono indossati dalle donne come fossero t-shirt. Si riconosce? «Ricordiamoci che un vestito senza una donna non è un vestito, dunque al centro ci deve sempre essere lei, che oggi lavora e viaggia e si muove. E non ha spesso tempo per pensare alle cose complicate».
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