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La Stampa Rassegna Stampa
21.12.2012 In Iran i giornalisti finiscono in prigione
Una notizia che non interessa all'Ordine dei Giornalisti Italiani

Testata: La Stampa
Data: 21 dicembre 2012
Pagina: 17
Autore: Farahmand Alipour
Titolo: «Massoud, cronista coraggio dell’Iran che non si arrende»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/12/2012, a pag. 17, l'articolo di Farahmand Alipour, giornalista iraniano fuggito all'estero, dal titolo "Massoud, cronista coraggio dell’Iran che non si arrende".


Mahsa Amrabadi e suo marito Massoud Bastani, entrambi giornalisti, entrambi in carcere


Fahramand Alipour, giornalista iraniano fuggito in Italia

Dalle contestate elezioni presidenziali in Iran sono passati tre anni e mezzo e in questi giorni a Teheran quegli uomini del regime che pensano di avere qualche possibilità di essere ammessi alla candidatura per sostituire Ahmadinejad si stanno preparando alle elezioni che si terranno nel giugno dell’anno prossimo. La concorrenza diventa ogni giorno più feroce nella capitale e tutti quelli che vorrebbero candidarsi cercano di apparire fedelissimi agli ideali della rivoluzione islamica del ’79 e al completo servizio della Guida Suprema della Repubblica Islamica.

Ci sono però alcune persone per le quali le vicende delle ultime elezioni non sono ancora del tutto concluse e per loro il caso è ancora più che aperto: per esempio i giornalisti che proprio dopo quelle elezioni sono stati arrestati e sono finiti nelle diverse prigioni sparse in giro per l’Iran. Tra questi ci sono due reporter: Mahsa Amrabadi e suo marito Massoud Bastani, due giovani che ancora oggi sono dietro le sbarre. Entrambi hanno un’età inferiore a quella della Repubblica islamica, hanno lavorato per anni nei giornali riformisti in Iran e durante le ultime elezioni presidenziali si sono impegnati nella campagna di Mir Hossein Mousavi che si presentò con una visione più moderata dell’Islam e in netta opposizione alle parole propagandistiche e alle azioni repressive di Ahmadinejad.

Due o tre anni prima delle elezioni del giugno 2009 ho lavorato con Masoud nella sede del giornale «Ayande Nou» (Futuro nuovo). Era un ragazzo coraggioso che aveva tre o quattro anni più di me e siamo stati entrambi responsabili per la copertura delle notizie politiche durante i primi anni del governo del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Ma questa collaborazione non ha avuto una lunga durata, visto che il nostro giornale, come decine di altri giornali riformisti in Iran, ha conosciuto una morte prematura. Così vedevo solo ogni tanto Masoud, alla Fiera internazionale del Libro o nelle sedi dei vari giornali che coraggiosamente ci davano spazio. Lui era sempre sorridente e pieno di fiducia in se stesso.

I nostri ultimi contatti risalgono alle ultime settimane prima alle elezioni, quando io lavoravo per la campagna di un candidato riformista tenendo aggiornato il suo sito web di notizie «Teribun» (Tribune) e lui per un’altra campagna, dove era responsabile di un altro sito chiamato «Jomhoriat» (Repubblica).

In quei giorni, quando ancora Facebook prima e dopo le elezioni aveva un ruolo importante, litigavamo spesso e ognuno pensava che il proprio candidato avesse la migliore ricetta per far progredire le riforme e iniettare un po’ di democrazia nel corpo dittatoriale del regime, inconsapevoli del fatto che il governo teocratico si preparava a un’altra cosa. I nostri due siti d’informazione libera, come tutti gli altri, sono stati oscurati, io sono fuggito dal Paese e Masoud e Mahsa sono stati incarcerati.

Subito dopo l’arresto Masoud è stato torturato per di strappargli una confessione televisiva, che lui si è rifiutato di fare, e ha continuato a resistere nonostante la promessa di liberare sua moglie nel caso cambiasse idea. Sua moglie Mahsa, liberata qualche mese fa, è tornata in carcere per finire di scontare la sua pena di due anni. Masoud invece, nonostante sia molto malato, continua la sua disobbedienza alle regole carcerarie, ad esempio si rifiuta di mettere il vestito dei carcerati, e quindi non riceve le cure mediche né viene ricoverato in ospedale. Qualche giorno fa però sarebbe dovuto uscire per il suo primo permesso di poche ore dopo tre anni e mezzo di reclusione e i suoi familiari sono andati ad aspettarlo alla porta della prigione. Lui però è uscito solo il giorno dopo e con un taxi è andato a casa di sua madre. Prima di rientrare in prigione la sera, in un videomessaggio pubblicato in rete, ha chiesto a tutti i giornalisti di essere uniti, ha parlato di sua moglie e ha finito il suo appello in lacrime.

Masoud attualmente si trova nel carcere di Rajjaee Shahr a Teheran e io dopo un lungo vagabondare in giro per il mondo sono con la mia solitudine in una stanza a Torino. A quanto pare, questo è il destino del giornalismo in Iran.

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