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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.12.2012 Vecchia terra nuova, di Theodor Herzl
la recensione di Giovanni Belardelli

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 dicembre 2012
Pagina: 19
Autore: Giovanni Belardelli
Titolo: «Il romanzo di Sion, terra dell'utopia»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/12/2012, a pag. 19, l'articolo di Giovanni Belardelli dal titolo "Il romanzo di Sion, terra dell'utopia".


Theodor Herzl, Vecchia terra nuova (Bibliotheca Aretina)
Per leggere la scheda di Libri Raccomandati (a cura di Giorgia Greco) dedicata alle opere di Theodor Herzl, cliccare sullink sottostante
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=47042

Theodor Herzl, il fondatore del movimento sionista, è universalmente noto per il libro Lo Stato degli ebrei, pubblicato nel 1896. Ma il messaggio fondamentale di quell'opera — l'idea di uno Stato dove l'ebraismo della diaspora potesse di nuovo riunirsi — animò anche un suo romanzo quasi sconosciuto del 1902, Vecchia terra nuova, ora pubblicato in italiano per la cura di Roberta Ascarelli (Bibliotheca Aretina, pp. 238, € 20). Inizialmente Herzl aveva pensato di affidare il proprio messaggio politico non a Lo Stato degli ebrei, ma a un'opera «straordinaria», il romanzo in questione. Si tratta effettivamente di un'opera «stupefacente», come la definisce la curatrice, anche se la qualità del romanzo rimane spesso schiacciata dalle pagine esplicitamente didascaliche e dalla trama narrativa un po' ingenua. Il libro immagina un meraviglioso avvenire visto con gli occhi di un ebreo austriaco che, abbandonata Vienna per una delusione amorosa ma anche per una più generale disperazione esistenziale, vive per vent'anni da eremita in un'isola e si trova poi a passare nel 1923 dalla Palestina. A quel punto si avvia il tema narrativo principale dell'opera: la descrizione delle meraviglie che gli ebrei hanno saputo portare in quella «vecchia e nuova» terra. Dalle coltivazioni ai mezzi di trasporto, dalla parità di diritti uomo-donna alla completa eguaglianza tra tutte le religioni e le culture, dalla pacifica convivenza con gli arabi alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, scorrono sotto i nostri occhi i temi di un'utopia sionista dai tratti ingenui ma suggestivi.
Siamo di fronte a un'utopia che, come mette bene in luce Roberta Ascarelli nella postfazione, si appoggia su molte e diverse opere: da libri utopistici come Guardando indietro 2000-1887 dell'americano Edward Bellamy a Gli anni di noviziato di Wilhelm Meister di Goethe. Per l'accostamento di fantasia utopica e fiducia nella tecnica, non escluderei che tra le fonti di Herzl vi fosse anche Saint-Simon: nel romanzo si immagina che gli ebrei abbiano costruito un canale tra il Mar Mediterraneo e il Mar Morto, e proprio in ambito sansimoniano erano nati nell'800 i progetti dei canali di Suez e Panama.
Il libro fu accolto piuttosto freddamente dalla cultura ebraica viennese: Karl Kraus vi ironizzò su, Arthur Schnitzler confessò all'autore di non averlo letto. Alla classe media ebraica dell'epoca appariva surreale — scriverà Stefan Zweig — che Herzl chiedesse agli ebrei di lasciare «le loro case e le loro ville della Ringstrasse, i loro affari, i loro incarichi; in una parola, che emigrassero, armi e bagagli, in Palestina per fondarvi una nazione». In effetti, gli unici personaggi negativi del romanzo sono gli appartenenti alla ricca e fatua borghesia ebraica viennese, che vediamo riferirsi al sionismo e all'idea del ritorno degli ebrei in Palestina al massimo come argomento per facili battute durante una cena («al suono della parola Palestina, echeggiò una scrosciante risata»).
L'ottimismo che Vecchia terra nuova condivide con ogni opera utopistica ha un sottofondo drammatico e tragico. Non solo perché il protagonista è presentato subito come un giovane «colto e disperato», che vive in un milieu ebraico «che dava valore solo al divertimento e al tornaconto». Dietro l'utopia sionista di Herzl c'è l'esperienza dell'antisemitismo europeo, direttamente conosciuto quando era stato a Parigi negli anni dell'affare Dreyfus. Nel romanzo uno dei protagonisti della Nuova Società, costruita in Palestina su base mutualistica e multietnica, osserva che tutto era stato reso possibile dai grandi progressi della tecnica, certo. Ma di quei progressi si erano potuti giovare soltanto gli ebrei per una forza speciale da loro posseduta: «Da dove ci veniva? Dalla generale, angosciante pressione che era esercitata su di noi, dalla persecuzione, dal bisogno». Persecuzione e condizione di bisogno che nell'immaginario 1923 descritto da Herzl sono assenti: nell'ottimistica situazione da lui presentata nel romanzo l'antisemitismo risulta ormai scomparso, sia in Palestina sia nel resto del mondo. Una conclusione, o meglio un auspicio, che la storia successiva si sarebbe incaricata di smentire completamente.

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