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La Stampa Rassegna Stampa
17.12.2012 Tunisia: islamisti persino peggio di Ben Ali. Altro che 'primavera'
censura e shari'a in arrivo, niente a che vedere con la democrazia

Testata: La Stampa
Data: 17 dicembre 2012
Pagina: 13
Autore: Tomaso Clavarino
Titolo: «Tunisi, la rivoluzione tradita: Islamisti uguali a Ben Ali»

Che l'arrivo degli islamisti abbia tradito la primavera araba è sotto gli occhi di tutti. L'autoinganno dell'Occidente di fronte al pericolo islamico non ha più scuse, come dimostra l'articolo  dal titolo "Tunisi, la rivoluzione tradita: Islamisti uguali a Ben Ali" di Tomaso Clavarino sulla STAMPA di oggi, 17/12/2012, a pag. 13.


Rached Ghannouchi

Rabbia, delusione, disincanto: sono i sentimenti che si respirano camminando per le strade di Tunisi, nei vicoli della Medina, nei caffè di Avenue Bourguiba dove, esattamente due anni fa, infuriavano manifestazioni, scontri e proteste contro il regime dell’allora padre padrone della Tunisia, Zine El Abidine Ben Ali.

Era il 17 dicembre del 2010, quando il giovane commerciante abusivo di Sidi Bouzid, Mohamed Bouazizi, si diede fuoco dando il via alla «Rivoluzione dei Gelsomini» secondo una narrazione ormai consolidata. Una rivoluzione carica di speranze, di aspettative, di sogni, che, come racconta Lina Ben Mhenni, blogger e attivista per i diritti umani, sorseggiando un caffè all’aperto della Ville Nouvelle «si sono presto infranti. Dopo qualche mese di euforia, di libertà, abbiamo capito che in realtà poco o nulla era cambiato. La violenza, la limitazione della libertà di espressione, la corruzione, sono tornati prepotentemente sulla scena, come sotto Ben Ali».

Lina stessa è stata più volte picchiata, pedinata, insultata pubblicamente, minacciata, durante l’ultimo anno. Da quando, in sostanza, Ennahda, il partito islamista moderato tunisino, ha preso le redini dell’Assemblea Nazionale Costituente e della Troika di governo insieme a due partiti minori, Ettakatol e il Congrès pour la République (Cpr), entrambi di centrosinistra. Un governo di transizione che dovrebbe traghettare il Paese alle prossime elezioni, previste per giugno 2013, e redigere una nuova Carta Costituzionale, ma che invece sembra paralizzato e incapace di gestire questa fase cruciale della politica tunisina. «Ormai si è capito che le elezioni non potranno mai essere a giugno del prossimo anno - spiega H. Z., giornalista di un settimanale tunisino che preferisce rimanere anonimo -. Ennahda sta cercando in tutti i modi di allungare questa fase transitoria per cementare il proprio potere fondato sul clientelismo e sul nepotismo. Della Carta Costituzionale si sa poco o nulla, l’economia è allo sbando, la disoccupazione sta raggiungendo livelli mai visti. L’unica certezza per il momento è la repressione».

Così come a Ben Ali, anche a questo governo, infatti, non piacciono le proteste e le voci contrarie. La polizia carica con violenza qualsiasi manifestazione di piazza, non limitandosi ai manganelli e ai lacrimogeni ma sparando sui manifestanti. È successo a Siliana, una cittadina a circa 120 chilometri a Sud di Tunisi, circa dieci giorni fa. La gente è scesa in piazza, in una delle zone più povere del Paese, per chiedere lavoro e investimenti. La polizia ha risposto sparando ad altezza d’uomo con proiettili a pallettoni: il risultato è stato che una quarantina di persone sono state colpire agli occhi, la maggior parte resterà cieca. «Durante i tre giorni della protesta di Siliana c’è stato un vero e proprio massacro - racconta Ahmen Allah, medico all’ospedale di Tunisi -. In ospedale arrivavano in continuazione feriti e giovani, poco più che ventenni, con ferite agli occhi. A questi giovani hanno rubato il futuro soltanto perché hanno chiesto lavoro e diritti e protestato contro il governatore di Ennahda».

La riforma delle forze di sicurezza sembra essere caduta nel dimenticatoio e buona parte dei vertici della polizia e delle forze armate non sono cambiati rispetto all’era Ben Ali. Nelle stesse piazze dove per mesi si sono sentiti urlare slogan come «Lavoro, libertà, dignità!» ora la vita scorre apparentemente tranquilla, quasi apatica. L’idea di una rivoluzione tradita che ha sì fatto cadere un dittatore ma che ha portato in cambio un governo repressivo e, in maggioranza, islamista, si è fatto largo in molti; soprattutto tra i giovani che nei mesi a cavallo tra il 2010 e il 2011 erano sotto i lacrimogeni della polizia. E per molti è addirittura paradossale pensare che chi ora governa il Paese non ha partecipato alle manifestazioni contro Ben Ali, «la maggior parte dei membri di Ennahda era in esilio durante i mesi di manifestazioni e scontri - continua Lina -. Sono arrivati alla fine e hanno messo il cappello sulla rivoluzione usando anche metodi non proprio ortodossi».

Così come non ortodossi sono i metodi usati dalla famigerata, ed odiata da buona parte dei tunisini, «Ligue de protection de la revolution», una sorta di milizia arruolata da Ennahda con il pretesto di difendere la rivoluzione. In realtà si tratta di un gruppo, armato e violento, al soldo del partito di governo, e composto sia da ex galeotti liberati con un’amnistia decisa dal primo ministro Hamadi Jebali che da membri dell’ex partito di Ben Ali, che ha già attaccato ripetutamente sedi, iniziative e membri dell’opposizione. L’ultimo caso il 4 dicembre quando la «Ligue de protection de la revolution» ha attaccato la sede di Tunisi dello storico sindacato tunisino Ugtt: «è stato un atto gravissimo - dice Ghassan Ksibi, dirigente dell’Ugtt - al quale abbiamo risposto dichiarando uno sciopero generale poi cancellato perché abbiamo ottenuto delle garanzie dal governo per un’inchiesta trasparente».

Un po’ poco forse per quella che sembra essere l’unica forza, pur non essendo un partito, in grado di contrastare Ennahda. Ma l’escalation di violenza e repressione nella nuova Tunisia della Troika non è dovuta esclusivamente alle milizie governative e alla polizia. Anche i salafiti, sempre più numerosi, e repressi durante l’era Ben Ali, hanno iniziato a mostrare i muscoli attaccando mostre d’arte, picchiando militanti laici, insultando e malmenando donne e ragazze non velate per strada e all’uscita dei locali. Il tutto nel silenzio del governo.

Se le donne tunisine sono riuscite nei mesi scorsi a vincere la loro battaglia per l’eguaglianza dei sessi (il governo voleva inserire nella Costituzione la complementarietà tra uomo e donna al posto della parità), lo stesso non si può certo dire in riferimento alla comunità omosessuale tunisina. Una comunità che ha partecipato attivamente alle proteste contro Ben Ali e che ora si sente oppressa come prima, se non di più. «Insomma, forse a due anni di distanza è giunto il momento di iniziare a chiamare quello che è successo in Tunisia con il suo vero nome - afferma Ramzi Bettaieb, blogger di Nawaat, motore di informazione senza censura per tutto il Nord Africa -. Quella tunisina è stata una finta rivoluzione. Le rivoluzioni cambiano i sistemi, le situazioni e le cose. Qui tutto è come prima. C’è chi dice che ora c’è libertà di stampa ma forse non si ricorda che già nell’ultimo periodo di Ben Ali la censura era stata praticamente abolita. Forse abbiamo sbagliato due anni fa a riporre troppa fiducia in quello che stava succedendo, ad avere troppe aspettative. In Tunisia c’è stata una ribellione di massa, un’insurrezione, chiamatela come volete, ma finiamola di parlare di rivoluzione. La rivoluzione è un’altra cosa».

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