Sul CORRIERE della SERA del 15/12/2012, a pag 57, con il titolo "Gog marcia ancora sul piccolo Davide", Guido Ceronetti, da grandissimo poeta, conferma il suo amore per Israele in un pezzo illuminato, in tale misura e grandezza che gli perdoniamo l'incauta citazione di Sergio Romano, maestro nella dissimulazione. Grazie, caro Guido !
Ecco l'articolo:
Bisogna saper pensare terribilmente, perché ci sia un pensiero. Se non pensi tragicamente non puoi pensare Israele. L'enormità della rivelazione biblica, l'enormità della Shoah, l'enormità della guerra permanente dell'inverosimile Erez, lo Stato ebraico di Palestina, pongono la necessità che di ciò che è Israele, fin dal suo violento assumere un tale nome (Genesi, 32) occorre parlare con reverenza sacra, con la paura che in Grecia suscitavano i luoghi consacrati alle Eumenidi.
Il pensiero più terribile che si possa avere, in Occidente, nel mondo non islamico, è la dissoluzione, la scomparsa del piccolo Stato che disturba, col suo voler esserci, tutto il bisbigliargli attorno preoccupato dei destini umani che da vicino o da lontano ne dipendono. (Sono forse quasi tutti quanti siamo, di provvisoriamente vivi). Il pensiero sacralmente più terribile che possa io formulare è che l'Erez, il focolare ebraico della dichiarazione Balfour, l'unico Stato moderno democratico nel mare islamico, in stato di guerra permanente dal 1948 (o forse, dirò meglio, da quando il panorama di Tel Aviv erano una pompa d'acqua e tre o quattro case in legno da Western, 1900 circa) non possa tenere a lungo, perché la potenza militare non basta in un conflitto che di nazional-politico ha sempre meno e di religioso sempre di più.
E se Israele non reggesse, la prospettiva è un cratere alla Ground Zero, ma più immaginabile nel suo orrore dell'11 settembre, un cratere imperdonabile, come la Shoah, da esseri pensanti, qualora nel Day After ne restassero. Quel che non viene considerato abbastanza è che i due massimi nemici di Israele, interamente votati alla causa della sua distruzione, sono Hamas e Iran (con la sua appendice Hezbollah), di cui l'ultimo ormai volens nolens, potenza nucleare. Oscenamente nucleare, un malaugurio per tutti, una metastasi perfettamente naturale e diagnosticabile fin da quando l'angelico Khomeini tornò in trionfo a casa. Obama, per aver teso la mano a quel regime di barbarie, si è bruciate le dita. Ma in caso di minaccia irreparabile, Israele non compirebbe un controesodo: spalancherebbe l'abisso di Dimona. Alef-Tau: la fibbia è fibbiata, non cercate più laggiù qualcuno. Guarda! È a Gaza di Palestina che si compie la tragedia dell'impotenza repentina, in casa della parrucchiera Dalila, dell'invincibile Sansone. Vedine la storia in Giudici 16; ma tutti sanno come finì, Sansone muore insieme ai Filistim.
Acutissima, un'osservazione di Sergio Romano: Israele sospende con sollievo i suoi bombardamenti su Gaza perché sente di perdere la faccia a causa della sproporzione nel numero delle vittime: tre morti israeliani, oltre cento palestinesi. Lì c'è qualcosa da decifrare, nell'inconscio ebraico più oscuro, un moto, un pudore di coscienza che teme di violare la legge divina. Non si può, pur volendo ad ogni costo vivere, perdere le ragioni del vivere (propter vitam vivendi perdere causas). Ma chiaramente si tratta, in ogni guerra di Israele, dai tempi del re Saul, di una tregua di Natale (Christmas truce) come quella sul fronte occidentale del 1915; la pace non ha mai abitato sui suoi confini.
Se qualcuno dei miei lettori ha un poco di familiarità biblica, lo rimando al trentottesimo di Ezechiele, la profezia su Gog, che mi torna in mente specialmente ad ogni nuovo conflitto di Israele. I versetti fondamentali sono 14-16; ne trascrivo il primo: «Dunque profetizza, figlio dell'uomo; dirai a Gog: così parla il Signore Iddio: nel giorno in cui il mio popolo Israele abiterà al sicuro (dwelleth safely traduce la King James), tu ti metterai in movimento». Gog simboleggia il nemico totale, lo sterminatore assoluto, e l'ordine di mettersi in marcia per la distruzione del suo popolo gli è dato dallo stesso amorevole Signore.
Gog si mette, nel XX secolo, in movimento nel 1933, e parve dissolversi nell'anno-zero di Berlino; ma eccolo riaffacciarsi nel 1948, appena il popolo dell'Exodus, sfinito naufrago, ritiene di essere approdato al sicuro. E non gli resta che sempre più armarsi, e tenersi l'arma al piede, perché i clamori di morte di Gog non avranno mai fine. (La Scrittura non fa politica, la pace promessa è messianica, sta venendo sempre senza mai venire). Hamas, che spara senza fine dall'emblematico santuario di Gaza, è una piccola isola di paranoia, ma ha ricevuto l'ordine impartito a Gog seicento anni prima nell'esilio di Babilonia.
Questa breve meditazione mi conduce a una conclusione difficilmente contestabile. Finché l'abitare al sicuro sarà negato, nel tempo ciclico, a Israele, l'Erez del fallace 1948 vivrà in una sicurezza relativa, minacciata sempre, con rabbia e furore impotente di Gog, che è in ogni luogo (ora una strage di bambini a Tolosa, ora striscioni immondi in uno stadio romano). La sicurezza garantita dalla guerra; tutta la nostra logica storica va a pezzi! Ma capisco; c'è da dare testate nel muro, cari pacifisti di Gerusalemme e di Palestina. Tenete conto, se volete, di questo, miei cari mai incontrati amici, David Grossmann, Bernard Henri-Lévy.
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