Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 14/12/2012, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "I nostri atei scoprono che la teocrazia islamica è peggio del clericalismo".
Roma. Il clericalismo resta l’ossesione dei nostri atei militanti, ma adesso temono di più le teocrazie islamiche. L’International Humanist and Ethical Union, l’associazione che raggruppa centoventi organizzazioni “atee, razionaliste e umaniste” in oltre quaranta paesi, in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani ha pubblicato la sua “watch list”, chiamata “Freedom of Thought 2012”, per denunciare i paesi che perseguitano i “senza dio”. In classifica svettano sette paesi islamici, Afghanistan, Iran, Maldive, Mauritania, Pakistan, Arabia Saudita e Sudan, dove gli atei rischiano la morte, mentre in Bangladesh, Egitto, Indonesia, Kuwait, Turchia e Giordania non si possono pubblicare testi ateisti o umanisti, sono vietati tra quelli blasfemi. Il rapporto è stato presentato a Heiner Bielefeldt, rappresentante delle Nazioni Unite per la libertà religiosa. Della Turchia l’internazionale atea denuncia il caso del “Mozart turco”, il pianista di fama mondiale Fazil Say, “colpevole” di aver ironizzato su Twitter sul canto dei muezzin e aver postato poesie di Omar Khayyam. Noto per le interpretazioni di Cajkovskij, Say non ha mai nascosto di essere ateo in un paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione si dichiara sempre di più musulmana e che negli ultimi anni, sotto il governo di Erdogan, ha visto una forte islamizzazione. Il rapporto cita il caso del blogger palestinese Waleed Husayn, fuggito in Europa dopo la condanna a morte emessa in Cisgiordania dai tribunali di Abu Mazen e del premier Fayad. Secondo l’Autorità nazionale palestinese, Waleed avrebbe “promosso l’ateismo”. In uno scritto, intitolato “Perché ho abbandonato l’islam”, Husayn scrive che i musulmani “credono che tutti quelli che lasciano l’islam siano o un agente o una spia di qualche stato occidentale, di solito Israele” e che non capiscono che “le persone sono libere di pensare e di credere in quello che vogliono”. C’è anche chi chiedeva che il blogger fosse bruciato vivo sulla pubblica piazza. Il rapporto ci porta nella Tunisia post Ben Ali, dove il direttore del canale televisivo Nessma, Nabil Karoui, è stato condannato per aver trasmesso il film “Persepolis” dell’iraniana Marjane Satrapi, il cartoon in cui l’autrice narra e denuncia con molto coraggio e schiettezza la teocrazia islamica iraniana. Nessma, che in arabo vuol dire “aria fresca”, è la televisione dello schieramento laico e modernista. Ci sono state marce contro il film, pagine Facebook inneggianti alla morte del doppiatore, gruppi islamici e avvocati che hanno denunciato la tv alla magistratura, un pesante boicottaggio commerciale, dunque un clima d’odio senza precedenti in Tunisia. Il direttore della tv Karoui è stato minacciato di morte e anche la sua famiglia è caduta nell’incubo. Karoui è stato portato in tribunale per rispondere dell’accusa di “ateismo”. In rete sono apparsi editti religiosi contro di lui e i dipendenti dell’emittente. Uno squadrone di zeloti ha attaccato la sua abitazione armato di coltelli, gli hanno rotto i vetri delle finestre, sua moglie e i figli si sono messi in salvo per miracolo. Anche dall’Iran è arrivata la condanna della tv, definita “eretica”. Atei languono nelle carceri del “nuovo Egitto”, dove spiccano casi come quello di Abdel Suleiman, più noto come “Karim”. Per la prima volta un blogger arabo è stato processato per i suoi scritti. Il giovane egiziano ha perso la libertà per aver usato una tastiera. “Dobbiamo convincere l’essere umano della sacralità della sua persona”, aveva scritto lo studente del Cairo. Troppo per i custodi dell’islam. “La legge non è uno strumento di repressione tramite il quale chiunque la gestisca miri a creare una nuova divinità alla quale l’uomo si deve prostrare”. Il miglior commento ai casi di atei vessati dalla pedagogia coranica è arrivato dallo scultore turco Mehmet Aksoy: “E’ come l’Inquisizione, vietano tutto quello che spinge la gente a ridere, a pensare”.
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