Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 11/12/2012, a pag. 17, l'intervista di Andrea Tarquini a Elie Wiesel dal titolo "Elie Wiesel: Non basta l’economia, Bruxelles combatta l’antisemitismo".
Elie Wiesel Jobbik, il partito antisemita e razzista ungherese
BERLINO— «È un riconoscimento non più a storie personali eroiche bensì alla Storia: un continente in pace dopo secoli di odio e guerre. Però è anche un monito a non dimenticare crimini passati, in primis l’Olocausto, e a non tollerare deviazioni pericolose come vediamo purtroppo in Ungheria, per esempio». Elie Wiesel, Nobel per la pace, sopravvissuto ad Auschwitz, commenta a caldo la cerimonia di Oslo.
Professor Wiesel, il premio fa pensare a lei, alla splendida Aung San Suu Kyi, a Walesa. Non a istituzioni come la Ue. Che ne dice?
«Non sarebbe elegante da parte mia criticare la giuria. Hanno avuto le loro idee, chi onorare, chi sono io per dire che hanno sbagliato?».
È un Nobel. Lo conferirono a Lei come ad altri protagonisti d’impegno per la pace e lotta non violenta per la libertà, la democrazia, i diritti umani. Lotta non violenta ma molto pericolosa per loro. Oggi non è diverso?
«Certamente, è diverso. Ma forse è anche un’idea originale, a volte le idee originali arrivano a sorpresa e dobbiamo essere capaci di capirle. O provarci almeno. Riflettiamo un momento: per secoli nella storia dell’umanità l’Europa è stata il luogo di odio e guerre. Francia contro Germania, o tutti contro tutti. Adesso è un’unione di nazioni, popoli, società che vivono insieme cercando di superare odi e ideologie. L’idea è difendibile. Certo, è molto più romantico pensare a una singola persona, una donna o un uomo, che hanno rischiato per la libertà di altri, e onorarli».
Appunto, qual è il cuore della differenza tra premiare Aung San Suu Kyi o lei, o invece le istituzioni di Bruxelles?
«È la differenza tra premiare una storia umana personale, eccezionale e premiare la Storia, un tentativo di svolta della Storia. Nazioni nemiche per secoli non sono più nemiche, non è più una grande Storia personale eroica ma è Storia, non è male».
Ma l’Europa ha ancora passato e memoria divisi. Ci fu chi a Est lottò come Walesa o Havel, Nagy o Dubcek o Gorbaciov, a Ovest fu ben più facile, no?
«Capisco la sua opinione, ma rispetto la scelta. Io di solito preferisco veder premiare una persona. Ma la Storia esiste, l’argomento di voler premiare la Storia è rispettabile».
Su Walesa o Aung San Suu Kyi si sono fatti bei film, ma sui burocrati
della Ue?
«Insisto, Bruxelles non significa eroiche storie personali, ma comunque svolta della Storia dopo secoli».
Ma la Ue si divide ogni giorno: come all’Onu sulla Palestina…
«Non è una ragione per criticare la scelta di premiarla».
L’Europa dovrebbe fare di più?
«È premiata, vuol dire che ha fatto abbastanza. Ma il processo del fare abbastanza è una Storia infinita. In futuro l’Europa deve darsi una migliore strategia per crescere insieme nei valori, non solo nell’economia».
È pessimista od ottimista?
«Devo essere ottimista perché lo voglio. Qual è l’alternativa?»
Ci sono però populismi che crescono in alcuni Paesi. In Ungheria, ad esempio, il premier parla di “nazione etnica”.
«Conosco l’antisemitismo ungherese. Per questo dico che l’Europa deve felicitarsi del premio e fare di più avendolo avuto. L’Ungheria oggi non porta onore all’Europa e ai suoi valori. Può essere contagioso».
Cosa spera e teme dall’Europa premiata?
«Se non ricorderà crimini ed errori del passato sarà in pericolo. Ma spero che malgrado errori occasionali come in Ungheria abbia imparato. L’Europa è tuttora sotto esame e merita di essere criticata e di ricevere lezioni. Nazismo e comunismo, le due ideologie più vergognose, sono nate in Europa, ma là sono crollate ».
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