Morsi fa marcia indietro, titola il CORRIERE dellaSERA, come pure altri giornali, ma la mossa è tattica, i poteri assoluti li riavrà con la nuova Costituzione, come analizza oggi, 09/12/2012, Mordechai Kedar in altra pagina di IC. Ecco il pezzo dell'inviato al Cairo Paolo Valentino, a pag. 14:


DAL NOSTRO INVIATO
IL CAIRO — Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Nella drammatica partita politica egiziana, ieri è stato il giorno dei militari. Fin qui convitato di pietra nello scontro in atto da due settimane tra il Presidente islamico Mohamed Morsi e l'opposizione laica guidata da Mohamed ElBaradei, l'esercito ha gettato il suo enorme peso nella contesa, producendo la prima schiarita in uno scontro che stava rischiando di far esplodere il Paese.
Cedendo alla pressione delle gerarchie, Morsi ha ritirato il decreto del 22 novembre scorso, col quale si era concesso poteri straordinari, sottraendosi a ogni controllo da parte della magistratura. Era la principale condizione, posta dagli oppositori per l'avvio di un dialogo con il presidente. Sull'altra, la cancellazione del referendum sulla nuova Costituzione in programma il 15 dicembre, il capo dello Stato ha confermato la data, facendo sapere solo di voler verificare la possibilità di un rinvio.
Non è detto che ciò basti all'opposizione, che nella nuova carta costituzionale vede in filigrana il passaggio fraudolento verso un regime islamico fondato sulla sharia. Ma si tratta in ogni caso di un'apertura importante, probabilmente in grado, sotto il patrocinio dei militari, di riannodare il filo spezzato della trattativa politica. Ci si è arrivati al termine di una giornata lenta, tipicamente egiziana, dove poco di ciò che sembra è quello che poi è. E dove eventi in apparenza scollegati finiscono per rivelarsi parte di una complessa regia.
Con un doppio annuncio, quasi simultaneo e probabilmente coordinato, dapprima il giornale governativo Al Ahram ha rivelato che Morsi ha già messo a punto ed è pronto a emanare un decreto, che assegna ai militari funzioni di polizia, affidando loro temporaneamente la protezione delle istituzioni statali e autorizzandoli ad arrestare i civili coinvolti in eventuali disordini. Non è ancora la legge marziale, ma poco ci manca.
Poche ore dopo, un portavoce dello Stato Maggiore ha letto una dichiarazione nella quale l'esercito si è detto «addolorato e preoccupato» per la spaccatura che mette in pericolo il Paese e ha riconosciuto «la propria responsabilità nel difendere gli interessi supremi della nazione e proteggere gli obiettivi vitali, le istituzioni e l'interesse dei cittadini innocenti». I militari hanno invocato un «serio dialogo nazionale», come sola strada in grado di portare a un consenso «nell'interesse dell'Egitto e del suo popolo»: «Ogni altra ipotesi ci metterebbe in un tunnel buio con conseguenze catastrofiche, qualcosa che non permetteremo». E in quella che è apparsa come una bacchettata all'opposizione, che ha messo sotto assedio il palazzo del presidente liberamente eletto e richiesto le sue dimissioni, l'esercito ha ricordato infine che ogni soluzione «non dovrebbe contraddire la legittimità e le regole democratiche».
La manovra ha coinciso con una controffensiva politica dei Fratelli Musulmani, il partito del presidente, che nel pomeriggio ha tenuto la prima conferenza stampa di alto profilo dall'inizio della crisi. Mohammed Badie, suprema guida spirituale del movimento, ha condannato le violenze degli ultimi giorni, la cui responsabilità ha ovviamente addossato all'opposizione e, sull'esempio di Morsi, a una «cospirazione» in atto per cacciarlo. Badie ha difeso le elezioni come la via migliore per uscire dall'emergenza. Ancora più duro il suo potente vice, l'uomo d'affari Khairat el-Shater: «Non ci faremo nuovamente rubare la rivoluzione. Il nostro compito è difendere la legittimità e fermare il complotto per distruggere il presidente».
L'arrivo sulla scena dei militari può essere un'arma a doppio taglio per Morsi. Lo mette al riparo da ogni colpo di mano e ne stabilizza temporaneamente il potere. Ma allo stesso tempo, costringendolo a rimangiarsi il decreto sui pieni poteri, cioè la miccia che ha innescato la rivolta, ne diminuisce l'autorità e il prestigio, inviando al Paese il chiaro messaggio che l'esercito è ancora il vero arbitro di ogni equilibrio politico.
Nelle strade, la giornata di ieri, complice la festa, è trascorsa in modo tranquillo. Una grande folla, comunque meno numerosa della sera precedente, ha continuato a circondare il palazzo presidenziale, protetto dalla guardia repubblicana, l'unità d'elite dell'esercito che risponde direttamente al capo dello Stato. Un nuovo cerchio di blocchi in cemento è stato disposto intorno all'edificio.
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