Hamas perpetua la cultura dell'odio trasmettendola ai propri figli commento di Umberto Silva
Testata: Il Foglio Data: 07 dicembre 2012 Pagina: 2 Autore: Umberto Silva Titolo: «Il figlicidio del popolo palestinese che l’Europa, irresponsabile, soccorre»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/12/2012, a pag. 2, l'articolo di Umberto Silva dal titolo " Il figlicidio del popolo palestinese che l’Europa, irresponsabile, soccorre".
Umberto Silva
Un bell'articolo, quello di Umberto Silva, peccato per il pistolotto finale sugli 'insediamenti'. Gerusalemme è la capitale di Israele, non una colonia, perciò la costruzione di nuovi appartamenti non può essere definito "uno sciocco profluvio d’insediamenti, foriero di altri disastri". Ecco il pezzo:
Scrivere d’Israele e Palestina serve a niente ma anche all’essenziale: è un esercizio spirituale, un modo per contrastare, almeno nel proprio cuore, quel nichilismo che da tempo pervade l’Europa ottundendone l’ascolto, trasformando il senso di colpa per i suoi trascorsi coloniali in una colpa senza senso, pura elargizione di un maternage verso quel popolo palestinese che l’Europa soccorre nell’irresponsabilità, privandolo del pensiero. Sono cinquant’anni che i giovani europei, di destra e di sinistra, ostentano un feroce quanto sciocco antisemitismo coniugato con l’antiamericanismo, sposando essi la dottrina che vede in ogni israeliano un sanguinario sopraffattore e in ogni abitante di Gaza una povera vittima. Troppo generico, occorre una precisazione: non sono i barbuti capi di Hamas le vittime, quanto i loro figli. Vittime dei loro padri. In una macabra svista i ragazzi europei disdegnano i propri alacri e fin troppo protettivi genitori, per glorificare lontani padri indegni. Creano dei reietti della terra con cui identificarsi, per vivere a propria volta in una lamentosa rivendicazione. Parricidio qui, infanticidio là. I modi sono molteplici: se in Afghanistan e altrove i talebani mantengono i figli nell’ignoranza e nella deprivazione, Hamas costruisce ospedali, scuole e biblioteche proprio per sfatare l’accusa d’infanticidio e, in tal modo, perpetrarlo più comodamente. Non educa i bambini alla bellezza e all’amore, ma all’odio e alla pigrizia delle armi, alla monotonia di un dispettoso lancio di razzi sul vicino di casa, giusto per fargli saltare i nervi e scagliargli addosso i mastini della morale mondiale, gente che poi in casa sua ne fa di tutti i colori. Figlicidio: si espongono i figli in prima fila, li si manda a morire e, cosa più orrenda di tutte, li si usa come scudo. Lo scudo umano è quanto di più miserabile si possa architettare: si confida nella generosità del nemico che dovrebbe fermarsi davanti a quella giovane vita che, invece di proteggere, si espone allo scempio. L’infanticida ammette così, tranquillamente, tra una pipata e un tè alla menta, in uno sfoggio supremo di avarizia e orrenda modestia, che il nemico ha un’anima e lui no. E se il nemico non si ferma, lo accusa d’infanticidio. Come gli ebrei tengono viva la memoria della Shoah, affinché il genocidio non abbia a ripetersi, così Hamas, affinché si ripeta, tiene vivo l’odio. Il figlio deve diventare peggiore del padre, di modo che un giorno non possa chiedergli conto di quel che ha fatto e non fatto. “Papà, perché non mi hai fatto studiare? Perché non mi hai insegnato ad amare? Perché non ho un braccio?”. Domande temibili, cui è impossibile rispondere. Ogni razzo lanciato contro i figli d’Israele è un razzo contro i propri figli, Hamas lo sa e persevera. I figli muoiono e i padri scendono in piazza a festeggiare la vittoria diplomatica ottenuta grazie al sacrificio rituale dei bambini. I terroristi di Hamas vanno puniti non tanto per l’uccisione degli israeliani, quanto innanzitutto per quella dei loro figli. Si priva così un bambino del suo genitore? No, gli si dà una chance di esistere. Le cose volgono al peggio, la guerra totale incombe. Perfino il mite Yehoshua non ne può più della pioggia infuocata con cui si cerca di trasformare Gerusalemme in Sodoma, e chiama alle armi. Se necessario, le armi, certo. Ma i bambini, e le madri, vanno tutelati, e per quanto mirate siano le esecuzioni, c’è sempre un bambino che muore. E’ comprensibile, fin scusabile, ma non è giusto; soprattutto non è bello: gli israeliani hanno un’arma migliore. Certo, è facile fare i saggi sulla martoriata pelle degli altri, sui loro incubi quotidiani, ed è quindi non senza vergogna che esprimo il mio parere: la grandezza di Israele si manifesta soprattutto nella generosità, nella sopportazione, nell’essere sempre fedele alla migliore delle leggi, al sinite parvulos venire ad me; è con questi meriti che Israele si guadagna il diritto a esistere. E’ scambiando un proprio figlio con mille assassini. E’ riportandolo in vita nella scrittura di David Grossman. Dai bambini occorre partire, a loro pensare e assicurare un presente e un futuro. Frutto dell’esasperazione, di una situazione che incessantemente ricade nel sangue, la recente risoluzione dell’Onu che scavalcando gli accordi di Oslo emancipa a stato la Palestina pare un gesto disperato ed estremo, una botta alla tivù quando tutti i canali sono impazziti e si vedono solo immagini sconnesse, in lite tra di loro, insensate. A volte la botta funziona, più spesso no; accade anche che l’apparecchio si sfasci del tutto. L’augurio è che questa mossa vada a buon fine, il sospetto è che sia stata dettata da interessi economici e politici assai loschi, considerati i tipi poco raccomandabili che frequentano quell’organizzazione sempre più misteriosa nei mezzi e nei fini. Tuttavia, finché l’America, Usa più Canada, sono amiche, Israele è al sicuro; ma allora perché irritarle con uno sciocco profluvio d’insediamenti, foriero di altri disastri? Il primo comandamento è di proteggere i bambini e si fa gli infantili? Troppo insanguinata è la Terra promessa; di questo passo il sacro e il simbolico fuggono via, al loro posto il triste feticismo. Occorrono nervi saldi, prudenza, lungimiranza; uno stato che s’innalza a faro di civiltà, a esempio di intelligenza, forza e saggezza, è indistruttibile.
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