Egitto: Morsi schiera i carri armati contro l'opposizione analisi di Carlo Panella, cronaca di Cecilia Zecchinelli
Testata:Libero - Corriere della Sera Autore: Carlo Panella - Cecilia Zecchinelli Titolo: «Morsi invita al dialogo ma schiera i tank - Con la sua arroganza il 'Faraone' ha unito i nemici»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 07/12/2012, a pag. 18, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Con la sua arroganza il «Faraone» ha unito i nemici". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Morsi invita al dialogo ma schiera i tank ". Ecco i pezzi:
LIBERO - Carlo Panella : "Con la sua arroganza il «Faraone» ha unito i nemici"
Carlo Panella
Le dimissioni di tutti i 17 consiglieri Mohammed Morsi annunciate da uno di loro, Ayman el Sayat, in aperta dissociazione dalla repressione delle proteste di piazza, sigillano il suo demenziale comportamento. Dimostrano infatti che la sua decisione di assumere poteri dittatoriali e di varare in fretta e furia una Costituzione fondamentalista, pasticciata e incoerente, ha innescato una reazione a catena che va ben al di là delle solite proteste di piazza Tahrir. Le mosse di Morsi dividono ormai profondamente il suo stesso Palazzo, producono una frattura profonda dentro la stessa Fratellanza musulmana (confermata dalle dimissioniI di Rafik Habib vice presidente di Giustizia e Libertà, il partito politico dei Fratelli musulmani) oltre a creare un braccio di ferro con tutta la magistratura - alta e bassa - dell’Egit - to. La grande novità di queste ore è dunque la crisi interna dei Fratelli musulmani egiziani a seguito della improvvida decisione di una parte di loro di mobilitare la piazza contro la piazza dell’opposizione con conseguenti scontri diretti tra i manifestanti dell’opposi - zione, tanto sanguinosi da lasciare sull’asfalto 7 morti e centinaia feriti. In pochi giorni Morsi è dunque riuscito nell’impresa sconcertante di unificare l’op - posizione politica del Paese - da sempre divisa e frammentata - di vanificare il successo personale ottenuto con la mediazione tra Israele e Hamas per sancire la tregua a Gaza e di lacerare il quadro di comando politico dell’Egitto, a partire dai suoi stessi Fratelli musulmani. Il tutto senza alcuna ragione apparente, se non un dilettantismo politico senza pari, una tracotante concezione del potere e una totale mancanza di fiuto. La decisione di porsi al di sopra di ogni controllo da parte della Corte Suprema, così come del Parlamento, è stata infatti presa da Morsi non a fronte di una situazione di emergenza, ma proprio nel momento in cui avrebbe potuto governare senza alcun problema, a fronte di un’opposizione debole e ininfluente. Il risultato di questa incredibile serie di errori è scontato: Morsi si avvia sempre di più nella spirale repressiva, è spinto ad affidarsi sempre più alla difesa violenta delle forze armate (ha persino dovuto abbandonare il palazzo presidenziale, presidiato da carri armati, per rifugiarsi nel comando della guardia repubblicana), mentre i cortei di protesta continuano a ingrossare e la folla ha persino assaltato le abitazioni dei suoi parenti a Zaqaziq, la sua città natale. Morsi ha dunque fatto precipitare l’Egitto in una crisi tanto violenta, quanto innescata a freddo, senza alcuna motivazione, in un quadro ben diverso da quello dei pur turbolenti mesi passati. Le manifestazioni contro di lui infatti non sono affatto limitate a piazza Tahrir e al Cairo; a Ismailia e a Suez la folla inferocita ha assalito e distrutto le sedi dei Fratelli musulmani e cortei di protesta hanno infiammato tutto il Paese. Una dinamica caotica, innescata da una leadership dilettantesca, sulla cui evoluzione è dunque difficile fare previsioni.
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Morsi invita al dialogo ma schiera i tank "
È sempre più arduo per Mohammed Morsi avanzare sul filo o solo starvi in piedi senza cadere: il raìs equilibrista che ripete di voler conciliare le varie anime dell'Egitto è già inciampato più volte. E anche l'atteso discorso di ieri notte è stato uno scivolone, perché di fatto non ha concesso niente all'opposizione, in rivolta da due settimane. «Rispetto la libertà d'espressione ma non chi grida al golpe, il mio governo è legittimo», ha detto in tv. Poi solo conferme di passi già attuati. E l'invito «alle forze politiche, ai rivoluzionari e alle figure giuridiche a incontrarsi per il dialogo», domani. Mossa apprezzata dal presidente Usa Obama che si è però detto «preoccupato per le violenze» in una telefonata a Morsi. La risposta arrivata nella notte dai leader dell'opposizione, Mohammed El Baradei per primo, è stata negativa: «Nessun incontro». Ieri mattina, dopo ore di scontri costate sette morti e centinaia di feriti, al Cairo erano tornati i carri armati. Solo cinque ovvero pochi e simbolici (ma i simboli contano), schierati a difesa del palazzo presidenziale a Heliopolis assediato da due giorni. L'ultimatum per sgombrare l'area entro le 15 è stato in parte rispettato, ma nella notte 200 persone hanno marciato alla montagna di Moqattam e assalito la sede dei Fratelli Musulmani, dandole fuoco prima che la polizia attaccasse a sua volta. Intanto Tahrir resta presidiata, l'intero Paese è in fermento: perfino la casa della famiglia di Morsi nel Delta è stata assaltata e centinaia di persone disperse con i lacrimogeni. Se il raìs e la Fratellanza islamica da cui proviene speravano che le proteste alla fine rientrassero si sono sbagliati. «La rivoluzione va avanti», grida la piazza contro il decreto con cui Morsi il 22 novembre ha assunto pieni poteri e contro la bozza di Costituzione, approvata da una costituente di soli islamici e carente sui diritti civili. Ieri un altro consigliere di Morsi, il cristiano Rafiq Habib, vicepresidente del partito Libertà e Giustizia della Fratellanza, ha annunciato le dimissioni. Dall'inizio della nuova crisi sono sette su 17 ad essersene andati. Contro il proclama «dittatoriale» (seppur pro tempore come Morsi ha ribadito ieri) è scesa in campo anche Al Azhar. La massima autorità dell'Islam sunnita, il cui Grande Imam è peraltro di nomina presidenziale, ha chiesto al raìs di «sospendere quel decreto e di cessare di usarlo». Secondo il quotidiano Watan lo stesso Morsi, riunito prima del discorso con i ministri e i leader militari, avrebbe considerato un «congelamento» del famoso decreto. Per altri sarebbe stato sul tavolo il rinvio del referendum del 15 dicembre sulla Costituzione. Invece niente, o quasi. Ieri Morsi ha infatti solo concesso la rinuncia al punto 6 del decreto, che lo autorizza a «prendere ogni misura possibile per proteggere il Paese e la rivoluzione», mantenendo però l'«intoccabilità» da parte della magistratura. Il referendum del 15 è stato confermato, e solo in caso di bocciatura della Carta (improbabile) verrà formata una nuova costituente. E poi quell'«invito al dialogo», che l'opposizione ieri notte «stava discutendo» ma era già propensa a respingere. Nel pomeriggio Amr Moussa, uno dei leader del neonato Fronte di salvezza nazionale in cui è finalmente riunita l'opposizione, aveva ammesso «contatti» con i Fratelli e con i salafiti «per porre fine allo spargimento di sangue». Su Morsi, aveva detto, si starà a vedere «la sua legittimità come raìs dipende dal suo grado di saggezza». Ma dopo quel discorso deludente, il giudizio pare scontato. Il movimento più importante dei giovani di Tahrir, il 6 Aprile, ha subito detto che sabato all'incontro non ci sarà. El Baradei ha aggiunto il suo «no». Gli altri, salvo colpi di scena, lo seguiranno.
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