Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/12/2012, a pag. 15, gli articoli di Guido Olimpio titolati " La Nato schiera i Patriot in Turchia " e " Quei «cocktail» invisibili e micidiali. Dall'iprite della Prima guerra mondiale al sarin della metropolitana di Tokyo ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Ecco il piano di Obama per prendere Damasco assieme ai ribelli siriani" .
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " La Nato schiera i Patriot in Turchia"
Nato
WASHINGTON — I satelliti spia e i droni tengono d'occhio i depositi di armi chimiche siriane. Una sorveglianza continua, vogliono capire cosa sta combinando il regime. Mosca, che ha certamente buone informazioni, invita alla cautela nel valutare le news che trapelano ma al tempo stesso sottolinea che un impiego «è inaccettabile». Parole che irrobustiscono la linea rossa indicata dalla Casa Bianca: se il regime fa un passo falso siamo pronti a rispondere. Un intervento che tra qualche settimana avrà anche la copertura dei missili anti-aerei Patriot. La Nato ne ha autorizzato lo schieramento in Turchia. Un annuncio formale che coincide con i moniti al presidente siriano. «Nessuno pensi di attaccare» il territorio turco, ha affermato il segretario dell'Alleanza Anders Rasmussen.
Il messaggio è chiaro, meno nette sono le opzioni. Perché gli Usa non sono disposti a tollerare un massacro con i gas ma vogliono anche evitare di finire in nuove trappole belliche. Specie nel quadrante mediorientale. Sono mesi che al Pentagono — e non solo — studiano il dossier offrendo al presidente Barack Obama diverse opzioni. La prima è quella dei raid aerei per distruggere i depositi che ospitano le armi chimiche. La Siria ne ha una decina, compresi tra la zona centrale e il nord del Paese. Lo strike ha il vantaggio che non è necessario rischiare uomini sul terreno. Ma, nota l'esperto Michael Eisenstadt, ha non pochi elementi contrari: 1) Non c'è la certezza di incenerire le intere scorte. 2) Dalle esplosioni può sprigionarsi una nube tossica. 3) I bunker, danneggiati, possono essere saccheggiati da gruppi estremisti.
La seconda ipotesi è quella della messa in sicurezza, una ripetizione dell'operazione condotta in Libia. In questo caso sarebbero le forze speciali a intervenire, magari in collaborazione con «brigate» ribelli ritenute affidabili e militari francesi, britannici e dei Paesi arabi amici. Si è detto che da mesi in Giordania sono presenti nuclei di commandos pronti a muovere. La missione non è immune da pericoli, i siti sono difesi dalla Guardia repubblicana, previste delle perdite. Forse gli Usa potrebbero mettere insieme incursioni dal cielo e colpi di mano da terra.
Sullo sfondo c'è l'incognita degli israeliani che già due volte hanno chiesto alla Giordania il permesso di attaccare le installazioni siriane. Gerusalemme ha in mente un obiettivo preciso: evitare che formazioni a lei ostili — Hezbollah libanesi su tutti — sfruttino il caos in Siria e si impossessino di ciò che gli manca. Stesso allarme nei confronti delle fazioni qaediste, sempre più vicine al confine con lo Stato ebraico. Ognuno ha le sue paure.
Per questo, alla fine, l'America, insieme ai suoi alleati, dovrà mettere le mani nel ginepraio di Damasco. E la mossa avrà un prezzo.
Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Ecco il piano di Obama per prendere Damasco assieme ai ribelli siriani"
Daniele Raineri
Roma. L’Amministrazione Obama partecipa all’addestramento e all’equipaggiamento di unità di disertori dell’esercito siriano in Giordania, in vista della spinta finale su Damasco. La Casa Bianca in questi ventuno mesi di rivoluzione contro il presidente Bashar el Assad è stata cauta, al limite dell’indifferenza, ma ora che è arrivata la fase terminale della guerra civile vuole intervenire in modo più aggressivo. Dove si preparano le forze dell’opposizione siriana che dovranno prendere Damasco? Secondo una fonte d’intelligence il luogo è Yajooz, tra la capitale Amman e il vicino confine con la Siria, dove c’è la base Kasotc (King Abdullah II Special Operations Training Center). E’ un’installazione militare vastissima creata nel 2009 tra le rocce del deserto su un disegno fornito del Pentagono (e con finanziamento americano) che serve per addestrare le truppe al combattimento urbano in un contesto arabo e alle “tattiche di guerra irregolare”. A ottobre è arrivato al Kasotc un contingente di 150 “specialisti” militari americani – ma è un luogo dove le forze speciali americane sono di casa, la loro ultima attività ufficiale sul posto risale a maggio, all’esercitazione “Eager Lion 2012”. Ora, secondo la fonte d’intelligence, quegli istruttori americani assieme alla Cia preparano combattenti siriani dell’opposizione, in gran parte ex ufficiali con esperienza militare che hanno disertato.
L’addestramento comprende la messa in sicurezza dei 75 depositi dove il governo di Damasco conserva le armi chimiche (questo numero esatto è apparso ieri sul Washington Post) e la possibilità di diventare la spina dorsale dell’esercito e dei servizi segreti della Siria nel dopo Assad. L’attacco su Damasco probabilmente non arriverà da nord, da Aleppo, Hama e Homs, dove i ribelli guadagnano in fretta terreno, ma arriverà da sud, da Daraa, la prima città dove scoppiò la rivoluzione, e da oltre il confine, dalla Giordania. Secondo i ribelli, alcune “nazioni amiche” dell’opposizione – non specificate – avrebbero chiesto loro di rallentare l’avanzata. L’offensiva dentro la capitale fino al bunker presidenziale di Assad sul monte Qassioun è nelle intenzioni dei ribelli un’operazione meglio organizzata e con ranghi più compatti rispetto al passato. Sarà quindi differente dall’invasione di Aleppo – cominciata di slancio a luglio senza che i guerriglieri avessero un traguardo chiaro e ora diventata un penoso stallo militare contro l’esercito regolare. E sarà differente anche dall’operazione “Vulcano di Damasco”, a metà luglio, quando migliaia di ribelli occuparono alcuni distretti centrali della capitale, ma pochi giorni dopo furono costretti a fuggire e in molti finirono trucidati.
L’addestramento dato ai disertori in Giordania è la mossa dell’Amministrazione Obama per rivendicare qualche diritto sul finale della guerra civile in Siria e togliere influenza e spazio ai gruppi estremisti legati o ispirati ad al Qaida. Secondo due articoli distinti e apparsi in date diverse su Wall Street Journal e Atlantic, gli americani hanno compilato una cosiddetta “lista bianca” dei gruppi ribelli ritenuti affidabili, da appoggiare e aiutare con equipaggiamento e armi. Hanno anche creato una “war room” per gestire questi gruppi in collaborazione con i servizi segreti giordani e sauditi ed esiste un “corridoio giordano”, attraverso cui transitano uomini e armi, che parte dai campi d’addestramento in Giordania, passa per il confine e per Daraa e arriva a Damasco.
La minaccia chimica accelera la guerra
La preparazione dei ribelli siriani per la spinta su Damasco potrebbe essere accelerata dalle notizie che arrivano sui depositi delle armi chimiche dove – secondo il sito di Wired (ha già dimostrato in passato di avere una fonte affidabile) – il governo siriano ha ordinato ai militari di miscelare in piccola quantità i due elementi, i cosiddetti precursori, che assieme compongono il Sarin, un tipo di gas nervino.
Il Sarin, oltre a essere ovviamente letale, è anche instabile, corrosivo e decade molto velocemente, diventa inutilizzabile nel giro di pochi mesi. Potrebbe essere un messaggio agli americani di Assad, che sa che i siti sono sorvegliati. Lunedì il sito della rivista Atlantic ha scritto che il Mossad negli ultimi due mesi ha chiesto due volte alla Giordania per conto del governo israeliano l’autorizzazione a bombardare i siti delle armi chimiche e anche che droni israeliani volano sul confine tra Siria e Giordania. A novembre il grande radar siriano M1 che controlla lo spazio aereo verso sud, verso la Giordania, è saltato in aria: la regione ora è un angolo cieco per Assad. Questo fronte sud, più della Turchia, conterà.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Quei «cocktail» invisibili e micidiali. Dall'iprite della Prima guerra mondiale al sarin della metropolitana di Tokyo"
Guido Olimpio
WASHINGTON — I sopravvissuti raccontavano tutti la stessa cosa: «Ho sentito un odore pungente, sembrava aglio». Invece era la fine. Un «soffio» arrivato con i proiettili sparati dal nemico. Un destino che ha accomunato, in epoche diverse, fanti britannici e civili curdi, con pelle e occhi bruciati dall'iprite, una delle tante armi chimiche usate dall'Europa al Medio Oriente. Una morte invisibile. E sempre vicina, se sono fondati gli allarmi provenienti in queste ore dalla Siria.
I libri di storia sostengono che hanno origine antiche. I cinesi, i mongoli o anche gli spartani mescolavano radici con resine per produrre sostanze misteriose. Si voleva sorprendere l'avversario con qualcosa che potesse superare gli scudi, soffocare i guerrieri nei tunnel o in una torre. Una ricerca sospinta dal desiderio di conquista come dalla necessità di fronteggiare schieramenti superiori. Piccoli eventi bellici seguiti da grandi massacri. Il più terribile quello a Ypres, Belgio, il 22 aprile 1915, durante il primo conflitto mondiale. I tedeschi provano a piegare le difese alleate innondando di gas le trincee. Usano un gas letale, che viene assorbito dalla pelle. Provoca ustioni, cecità, problemi respiratori. Un massacro che diventa anche un nome. Da allora quella sostanza sarà chiamata iprite, da Ypres.
Passano pochi anni e il genio cattivo rispunta fuori dagli arsenali. Questa volta sono i britannici che, davanti alla tenace resistenza dei ribelli in Mesopotamia, li bombardano dall'alto sempre con l'iprite. Nessuno se ne vergogna, anzi Winston Churchill, allora ministro, afferma che è possibile impiegarli contro quelli che ritiene dei selvaggi. È un metodo indiscriminato, non distingue tra civili e soldati. Ha pochi rischi per chi attacca, provoca il panico tra chi lo subisce. Perché lo vedi solo all'ultimo e non concede scampo. Per questa stessa ragione se ne serviranno anche le forze italiane durante l'occupazione in Africa. Una macchia nera che sporca le nostre divise. Ma nessuno in quegli anni le ha pulite. Anche altri Paesi europei, quando si trovano davanti un nemico sfuggente, provano a schiacciarlo con i gas. Battaglie lontane da occhi e testimoni che ispirano molti. È il passaparola della guerra. Così i giapponesi si dotano dell'iprite per lanciarla contro i cinesi.
Con il passare degli anni la tecnologia aiuta chi ha bisogno di nuovi strumenti di distruzione. Dai laboratori nazisti escono miscele micidiali, elaborazioni di pesticidi. Tabun, sarin. Quest'ultimo è molto temuto. È incolore, inodore, agisce sul sistema nervoso. Poche gocce e vai all'altro mondo. Per questo molti eserciti iniziano a farne scorte. C'è il lunghissimo duello Est/Ovest, le tensioni in Estremo Oriente, la crisi perenne nel mondo arabo. Nei depositi si accumulano i veleni. Russi, americani, cinesi e dozzine di altri Paesi non si fanno mancare nulla. È chiaro che è solo questione di tempo. Ci sono segnalazioni di «incidenti» con l'uso di «cocktail» chimici ma sarà Saddam Hussein a rompere il tabù in modo evidente. È il suo Iraq, durante il confronto degli otto anni (1980-88) con l'Iran, a gassare gli avversari. A soffrirne sono soprattutto i curdi di Halabja, attaccati con una miscela che li falcia sulle porte di casa o nei campi. Iprite e sarin, poi altro. Cadono a migliaia, altrettanti scappano inseguiti da una repressione che non lascia scampo. Una strage con molti colpevoli. Se il regime iracheno ha compiuto la soluzione finale con la campagna Anfal, sono stati, in parte, gli occidentali a dargli la tecnologia chiavi in mano per mettere a punto i gas. Laboratori e materiale comprato a peso d'oro dal raìs.
Saddam pagherà le sue responsabilità molti anni dopo ma ciò non impedirà ai regimi vicini di far crescere i propri depositi. Gli iraniani sviluppano i loro veleni, così fanno i siriani che — stando a molte analisi — dispongono di numeri consistenti. Hanno il sarin ma anche il Vx, vischioso e persistente. Di solito, per sicurezza, gli ingredienti sono tenuti separati. Li rimettono insieme solo nell'imminenza di un impiego. Ed è quello che sarebbe accaduto in questi giorni in alcune basi siriane.
Assad non ha firmato la Convenzione sul bando delle armi chimiche (1993), identica posizione di una pattuglia di Paesi. E certamente non riconoscono alcun vincolo i terroristi, per i quali i gas rappresentano il «grande desiderio». C'è chi ha indicato loro una strada. Nel marzo 1995, la setta nipponica Aum Shinrikyo attacca il metrò di Tokyo con bombe al sarin. Vogliono l'Apocalisse, sognano di sterminare migliaia di essere umani ma provocano, per fortuna, solo 12 vittime. Resta però il precedente: i criminali si sono costruiti «in casa» la morte invisibile.
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