Tutti i giornali dedicano oggi, 04/12/2012, articoli nei quali si dà grande risalto alle reprimenda contro Israele da parte dell'Europa e politici vari. Proteste scontate, ma ciò che indigna è vedere come quasi tutte le cronache confondano due parole: alloggi e case. Non sono migliaia le case che vengono costruite a Gersualemme Est - lo capirebbe anche chi è stato anche una sola volta nella capitale- ma alloggi, il che vuol dire una cinquantina di edifici, come spiega molto chiaramente Ugo Volli nella Cartolina di oggi. Fra tutti gli articoli, in gran parte simili, riprendiamo dalla STAMPA, a pag.14, quello di Alberto Mattioli, astioso quanto basta, secondo la linea del quotidiano torinese, dal CORRIERE della SERA, a pag.16, quello di Francesco Battistini che, se non altro, oltre alle accuse riferisce anche bene la storia dei cosiddetti 'insediamenti'.
In quanto agli ambasciatori di Israele, convocati da alcuni stati europei, - avvisi inviati a Tel Aviv, come scrive la STAMPA, confondendo Tel Aviv con Gerusalemme, dove hanno sede Governo e Ministero degli Esteri israeliani- consigliamo di rimandarli al mittente, per 'errato indirizzo'.
Ecco gli articoli:
La Stampa-Alberto Mattioli: " L'Europa contro Israele, ora stop alle colonie"
Bibi Netanyahu Avigdor Lieberman
Benché siano state evocate per smentire che siano necessarie, è la prima volta che qualcuno parla di «sanzioni» contro Israele per le sue colonie nei territori occupati. E a un politico finto naïf ma in realtà navigatissimo come François Hollande è difficile che scappi detto qualcosa, specie in un’occasione ufficiale. Eppure, alla conferenza-stampa di chiusura del bilaterale franco-italiano di Lione, alla domanda sui tremila nuovi alloggi annunciati da Israele in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, il Président risponde così: «Non vogliamo entrare in una logica di sanzioni, ma fare un’opera di convincimento». Anche perché le elezioni in Israele sono vicine e bisogna che avvengano «nel contesto migliore».
Che siano ipotizzate delle sanzioni, però, non c’è traccia né nelle parole di Mario Monti né nella dichiarazione finale del vertice. Qui Francia e Italia esprimono «soddisfazione» per il voto all’Assemblea generale dell’Onu che ha riconosciuto lo status di Stato osservatore (benché non membro) alla Palestina, al quale hanno detto sì sia Parigi sia Roma e «profonda preoccupazione», anzi «condanna», per la decisione israeliana di costruire gli insediamenti.
Queste prese di posizione sono arrivate al termine di una giornata di acuta tensione. Al mattino è stato il quotidiano «Haaretz» a far esplodere la bomba, dando per certo che Francia e Regno Unito avrebbero richiamato i loro ambasciatori in Israele per protesta, l’equivalente diplomatico di uno schiaffo al premier Netanyahu. Il Quai d’Orsay e il Foreign Office hanno subito smentito di voler richiamare il loro ambasciatore a Tel Aviv, ma hanno convocato quelli israeliani a Parigi e a Londra. Idem Spagna, Danimarca e Svezia, mentre la Germania, dove domani arriverà Netanyahu, si «appellava» al governo di Tel Aviv per farlo desistere. Intanto protestavano Cina e Russia e perfino la Casa Bianca definiva «controproducente» l’iniziativa israeliana.
Da Tel Aviv ha replicato una fonte governativa: «Israele continuerà a mettere in sicurezza i suoi interessi vitali anche di fronte alla pressione internazionale». Nessuna marcia indietro. Anzi, Israele in serata ha dato via libera alla costruzione di 1700 alloggi a Gerusalemme Est.
Agli europei non resta che protestare, ma con i soliti problemi di coesione. Mai come nel voto di New York la disunione dell’Unione europea è stata altrettanto palese. Però è un fatto che Hollande stia portando i partner su posizioni più ferme verso Israele. Per il voto all’Onu, la Francia è stato il primo grande Paese a annunciare il suo sì. E il suo Presidente il primo a pronunciare la parola «sanzioni».
Corriere della Sera-Francesco Battistini: " Ma Netanyahu tira diritto e rilancia sugli insediamenti "
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — Questa casa è la mia casa. Per minacciare sfracelli diplomatici, Europa e Usa non avevano bisogno d'aspettare i tremila alloggi negl'insediamenti annunciati venerdì da Bibi Netanyahu. A Gerusalemme Est, i nuovi coloni sono già arrivati dieci giorni fa: due dopo la pace di Gaza, sei prima del voto all'Onu sulla Palestina. Con la polizia al seguito e i vigilantes privati, per pattugliare la strada. Con le bandiere israeliane che ora sventolano sul tetto. I nuovi coloni si sono presi un palazzo di cinque piani a Jabel Mukaber, abitato solo al quinto da una famiglia palestinese, a due passi dal quartier generale dell'Onu.
Adesso è casa loro. Anzi, dell'organizzazione Elad che si batte per «giudaizzare Gerusalemme» e sostiene d'avere comprato regolarmente (cosa possibilissima: molti arabi vendono in segreto e poi ostentano proteste), intestando il tutto a una caraibica società off-shore di Turks & Caicos. «È un'occupazione con frode», dicono i palestinesi. «È una provocazione pericolosa — denuncia l'ong israeliana Peace Now — non a caso avviene adesso», mentre il mondo protesta. E mentre Netanyahu tira dritto, sicuro dell'alleanza con l'ultradestro Avigdor Lieberman e col suo partito Yisrael Beiteinu, che significa la Casa d'Israele: questa casa è la mia casa, appunto.
Biberman, chiamano quei due. Bibi e Lieberman contro tutti. La Francia e l'Olanda, la Danimarca e la Spagna, la Svezia e la Russia. Contro Londra e Berlino, che pure s'erano astenute all'Onu. Contro la Casa Bianca, che ne aveva condiviso l'isolamento diplomatico. Contro il resto di mondo che solo un mese fa taceva, comprensivo, sui morti nella Striscia. Il premier israeliano prepara altri 1.700 alloggi illegali a Gerusalemme Est, zona di Ramat Shlomo, e anche qui non è un caso: li annunciò due anni fa, con un ceffone diplomatico al vicepresidente americano Joe Biden, venuto a celebrare nuovi pre-negoziati e costretto a ripartire furioso, lui così amico d'Israele. Bibi è uno schiacciatutto, va nell'unica capitale europea che ancora l'appoggi senza se, Praga, e avverte: «Sugl'insediamenti non c'è alcun cambiamento, proteggiamo i nostri interessi vitali». Spiega Ruben Rivlin, portavoce della Knesset: «Costruire in questo settore "E1", fra Gerusalemme e Ma'ale Adumim, non è un'invenzione della destra. Lo decise il laburista Rabin, premio Nobel per la pace, perché temeva di lasciare quell'insediamento troppo isolato». Poco importa che Rabin, poi, si fosse ricreduto? «La questione rimase solo sospesa». Poco importa quest'infelice scelta di tempi? «Anche Rabin, dopo il voto all'Onu del 1975 che paragonò il sionismo al razzismo, decise gl'insediamenti nella Valle del Giordano».
Le spiegazioni non convincono l'opposizione: «In un solo mese — dice l'ex ministro laburista Ben Eliezer — Bibi è riuscito a costituire l'Hamastan a Gaza e uno Stato palestinese all'Onu. Isolandoci con una condotta irresponsabile». «La crociata contro Abu Mazen dopo la guerra di Gaza — osserva Amos Gilboa, editorialista di Maariv — è un errore di stupidità. È come se una squadra di calcio si credesse forte quanto il Real Madrid, il Barcellona e il Manchester United: sarebbe, ovvio, destinata alla sconfitta». Fortissimo nei sondaggi, il premier si prepara a un voto di gennaio senza sfidanti. Qualcosa però potrebbe cambiare, nella volatile politica israeliana. «Dobbiamo rimpiazzare questo governo», pensa l'ex premier Ehud Olmert, che pure s'è chiamato fuori: «Bibi ci ha messo il mondo contro», e forse in questa casa ci vuole un po' d'aria fresca.
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