Con il titolo "Antisemitismo in Ungheria: l'ultima follia", Daria Gorodisky analizza su LETTURA (supp. del Corriere) a pag.17, il minaccioso livello dell'antisemitismo in Ungheria, consigliando la lettura di due libri, non nuovi, ma sempre utili per capire la realtà. Sono "La belva in gabbia" di Sergio Minerbi, recentemente ristampato, del quale consigliamo fortemente la lettura, e "La città della fortuna" di Elie Wiesel, nuovamente disponibile.
Ecco l'articolo:


Sergio Minerbi Elie Wiesel
Pochi giorni fa, in Ungheria, un deputato (e dirigente) del partito di estrema destra Jobbik ha chiesto al suo governo di stendere una lista degli ebrei presenti nel Paese e in Parlamento, perché sono «un pericolo per la sicurezza nazionale». Di fronte alle condanne del suo stesso governo e dell'Europa, questo tal Marton Gyongyosi ha pensato di cavarsela dicendo che si riferiva «soltanto a chi ha la doppia cittadinanza ungherese e israeliana». Drammaticamente, l'antisemitismo non è debellato, né in Ungheria né altrove. Spesso è camuffato da antisionismo: come ha scritto Gianni Scipione Rossi «l'antisionismo interpreta il ruolo di maschera "presentabile" di un'avversione assai più profonda». Oppure da negazionismo. Esplicito o travestito, ma fenomeno esistente e in crescita. E quindi utile la recente ripubblicazione di due libri del 1)62 che ricordano gli orrendi crimini nazifascisti contro gli ebrei. Il primo è La belva in gabbia (Lindau), il resoconto puntuale del processo contro Adolf Eichmann scritto da Sergio Minerbi. Il titolo è la frase in codice utilizzata dal Mossad per informare l'allora premier israeliano David Ben Gurion della cattura di Eichmann in Argentina, dove si era nascosto. Il processo fu celebrato in Israele nel 196L E Minerbi, poi ambasciatore, docente universitario e scrittore, lo seguì per la Rai; riportando un anno più tanfi la vicenda in un libro per Longanesi. Le testimonianze dei sopravvissuti, gli interventi di accusa e difesa, tutto così fattuale e crudo da farne cronaca vivida e agghiacciante; e poi la descrizione dell'imputato, feroce direttore del dipartimento affari ebraici della Gestapo. Un insieme autentico e ben distante da quella «banalità del male» delineata da Hannah Arendt. Per quanto riguarda il secondo libro, la casa editrice La Giuntina ripropone La città della fortuna di Elie Wiesel. Il quale, con la confermata maestria e i sempre ricorrenti spunti autobiografici, narra la tragedia da un punto di vista emozionale. Un uomo si è salvato dalla Shoah e decide di affrontare ogni rischio per tornare nella sua città a guardare negli occhi chi ha contribuito allo sterminio della sua famiglia. Per provare a capire l'incomprensibile, quell'abominio che ancora oggi qualcuno che si dichiara uomo vorrebbe ripetere
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