La scelta per il sì all'ingresso della Palestina quale osservatore all'Onu è argomento di molti aricoli sui giornali di oggi, 01/12/2012. Sul GIORNALE, a pag.17, la cronaca di Giuseppe Marino e Gian Micalessin si distingue da tutte le altre per la chiarezza con la quale raccontano i retroscena che hanno portato il governo italiano ad allinearsi alla maggioranza degli stati europei che già godono della 'attenzione' da parte dei petrodollari arabi. Sulla STAMPA, a pag.17, Antonella Rampino fa una cronaca attenta a quanto ha portato il Ministro degli Esteri a fare un passo indietro ed allinearsi al diktat di Monti. Dal CORRIERE della SERA, a pag.16, riprendiamo un pezzo di Viviana Mazza sul quel meraviglioso Stato che risponde al nome di Qatar, che di recente ha ospitato, tò, guarda un po', proprio Monti, chissa se si saranno detti qualcosa sul voto Onu. Mazza descrive bene quale tipo di Stato sia il Qatar, ma siamo sicuri che al nostro Presidente del Consiglio la cosa interessi poco.
Di nostro due commenti, il primo su Franco Frattini,
il quale sembra aver condiviso con determinazione la scelta di Monti, smentendo così tutta l'azione svolta quando era ministro del governo Berlusconi. Voci di corridoio spiegano il voltafaccia con la voglia di Frattini di uniformarsi al voto europeo in modo da presentarsi quale candidato alla presidenza Nato, che si libererà quanto prima. Cancellata la nomea di pro-Israele, la sua candidatura si rafforza. Complimenti, On.Frattini, per la sua schiena diritta.
Il secondo, su questa dichiarazione dell'Avv.Renzo Gattegna, presidente dell'UCEI
a Maurizio Caprara sul CORRIERE della SERA a pag.15:
«Lo escludo nella maniera più assoluta», risponde il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna quando gli si domanda se ritiene possibile che Mario Monti e Giorgio Napolitano possano essersi prestati a una manovra contro Israele."
Gattegna contraddice quanto ormai è un dato acclarato, il voto dell'Italia all'Onu ha danneggiato Israele, e chi l'ha voluto sono stati Monti con l'appoggio di Napolitano. Ma Gattegna lo esclude.
Perlomeno curioso, no ?Ecco gli articoli:
Ecco gli articoli:
Il Giornale-Giuseppe Marino,Gian Micalessin: " Così la fragile Europa ha venduto all'emiro il voto per la Palestina "
Prima si son comprati l'Europa, poi il suo voto. Dietro il terremoto diplomatico che ha portato Italia ed Europa ad appoggiare il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore all’Onu c’è l’ombra degli investimenti miliardari del Qatar. Investimenti capaci, complice la perdurante crisi, di far perdere la testa al Vecchio Continentee spingerlo ad accettare le incognite del fondamentalismo.
Il prologo dell’imminente rivolgimento erano state la crisi libica e quella siriana. In entrambi i casi molti Paesi europei hanno appoggiato gruppi ribelli legati a doppio filo all’integralismo islamico, fidandosi esclusivamente delle «garanzie » di Doha. Il voto di giovedì al Palazzo di Vetro è la dimostrazione più eclatante di come i 326 trilioni di metri cubi di gas (terza riserva del pianeta) su cui galleggia il Qatar siano ormai la vera leva capace di manovrare un’Europa piegata da una crisi economica, politica e ideale.
L'Italia è un esempio eloquente. Non paga di essersi fatta scippare i propri investimenti energetici in Libia e di aver rinunciato a importanti commesse in Siria, non esita a gettare alle ortiche la linea politica che da oltre un decennio la lega a Israele. La sbalorditiva piroetta diplomatica è la logica conseguenza della recente visita di Mario Monti nell'emirato. Durante la visita è arrivato il via libera alla Qatar Holding LLC per pilotare i propri investimenti d'intesa con il Fondo Strategico Italiano, la holding controllata dalla Cassa depositi e prestiti. Dietro i 300 milioni di euro iniziali si prefigurano spericolate operazioni per svariati miliardi. Operazioni che potrebbero garantire a Doha il controllo di un 3 per cento dell’Eni e l'entrata nella cabina di regia di molte acciaccate banche della Penisola. L'Italia non è però né la prima, né la sola a essersi fatta ammaliare dall’oro del Qatar. La mappa del voto europeo all’Onu, incrociata con quella degli investimenti degli emiri, è da questo punto di vista assai eloquente. L'unico «no» al riconoscimento della Palestina arriva dalla Repubblica Ceca, uno dei pochi Paesi a non aver beneficiato dei miliardi dell'emirato. Londra non esita, invece, ad astenersi rompendo la tradizionale alleanza politica con Washington. Dietro la scelta ci sono i quasi due miliardi di euro sborsati dal Qatar per acquistare i grandi magazzini Harrods, il finanziamento al 95 per cento della monumentale Shard Tower di Londra, l'edificio più alto d'Europa, e l'entrata nel capitale azionario della Shell, la compagnia petrolifera simbolo del Regno Unito. Il panorama dagli investimenti di Doha in Spagna, Portogallo e Francia è però ancor più eloquente. Dopo aver piazzato al Qatar immobili sugli Champs Elysees per 500 milioni, il controllo del Paris Saint Germain, i diritti televisivi del proprio calcio e i cacciabombardieri Mirage usati per bombardare la Libia, Parigi si è trasformata nella più strenua sostenitrice di una politica europea filopalestinese. Spagna e Portogallo non sono certo più disinteressati. Il sì di Madrid alla Palestina è stato preceduto dall'acquisto della squadra del Malaga e dagli investimenti per 2 miliardi di euro che hanno portato all'acq uisizione del 6 per cento di Iberdrola, la società elettrica spagnola sull'orlo del collasso finanziario. Una manovra replicata in fotocopia in Portogallo dove la Qatar Investment Authority controlla il 2,018% di «Energias de Portugal».
Dietro questa smodata voglia d'investimenti si celano ovviamente le mire politiche di Hamad bin Khalifa al-Thani. Lo scorso ottobre l'emiro del Qatar è stato il primo capo di stato a legittimare Hamas recandosi in visita a Gaza e offrendo all'organizzazione fondamentalista investimenti per oltre 300 milioni di euro. Lo stesso emiro non si è mai fatto problemi a garantire ospitalità ai più discussi leader dell'organizzazione integralista. Khaled Meshaal, il capo di Hamas ispiratore della strategia degli attentati kamikaze, utilizza da anni una comoda e lussuosa residenza messagli a disposizione in quel di Doha. Nulla di strano per un emiro pronto a favorire l'ascesa di Hamas anche in Cisgiordania, usando le proprie ricchezze.
Un po' più inusuale la disponibilità europea ad un simile mercimonio politico-strategico.
La Stampa-Antonella Rampino: " Maggioranza bipartisan per il sì, ma Terzi ha cercato di resistere "
Giulio Terzi
Il giorno dopo lo storico voto con il quale si riconosce , in qualità di osservatore all’Onu, la Palestina come entità statuale, la Farnesina guarda avanti. Il punto adesso è lavorare per la ripartenza del negoziato israelo-palestinese, è la parola d’ordine che spira dalle stanze del ministro Terzi. Pur consapevoli che questo non potrà accadere prima dell’insediamento ufficiale del rieletto Barack Obama alla Casa Bianca, e soprattutto prima delle elezioni israeliane. Dunque, si valuta come strategici i prossimi due mesi: la questione verrà comunque affrontata a Bruxelles il prossimo 11 dicembre.
Ma nelle ore concitate che hanno portato Monti ad assumere la decisione del sì dell’Italia, si sono anche cercate garanzie dalle controparti. In particolare, in telefonate dei diplomatici con esponenti dell’Anp di ogni livello, oltre che nel colloquio di Monti con Abu Mazen, si sono ottenute verbali rassicurazioni che, non essendo stato possibile ovviamente inserire la clausola nella mozione di voto, «dall’Anp vi sarà spirito cooperativo e non rivendicativo»: ovvero non si farà ricorso - e tantomeno immediatamente - alla Corte dell’Aja, al cui trattato internazionale istitutivo i palestinesi possono accedere per effetto dello status di membro osservatore all’Onu. E una doccia gelata sul day after - come previsto ampiamente dal Quai d’Orsay, che ha guidato la posizione di maggioranza nella Ue - è la decisione, comunicata ieri sera da Netanyahu di 3 mila nuovi alloggi per israeliani nei Territori palestinesi. Un gesto che è uno schiaffo all’amministrazione Obama, che nel corso del tempo ha sempre chiesto senza successo all’attuale premier israeliano, piuttosto, il loro congelamento e smantellamento.
Ristabilita una non sbiadita presenza dell’Italia in politica estera, e perfettamente allineata con il grosso dell’Unione europea, il ministro Giulio Terzi di Sant’Agata andrà nei prossimi giorni a riferire in Parlamento - si vedrà se solo a livello di Commissioni Esteri- così come gli chiedono, con una certa durezza, alcuni parlamentari del Pdl, a partire da Fiamma Nierenstein, Fabrizio Cicchitto e Andrea Ronchi che valutano il sì dell’Italia come «irresponsabile e inaccettabile». Potrebbe diventare, quella, un’occasione di dibattito piuttosto acceso, perché c’è un retroscena nella concitata e drammatica discussione che si aperta ieri, a poche ore dal voto all’Assemblea generale delle Nazioni Uniti, tra Palazzo Chigi, Quirinale e Farnesina, e che è stata poi decisionalmente impugnata dal presidente del Consiglio.
Il ministro Terzi, una settimana fa, aveva spiegato la posizione dell’astensione - in quel momento possibile in altri Paesi europei - e i parlamentari presenti alla riunione congiunta delle Commissioni esteri di Camera e Senato avevano in maggioranza risposto di ritenere troppo pallida e poco coraggiosa quella posizione, esprimendosi per un sì alla Palestina. Quella posizione, tramutatasi in una mozione parlamentare bipartisan che conteneva l’indicazione precisa al governo di votare con la Francia e con i Paesi del Mediterraneo, era poi stata inviata alla Farnesina. Fatto del tutto insolito nei rapporti tra governo e Parlamento in una democrazia parlamentare, come fosse irricevibile, si è continuato a lavorare sulla posizione d’astensione. Cosa che, secondo quanto riferiscono fonti parlamentari, avrebbe anche provocato l’irritazione del segretario generale della Farnesina, Michele Valensise. E soprattutto del Quirinale e di Monti, costretto a quel punto a intervenire di persona.
Il tutto, con uno dei due partiti di maggioranza - il Pd - che continuava a sostenere pubblicamente la sostanza di quella mozione. E con il Pdl clamorosamente spaccato: intervenendo nel dibattito parlamentarel’ex ministro del governo Berlusconi Franco Frattini aveva sostenuto che l’astensione non andava, la causa palestinese meritava un sì. Adesso, spinto a riferire in Aula dai «falchi» del Pdl, il ministro Terzi offrirà nei prossimi giorni la sua ricostruzione dei fatti.
Corriere della Sera-Viviana Mazza: " Se il Qatar dà l'ergastolo ai poeti ribelli"
L'emiro del Qatar
Se sei un monarca assoluto, è certo più facile appoggiare le Primavere arabe e la libertà di espressione altrove, anziché in casa tua. Come nel caso del Qatar. Con le sue immense riserve di gas naturale, il piccolo stato del Golfo ha dato appoggio finanziario, militare, diplomatico e televisivo (tramite Al Jazeera) a rivolte che hanno rovesciato quattro regimi — in Tunisia, Egitto, Libia e Yemen. Ma quando, un anno fa, il poeta trentaseienne qatariota Muhammad Ibn al-Dheeb al Ajami ha descritto in versi la rivoluzione tunisina come un esempio per tutti gli arabi «di fronte alla repressione delle élite», è stato arrestato. Dopo un anno in carcere, l'altro ieri, Ajami è stato condannato all'ergastolo per «incitamento alla sovversione del governo» e «offesa all'emiro», in un processo a porte chiuse, in cui la difesa non ha potuto argomentare. Rischiava la pena di morte.
Le associazioni dei diritti umani sono insorte contro l'emiro Hamad bin Khalifa al Thani, con accuse di «doppio standard» e di ipocrisia. Il suo staterello a forma di pollice grande quando l'Abruzzo si è comprato prestigio e influenza sulla scena internazionale, con acquisti che vanno da Valentino a Harrods, dai Giocatori di carte di Cézanne ai Mondiali del 2022, con aiuti umanitari ai palestinesi di Gaza, alle banlieue francesi e all'istruzione nel mondo al fianco dell'Unesco. Ma intanto la libertà di espressione resta limitata nell'emirato, non esistono partiti d'opposizione né una società civile. L'anno scorso ai qatarioti (una minoranza nel loro stesso Paese popolato da immigrati) sono stati aumentati gli stipendi, del 60% per gli impieghi governativi e del 120% per i militari, un incentivo a pazientare fino al 2013 per le prime elezioni legislative. Ma voci come il poeta Ajami e un gruppetto di «qatarioti pro-riforme» autori di un recente libro critico dell'autorità assoluta dell'emiro mostrano che i soldi non bastano a far dimenticare l'assenza di democrazia.
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