sabato 28 dicembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa-Corriere della Sera-Il Giornale-Informazione Corretta Rassegna Stampa
01.12.2012 L'isolamento di Israele e le tremila case a Gerusalemme
Cronache di Francesca Paci, Francesco Battistini, commenti di Fiamma Nirenstein, Piera Prister

Testata:La Stampa-Corriere della Sera-Il Giornale-Informazione Corretta
Autore: Francesca Paci-Francesco Battistini-Piera Prister
Titolo: «Netanyahu risponde con le colonie-Palestina, la risposta di Israele, tremila nuove case ai coloni- La risposta di Netanyahu»

Tutti i giornali scrivono oggi, 01/12/2012, della ripresa delle costruzioni in Israele, quale risposta di Netanyahu alla sdecisone Onu, dimenticando che Gerusalemme è la capitale dello Stato di Israele e che qualunque governo, di qualunque colore sia, può costruire dove crede senza chiedere il permesso a nessuno. Altro argomento, sollevato già ieri su alcune testate, è l'isolamento di Israele a causa del voto Onu. Ma se Israele avesse dovuto seguire anche solo i consigli che cospiquamente le sono arrivati dal 1948 ad oggi, avrebbe già cessato di esistere. Invece è quel meraviglioso paese che è, alla faccia di chi lo odia. E pensare che basterebbe così poco per amarlo, sarebbe sufficiente non odiare gli ebrei, quella brutta parola , antisemitismo, suona famigliare ?
Pubblichiamo il commento di Fiamma Nirenstein, sul GIORNALE, a pag.17, Piera Prister dagli Usa. Le cronache di Francesca Paci sulla STAMPA a pag.16 e quella di Francesco Battistini sul CORRIERE della SERA a pag.14, quasi simili nell'ignorare completamente le ragioni di Israele, allineati sulla vulgata palestinese, pur conoscendo la realtà del paese sul quale scrivono, ripetono tutti i luoghi comuni della delegittimazione.
Ecco gli articoli:

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Israele isolato ? Ci è abituato e saprà resistere"

Fiamma Nirenstein

Fossi in Israele, me ne andrei dall'Onu; le serve solo a raccogliere isolamento e delegittimazione. Ma Israele è dura, abituata all'isolamento che nasce nel cuore malato delle parole di fuoco, come quelle che Abu Mazen ripeteva; Israele è uno Stato mostro, di apartheid, parafascista, che uccide i poveri palestinesi innocenti... E tutti lo hanno votato, anche noi. Una sua parola di pace non si è sentita, nè di riconoscimento dello Stato Ebraico, nè di condanna del terrorismo; non si è sentito l'impegno a non gettare via gli accordi di Oslo, la road map, gli incontri traditi dai palestinesi stessi... si è sentito solo odio, condanna, eppure il voto gli ha fatto eco. Il mondo ha isolato Israele di nuovo, l'Onu è specializzato in questa operazione; i palestinesi vi lavorano incessantemente invece di costruire una economia e una democrazia. L'organizzazione che dovrebbe promuovere la pace è da sempre militante contro Israele, la lobby islamica vi lavora coadiuvata dai Paesi del Terzo Mondo. Il Piccolo Satana è la «donna dello schermo» del Grande Satana, gli Usa, che non si possono attaccare direttamente pena guai economici. La madre delle risoluzioni persecutorie di massa fu la 3379, «sionismo eguale razzismo», approvata dall'assemblea generale nel novembre 1975, 72 a favore, 35 contrari, 32 astenuti. È stata cancellata nel 1991. Adesso stiamo peggio, la risoluzione «Palestina» è passata con 138 voti a favore, 9 contrari, 41 astensioni. L'Italia si è allineata alla peggiore Europa che combatte professionalmente Israele in tutte le istituzioni. È l'Onu però, con le istituzioni collaterali, il terreno più arato da chi odia Israele. Le risoluzioni antisraeliane dell'Assemblea sono innumerevoli, vanno da «deplora profondamente» a «chiede con urgenza», a «condanna con sdegno»... si contano a migliaia, occupano quasi tutta la biblioteca delle risoluzioni, passano a grande maggioranza. Iran, Cina, Arabia Saudita, Darfur, Afghanistan sono ignorati. È un campione a sé il Consiglio per i Diritti umani, che finanziamo per condannare solo Israele, fino a raggiungere il 100 per cento delle sue risoluzioni. La Commissione per i Diritti umani fu chiusa perchè, fra le tante, il suo presidente era la Libia di Gheddafi, poi il Consiglio ha fatto anche peggio. L'Unesco poi ha dichiarato Stato membro la Palestina, ha dichiarato Moschea la Tomba dei Patriarchi, quando ha fatto una conferenza su Gerusalemme non ha invitato Israele. Normale? Sì, per gli antisemiti è fantastico. È triste pensare che anche l'Italia abbia partecipato a questo massacro che ha radici molto più profonde di quello che vogliamo sapere.

Informazione Corretta-Piera Prister: "La risposta di Netanyahu "

Piera Prister

Via libera di Netanyahu alla costruzione di case a Gerusalemme Est. E’ la risposta giusta del governo israeliano alla mossa truffaldina di Abu Mazen che, sicuro di spuntarla, senza rinunciare alla sua belligeranza, ha chiesto ai membri dell’assemblea delle Nazioni Unite di riconoscere unilateralmente la Palestina come “stato osservatore non membro”, violando gli accordi di pace preesistenti.
La Comunita’ Internazionale votando 138 si’, 9 no e 41 astenuti su 193 votanti ha di fatto abbandonato quasi all’unanimita’ Israele. E’ chiaro che ai palestinesi che appartengono alla nazione araba, non interessa tanto di avere uno stato, quanto lo smembramento dello stato di Israele, con le loro ambizioni su Gerusalemme che vorrebbero come capitale del loro costituendo stato.
In the end e’ chiaro alla fine che il punto focale e’ su Gerusalemme che e’ unica ed indivisibile capitale di Israele, bene dunque ha fatto il governo israeliano ad ordinare l’espansione abitativa di 3000 unita’ a Gerusalemme e nella West Bank che sara’ anche ad ondate incrementata in futuro.
Quello su Gerusalemme e’ un contenzioso senza fine. Diciamo che l’amministrazione Obama con il vicepresidente Joe Biden e il segretario di Stato Hillary Clinton hanno fatto il doppio gioco verso Israele e hanno mancato di lealta’ad un loro fido alleato fin dai tempi del famoso viaggio in Israele di Joe Biden che biasimo’ Netanyahu sempre sulle costruzioni abitative nella capitale, ma non fece altrettanto con Abu Mazen che si accingeva a inaugurare a Ramallah, in presenza di scolaresche, una statua ad una terrorista palestinese che aveva ammazzato 37 civili israeliani.
Questa nostra analisi e’ convalidata dall’intervento di John Bolton, ex ambasciatore all’ONU, grande amico di Israele e Fox News contributor che nella serata del voto all’ONU a favore della Palestina ne ha dato al presidente Obama la responsabilita’. Bolton ha dichiarato che il presidente non ha preso seriamente l’argomento e non ha bloccato in tempo le pretese facilmente prevedibili del faccendiere Abu Mazen che sono andate via via crescendo. Aggiunge che il presidente avrebbe dovuto prendere esempio dal Segretario di Stato James Baker dell’amministrazione ....che piu’ di venti anni fa quando un simile tentativo di cambiare lo status dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina da “entita” a “stato non membro” fu bloccato da Baker che raccomando’ al presidente di non dare piu’ contributi e aiuti a nessuna organizzazione internazionale che volesse apportare cambiamenti di status all’ Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Ora staremo a vedere cosa accadra’ in Congresso, dove gia’ il senatore repubblicano Orrin Hatch dello Utah si e’ impegnato a introdurre leggi che taglino tutti gli aiuti a tutti i gruppi affiliati con cui i palestinesi sono associati.

La Stampa-Francesca Paci: " Netanyahu risponde con le colonie"

Francesca Paci

«Il riconoscimento all’Onu è un successo, ma mi chiedo in che modo ne beneficeremo» ammette da Ramallah l’ingegnere trentenne Munir Rizq. Terminati i festeggiamenti i palestinesi tornano alla realtà come suggerito anche dal premier Salam Fayyad che, sovrapponendo alla retorica l’urgenza di fare un passo avanti «dopo anni di fallimenti», osa il dolente punto di domanda: e adesso dove andiamo?

A poche ore dal blitz di Abu Mazen, che nel frattempo riapre al negoziato a patto d’uno stop alla «colonizzazione», Israele annuncia la costruzione di 3 mila nuovi alloggi tra Gerusalemme Est e l’insediamento di Maaleh Adumim, ulteriore frammentazione della già divisa Cisgiordania subito criticata dalle Nazioni Unite.

Israele però gioca in difesa: con il 51% della popolazione pessimista sulla pace, la prospettiva della rielezione di quel Netanyahu responsabile di un isolamento internazionale senza precedenti, l’amico americano che ribadisce il no all’attivismo «unilaterale» dei palestinesi ma non potendo alienarsi l’Egitto di Morsi conferma per ora gli aiuti di 200 milioni di dollari a loro destinati (a differenza del Canada), lo scudo antimissile Iron Dome sembra poter proteggere il Paese dai razzi ma non dal futuro. I palestinesi invece, pur essendo tecnicamente all’attacco, sono minacciati dal passato e zavorrati dalla spaccatura tra i «moderati» del presidente Abu Mazen e i radicali di Hamas, usciti vittoriosi dalla guerra di Gaza e tentati dall’accreditarsi come unici interlocutori politici (contro gli irriducibili tipo Jihad Islamica). Abu Mazen investirà nel dialogo o, pur avendolo per ora escluso a meno di «aggressioni», spingerà la sfida frontale a Israele fino a portare il problema delle colonie davanti alla Corte dell’Aja?

«La nostra priorità adesso è riordinare la casa, vale a dire riconciliare Hamas e Fatah perché la Palestina deve camminare su due gambe» osserva l’analista politico Mahdi Abdul Hadi. Si aspetterebbe che dopo l’incontro con il leader politico di Hamas Meshaal, previsto la settimana prossima al Cairo, Abu Mazen tornasse in Cisgiordania passando simbolicamente da Gaza. Ma è presto, fa capire.

Pur avendo celebrato come Ramallah, Hamas continua a ribadire «i temi controversi» del successo dell’Onu a partire dal riconoscimento d’Israele a cui i signori di Gaza non vogliono concedere «alcun diritto in Palestina». Dalla sua il movimento islamista ha il supporto sunnita di Egitto, Turchia e dell’ambizioso Qatar, che ha promesso a Gaza un investimento di 400 milioni di dollari ma finora non ha mai voluto incontrare Fayyad.

Il problema è che per quanto la Palestina sia stata promossa da «entità» a «Stato osservatore» dell’Onu è ben lungi dalla meta. Da un lato c’è Gaza, in mano agli islamisti di Hamas dal 2007, «inabitabile» entro il 2020 secondo un recente rapporto dell’Onu ma soprattutto isolata dal resto del concreto Stato palestinese che in base a Oslo dovrebbe sorgere entro i confini del 1967. Dall’altro c’è la Cisgiordania, il regno di Abu Mazen, beneficiaria dal 2008 di una discreta crescita economica fondata però principalmente sull’aiuto dei Paesi donatori (oltre 3 miliardi di dollari in aiuti diretti), minacciata da un deficit di budget da un miliardo di dollari e limitata nello sviluppo a causa delle colonie e dei check point militari nelle zone sotto il controllo israeliano (secondo il Protocollo di Parigi del 1994) che, per esempio, impediscono agli imprenditori delle prospere Nablus e Jenin di fare rete.

Quando a settembre i palestinesi della Cisgiordania sono scesi in piazza contro il costo «israeliano» della vita pagato con stipendi «palestinesi» (un quinto di quelli israeliani) Abu Mazen ha temuto la terza intifada. La guerra di Gaza ha passato la palla a Hamas ma ora l’iniziativa è tornata a Ramallah. La vera sfida è smettere di giocare a vuoto.

Corriere della Sera-Francesco Battistini: " Palestina, la risposta di Israele, tremila nuove case ai coloni "

Francesco Battistini

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME — Dal Palazzo di Vetro alle case di cemento. Subito dopo il voto Onu sulla Palestina, il premier Bibi Netanyahu aveva detto che «niente cambierà sul terreno». E' stato di parola: sul terreno, quello occupato di Gerusalemme Est e della Cisgiordania, Israele continuerà a costruire. Tremila nuovi alloggi, altri mille in arrivo. Nemmeno 24 ore dalla «débâcle diplomatica» (editoriale di Haaretz) e una fonte anonima del governo, chiusa la riunione dei 9 ministri che contano, sfida il mondo e irrita gli Usa («mossa controproducente») comunicando che le betoniere ricominceranno a girare in uno dei più grandi insediamenti ebraici illegali: Maale Adumim, la terra evangelica del Buon Samaritano, 39 mila coloni che da quarant'anni vengono incoraggiati ad allargarsi fra le proteste della comunità internazionale. Il perché della mossa, non inattesa, è nelle parole del vicepremier Shalom: «All'Onu c'è stata una violazione unilaterale degli accordi di Oslo. Israele può fare lo stesso: esercitando la sua sovranità in Cisgiordania e sulla strada che collega Maale Adumim a Gerusalemme».
Quella strada. Di pietre scagliate, acque rubate, filo spinato. Ci sono scrittori israeliani, come Amos Oz, che da anni si rifiutano di percorrerla. Non per paura: perché attraversa Territori palestinesi sotto controllo militare israeliano; perché collega i quartieri contesi di Gerusalemme Est a una zona che un tempo era abitata all'85% da palestinesi e beduini, mentre oggi i palestinesi sono uno su tre e i beduini vengono cacciati altrove; perché taglia in due il deserto e la Palestina, secondo un piano d'espansione (sigla: E1) che la pace di Oslo aveva congelato e che ora, pericolosamente, viene di nuovo cucinato. Quest'ok ai nuovi cantieri è «un'aggressione», dice l'ex ministra Hanan Ashrawi, che invoca già la prima denuncia al Tribunale dell'Aia. «Mentre noi facciamo di tutto per tenere viva la soluzione dei due Stati — dice il mediatore palestinese Saeb Erekat —, gl'israeliani fanno di tutto per ucciderla». «Esistono almeno 15 risoluzioni Onu che considerano illegali le colonie — è più cauto il presidente Abu Mazen —. Perché gl'israeliani continuano a costruire? Rivolgersi all'Aia è un nostro diritto, ma non lo eserciteremo adesso. Lo useremo per fare pressione: noi vogliamo riaprire i negoziati».
I negoziati sono interrotti da due anni ed è improbabile che ripartano in piena campagna elettorale israeliana. Netanyahu, anzi, sta pensando ad altre contromosse: trattenere le tasse versate dagli arabi, che di solito vengono girate a Ramallah, o limitare i permessi di transito ai vip dell'Autorità palestinese. «E' stata superata la linea rossa», avverte Avigdor Liberman, ministro degli Esteri, colono e alleatissimo a Bibi. «E' stata smarrita la linea — ribatte la "reaparecida" ex ministra Tzipi Livni, a capo d'un partito col suo nome —: Noi israeliani abbiamo perso all'Onu, in un giorno, quel che avevamo conquistato in anni».

Per inviare la propria opinione a Il Giornale, Stampa, Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@lastampa.it
lettere@corriere.it
segreteria@ilgiornale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT