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Il Foglio - Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
30.11.2012 Palestina all'Onu, le reazioni israeliane e la Turchia megafono di Abu Mazen
cronache di Mattia Ferraresi, Francesco Battistini, Maurizio Molinari

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Mattia Ferraresi - Francesco Battistini - Maurizio Molinari
Titolo: «Al Palazzo di Vetro l’Italia delude Israele su un voto 'che non conta' - La reazione dello Stato ebraico. 'Una delusione molto grande' - Onu, la Turchia guida il fronte pro-palestinese»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 30/11/2012, in prima pagina, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo " Al Palazzo di Vetro l’Italia delude Israele su un voto 'che non conta' ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 3, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " La reazione dello Stato ebraico. «Una delusione molto grande» ". Dal sito internet della STAMPA l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Onu, la Turchia guida il fronte pro-palestinese ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Onu, la Turchia guida il fronte pro-palestinese"


Maurizio Molinari, Recep Erdogan

Il dibattito al Palazzo di Vetro sull'approvazione della risoluzione Onu che trasforma la Palestina in uno Stato non-membro ha fatto emergere al Palazzo di Vetro diverse novità diplomatica che sembrano destinate ad avere conseguenze. 

LE PAROLE DEI DUELLANTI. Il presidente palestinese Mahmus Abbas e l'ambasciatore israeliano Ron Prossor hanno pronunciato interventi diversi in tutto, tranne che nel comune riferimento alla volontà di riprendere il negoziato. Abbas ha detto di non voler mettere in dubbio la "legittimità di Israele" e Prossor lo ha invitato ad "andare a Gerusalemme anziché venire a New York" seguendo l'esempio del leader egiziano Anwar Sadat "che disse di essere disposto ad andare alla fine del mondo pur di fare la pace". Trattandosi degli interventi dei duellanti, contengono uno spiraglio di trattativa. Anche se appare al momento assai ristretto. 

ANKARA GUIDA IL FRONTE PRO-PALESTINESI. A presentare la risoluzione è stato il Sudan, a nome di 42 co-firmatari, e il maggior risultato politico per i palestinesi è stato il sostegno dei Paesi europei - a cominciare da Francia, Spagna e Italia - che affiancandosi ai 132 Stati che già riconoscono lo Stato di Palestina hanno consentito di arrivare a 138 voti. Ma l'intervento più determinato a favore dell'approvazione è venuto dal ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ed ha ritagliato alla Turchia un ruolo di primo piano. Con un linguaggio acceso Davutoglu ha accusato il mondo di aver "taciuto per 65 anni sulle piaghe dei palestinesi", identificando nella "bandiera palestinese che sventolerà su questo edificio" un "atto di dignità e rispetto per la Palestina sanguinante". "Saremo sempre a fianco dei palestinesi fino a quando non avranno uno Stato con Gerusalemme capitale" ha concluso il ministro di Ankara, parafrasando con voluta malizia il Pirkè Avot - le Massime dei Padri della tradizione ebraiche - nel dire "se non riconosciamo la Palestina ora, allora quando?". Dopo aver infiammato il parterre di delegati arabi e africani, sempre Davutoglu è stato il primo diplomatico ad abbracciare il presidente palestinese Mahmud Abbas pochi attimi dopo la proclamazione del risultato. I due hanno pianto assieme mentre veniva aperta una bandiera palestinese nel parterre dell'Assemblea Generale. Se l'Olp di Yasser Arafat nacque negli anni Sessanta godendo del forte sostegno dell'Egitto di Nasser, ebbe quindi il maggior alleato nell'Urss e, dopo la fine della Guerra Fredda, nell'Iraq di Saddam Hussein, per essere poi sostenuta da diverse capitali arabe, quanto avvenuto al Palazzo di Vetro dimostra che oggi questo ruolo è ricoperto dalla Turchia di Recep Erdogan. 

IL CANADA SPICCA NEL FRONTE PRO-ISRAELE. Solo 8 Paesi si sono uniti a Israele nel respingere la risoluzione: Stati Uniti, Canada, Repubblica Ceca, Panama, Nauru, Palau, Micronesia e Isole Marshall. Fra questi, l'intervento più energico dal podio lo ha pronunciato il ministro degli Esteri del Canada. John Baird si è richiamato al ruolo che ebbe il anada 65 anni fa per redigere il testo della risoluzione sulla partizione della Palestina mandataria britannica, ricordando che se uno Stato arabo non sorse allora a fianco di Israele fu per colpa "dei Paesi che vi si opposero" e non dello Stato ebraico. Il riferimento è servito per difendere la legittimità degli accordi di Oslo, base delle intese di pace raggiunte fra Israele e palestinesi nel 1993 e 1994, perché "si basano sulle risoluzioni Onu 242 e 338 prevedendo negoziati diretti per la pace". Il suo intervento si è rivelato la più chiara, e determinata, esposizione delle motivazioni giuridiche e legali per opporsi ad "una risoluzione unilaterale nociva perché alla pace si arriva negoziando fra le parti". L'ambasciatrice Usa all'Onu, Susan Rice, ha preso la parola solo dopo il voto, giustificando il no con il fatto che la "risoluzione è controproducente" ma le motivazioni adotte sono state quelle illustrate dal Canada. A parte la sparuta pattuglia di "no", Israele ha ottenuto 41 astensioni guidate da Londra, Berlino, Sul, Canberra, Varsavia e Seul. 

L'EUROPA IN ORDINE SPARSO. Gli interventi degli europei hanno avuto in comune il riferimento alla necessità di "riprendere i negoziati" e difendere l'obiettivo di risolvere la crisi israelo-palestinese "con la formula dei due Stati". Ma a sostenerlo sono stati tanto i rappresentanti di chi ha votato a favore della risoluzione - Francia, Grecia e Belgio - quanto di coloro che si è astenuto - Germania, Gran Bretagna - con il risultato di raffigurare una evidente contraddizione nell'Ue. 

L'INTERVENTO DELL'ITALIA. Il tale contesto l'intervento dell'ambasciatore italiano, Cesare Ragaglini, si è distinto perché, richiamandosi al processo di pace di Madrid - da cui nel 1991 partì il negoziato israelopalestinese - ha spiegato il voto favorevole di Roma con le "assicurazioni ricevute da Abbas" che i palestinesi non faranno leva sul nuovo status internazionale per ricorrere a Corti, Trattati e Convenzioni internazionali al fine di creare nuovi contenziosi con Israele. E' stato l'unico intervento europeo che ha accennato ad una trattativa con Abbas in cambio del voto favorevole in aula.

Il FOGLIO - Mattia Ferraresi : "Al Palazzo di Vetro l’Italia delude Israele su un voto 'che non conta' "


Mattia Ferraresi

New York. La posizione dell’Italia sul riconoscimento della Palestina come “stato osservatore non-membro” all’Onu è arrivata con una smentita del presidente del Consiglio al suo ministro degli Esteri. Mentre Giulio Terzi parlava di equidistanza e diceva che la decisione si sarebbe scoperta al momento del voto, Mario Monti ha annunciato il sostegno dell’Italia al riconoscimento palestinese. Il presidente del Consiglio ha spiegato le sue ragioni ad Abu Mazen e Bibi Netanyahu, ha incassato la “delusione” dell’ambasciata israeliana e si è accodato alla fronda europea che ha sostenuto la promozione della Palestina al rango di stato.
L’Anp non aveva bisogno dei voti europei per avere la maggioranza all’Assemblea generale che ieri ha approvato la richiesta, ma nel gioco politico il sostegno di Francia, Spagna, Belgio (14 membri dell’Ue hanno votato “sì”) e la decisione di Germania e Gran Bretagna di astenersi hanno fatto dire a un diplomatico israeliano: “Abbiamo perso l’Europa”. Sul voto italiano pesa la logica della coalizione e l’indebolimento di Abu Mazen, ma si fanno anche calcoli sulla più grande paura israeliana: che i palestinesi possano trascinare il governo di Gerusalemme davanti alla Corte penale internazionale. Gli esperti legali dell’Onu consultati dal Foglio dicono però che si tratta di un’opzione puramente teorica. Prima di avere accesso alla Corte dell’Aia lo stato palestinese deve aderire al Trattato di Roma, il quale concede diritti e implica doveri, ad esempio dotarsi di un sistema legale nazionale che rispetti certi standard. Cosa che la Palestina non ha. Quando il rappresentante palestinese all’Onu dice che “non andremo subito alla Corte penale” non fa una dichiarazione politica, ma ammette uno stato di fatto. Nessun automatismo garantisce alla Palestina potenziata dal voto di denunciare Israele al Tribunale internazionale, e nulla dice che gli eventuali reati siano perseguibili retroattivamente.
Quello della Palestina è un piccolo passo nella strada che porta all’Aia, non l’attivazione di un meccanismo inesorabile. Per questo Netanyahu dice che il voto dell’Onu “non cambia nulla”.

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " La reazione dello Stato ebraico. «Una delusione molto grande»"


Francesco Battistini, Bibi Netanyahu

GERUSALEMME — Ridateci Berlusconi. Un mese fa, dopo la visita di Monti, un giornale di Tel Aviv l'aveva buttata lì: ma quale Super Mario, il vecchio Silvio era un'altra cosa, perché il governo di Roma non ha la stessa linea mediorientale (leggi: filoisraeliana) delle maggioranze di centrodestra. «S'era capito da un po' che le cose stavano cambiando», spiega Menachem Gantz di Yedioth Aharonot, autore di quell'editoriale: «Già con Frattini, quando ci fu l'astensione italiana sull'entrata della Palestina nell'Unesco, Bibi Netanyahu aveva chiesto chiarimenti. Gl'italiani l'avevano tranquillizzato: teniamo un basso profilo all'Unesco, oggi, per esservi più vicini all'Onu, domani… Infatti s'è visto: gli amici non ti devono per forza dare ragione, ma devono almeno parlar chiaro. Terzi non ha mai accennato a un voto filoarabo. E ora la sensazione israeliana è quella dei ladri che t'entrano in casa di notte. Questo cambierà qualcosa nei rapporti». Cambio di stagione. Se l'Autorità palestinese ride — «era l'ora d'una posizione più giusta ed equilibrata», commenta Nemer Hammad, storico rappresentante in Italia — se l'ex premier Ehud Olmert sorride, lo choc nel governo Netanyahu è forte. Solo domenica scorsa, la stampa citava due Paesi sicuri sul fronte del no: la Repubblica Ceca e l'Italia. Tutto è avvenuto mercoledì notte, quand'è parso chiaro che gli Usa lasciavano volentieri agli europei la libertà di sganciarsi. «Per noi è stata una sorpresa dell'ultimo momento — commenta l'ambasciatore a Roma, Naor Gilon — una delusione molto grande, anche se non inciderà sui rapporti bilaterali». Avi Pazner, voce del governo, fa capire che perfino un'astensione italiana sembrava improbabile: «Noi speravamo che votassero contro…». «Gl'israeliani erano troppo sicuri — spiega Mustafa Barghouti, già ministro palestinese —. Dopo la scelta francese, è partito un effetto domino. Hollande s'è trascinato dietro i "sì", riaprendo alla soluzione dei due Stati. La reazione del mondo alla guerra di Gaza, inutile, e il sostegno di Hamas, mi fanno pensare che qualcosa si può tentare. L'Italia? Ha fatto una scelta di realismo ed è tornata alla sua lunga tradizione di sostegno della causa araba». Tradizione o, come sussurrano in casa Netanyahu, tradimento? La telefonata di Monti a Gerusalemme serve a rassicurare, ma non è detto che basti. Perché ora è Bibi sulla graticola, a due mesi dal voto: «Questo collasso diplomatico — dice l'analista Shimon Shiffer — è il risultato delle bombe su Gaza, che hanno dato a Hamas un riconoscimento politico e spinto gli europei, per reazione, a dare più forza ad Abu Mazen». A irritare Netanyahu sono i francesi, ma qui è facile essere tirati nelle contese e il premier italiano l'ha già sperimentato: quando parlò d'un ritorno ai confini di prima del '67, a Pasqua, nel Likud ci fu chi lo etichettò subito come filoarabo; quando sei mesi dopo citò Israele «casa nazionale del popolo ebraico», la stessa destra ne forzò il senso, sostenendo addirittura che «l'Italia, unica in Europa assieme alla Polonia», aveva escluso «il diritto al ritorno per i profughi palestinesi». «Questa è una piccola frattura — dice Dore Gold, ex consigliere di Bibi, già ambasciatore all'Onu —. Israele ormai non s'aspetta più nulla dall'Ue e non l'accetterà più come mediatore imparziale. Anche l'Italia, che era fra i Paesi garanti dell'accordo di Oslo, ne ha favorito la violazione». «L'Italia ha fatto benissimo — pensa invece Yossi Beilin, ex ministro laburista — conosco Terzi e so che è amico d'Israele. Non è un voto contro Oslo, perché l'accordo riguarda i confini o l'acqua, non i diritti dello Stato palestinese. Sono molto felice. Ora, si deve passare a una cosa più concreta: i negoziati».

 

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