Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/11/2012, a pag. 3, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " L’America: siamo delusi ma è una vostra scelta ". Dal GIORNALE, a pag. 12, l'articolo di Vittorio Dan Segre dal titolo " ".
Ecco i due articoli:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " L’America: siamo delusi ma è una vostra scelta"
Maurizio Molinari Barack Obama
Siamo delusi dalla decisione dell’Italia ma trattandosi di una nazione sovrana spetta a lei decidere come procedere in questi casi». È un portavoce del Dipartimento di Stato a far conoscere la reazione dell’amministrazione Obama alla svolta italiana. Washington si aspettava una scelta differente da Roma, in favore dell’astensione sulla risoluzione palestinese all’Onu, e quando il governo Monti ha comunicato la novità vi è stata un misto di sorpresa e disappunto ma senza la volontà di creare attriti bilaterali.
È un approccio che ricalca quello avuto nei confronti della Francia di François Hollande - il primo Paese dell’Ue a dirsi a favore del riconoscimento della Palestina come Stato non-membro da parte delle Nazioni Unite - perché in quella occasione Victoria Nuland, portavoce di Hillary Clinton disse: «La Francia è il nostro più antico alleato, loro sanno che su tale questione siamo in disaccordo ma cosa fare in questi casi è loro decisione sovrana». Insomma, prima nei confronti di Parigi e poi di Roma l’amministrazione Obama prende atto di una convergenza europea a favore della risoluzione palestinese e, pur sottolineando il disaccordo, non vi si oppone.
E’ una scelta tattica che guarda anche a cosa potrebbe avvenire sul fronte del negoziato in Medio Oriente nei prossimi mesi: se Washington resta l’alleato più importante di Israele, lo schieramento di numerosi Paesi dell’Unione Europea a favore della risoluzione può assegnare all’Europa un ruolo di rilievo per spingere l’Autorità nazionale palestinese a compiere i necessari compromessi per raggiungere ad un’intesa sullo status finale dei confini. Si tratta comunque si un processo dai tempi lunghi. La Casa Bianca aveva immaginato uno scenario assai diverso e, nelle conversazioni avute dall’inviato Bill Burns con Mahmud Abbas a New York negli ultimi giorni, aveva spiegato che un passo indietro dei palestinesi all’Onu avrebbe consentito al presidente Barack Obama di essere lui a prendere l’iniziativa, forse già all’indomani delle elezioni israeliane del 22 gennaio. Ora questo scenario si allontana perché le reazioni negative di Israele e del Congresso di Washington al voto dell’Assemblea Generale dell’Onu preannunciano una fase di stallo. Tanto più che la Casa Bianca deve ancora decidere chi comporrà la propria task force sul Medio Oriente. Da qui l’ipotesi, trapelata sulle pagine del New York Times, che la Casa Bianca preferisca nelle prossime settimane e mesi concentrarsi sulla guerra civile in Siria, tentando di accrescere il sostegno all’opposizione in maniera tale da accelerare la caduta del regime di Bashar Assad. Washington è favorevole al dispiegamento dei missili Patriot della Nato in Turchia, lungo i confini con la Siria, come anche a più ingenti forniture di armamenti ai ribelli da parte delle monarchie del Golfo, a cominciare dal Qatar, nella convinzione che possano alterare l’equilibrio di forze in campo. Un segnale in questo senso viene dalla consegna dei missili anti-aerei, che ha già consentito ai ribelli di abbattere diversi elicotteri governativi.
Il GIORNALE - Vittorio Dan Segre : " E Obama si riavvicina allo Stato ebraico"
Vittorio Dan Segre Hillary Clinton
Il 29 novembre è la data della creazione dell' Onu di due Stati per secoli inesistenti: Israele nel 1947, Palestina nel 2013. Per il presidente dell'Autorità palestinese Mahmud Abbas è un trionfo politico; per il premier israeliano Netanyahu e il Presidente americano Obama, opposti al riconoscimento della Palestina in «Stato Osservatore» all'Onu, uno scacco politico. Le ragioni che uniscono i due leader sono evidenti. La creazione dello Stato di Palestina mette di fatto fine agli accordi di Oslo del 1993 su cui da vent'anni si fondava la ricerca americana ed europea di risolvere il conflitto medio orientale e vanifica la speranza israeliana di continuare a mantenere l'occupazione della Cisgiordania.
Le apparenze sono ingannevoli. Il trionfo di Mahmud Abbas è personale, non nazionale. Ne aveva gran bisogno per legittimare la sua presidenza (mai rinnovata nel 2005), per riparare allo schiaffo infertogli da Hamas col colpo di mano a Gaza nel 2007 e da Netanyahu con la continuazione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. È vero che uno Stato palestinese anche se osservatore avrebbe diritto di appellarsi contro Israele alla corte Internazionale dell'Onu aprendo la strada ad una condanna del Consiglio di Sicurezza, cosa fattibile da qualsiasi altro Stato come più volte dimostrato (e reciproca per Israele). Quello che uno Stato palestinese non potrà fare è trasformare il suo territorio in base di attacco contro Israele come fecero impunemente Al Fatah prima e Hamas poi a Gaza in virtù del principio sinistroide che i movimenti di liberazione sono solo «moralmente e ideologicamente» responsabili.
Lo scacco di Netanyahu è più diplomatico che politico. Le sue pressioni sui membri dell'Onu contro il riconoscimento dello Stato di Palestina sono fallite, dimostrando il suo isolamento e l'inefficacia delle minacce di ritorsione. C'è da credere che ora Gerusalemme userà «voce grossa usando bastoni piccoli» per «punire» Mahmud Abbas.
Il quale si rimangerà la promessa di non tornare alla tavola di negoziati se Israele non congelerà gli insediamenti in Cisgiordania (che ora probabilmente aumenteranno). Uno «scacco» che lo avvicina al Presidente Obama (di cui a Gerusalemme si temevano le pressioni nel secondo mandato presidenziale) col risultato che i palestinesi perdono l'appoggio attivo della diplomazia americana.
Le prossime settimane diranno se il conflitto peggiorerà o meno. Tre cose sono certe: il conflitto palestinese perderà la sua centralità; l'Europa divisa e impotente perderà ancora di più influenza; il petrolio arabo perde il suo peso. Quest'ultimo fatto, non il riconoscimento dello Stato palestinese, rappresenta per Gerusalemme un cambiamento tettonico. È la fine della delegittimazione e emarginazione di Israele, iniziata a causa dei palestinesi ma nel 1973 col ricatto petroliero arabo. L'America se ne sta liberando e Israele sta tornando in simpatia grazie al suo sviluppo tecnologico ed energetico. Il nemico resta il nucleare iraniano su cui Obama e Netanyahu si trovano d'accordo.
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