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Il Foglio - Il Manifesto Rassegna Stampa
28.11.2012 Contro l'ingresso della Palestina all'Onu
Ma su Unità e Manifesto spunta un appello pro-Abu Mazen

Testata:Il Foglio - Il Manifesto
Autore: Redazione del Foglio - Redazione del Manifesto
Titolo: «»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 28/11/2012, a pag. 1-4, l'articolo dal titolo " Palestina all’Onu ". Dal MANIFESTO, a pag. 15, l'appello dal titolo " Sì allo Stato palestinese all’Onu ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - " Palestina all’Onu "


Giulio Terzi                               Abu Mazen con Ban Ki Moon

Sono insistenti a Roma le voci di una possibile astensione dell'Italia. Se così fosse sarebbe molto grave perché l'Italia andrebbe contro al voto degli Usa di Obama per unirsi a quello di molti altri Paesi che si asterranno.
Verificheremo domani quale decisione ha fatto il governo italiano rappresentato dal ministro Giulio Terzi.

Roma. Lo scorso aprile l’Autorità nazionale palestinese ha chiesto al Tribunale penale internazionale dell’Aia, che ha appena festeggiato i dieci anni di attività, di indagare i “crimini di guerra” israeliani. La risposta del procuratore, l’argentino Luis Moreno-Ocampo, è stata, per questa volta, negativa: “Soltanto gli stati membri sono ammessi”. Con il possibile ingresso della Palestina alle Nazioni Unite, invece, Israele rischia di essere trascinato in tribunale come criminale di guerra. E’ questa la principale preoccupazione della diplomazia di Gerusalemme a ridosso del voto sulla risoluzione, previsto per domani, che aprirebbe all’ingresso al Palazzo di vetro dello stato palestinese. La Francia ieri ha dichiarato, per bocca del suo ministro degli Esteri, Laurent Fabius, che dirà “sì” al voto sulla richiesta del rais palestinese, Abu Mazen, di ottenere il “non member status” alle Nazioni Unite, un passo decisivo per il riconoscimento dello stato. Fabius è da sempre un sostenitore della causa palestinese, ma finora Parigi aveva detto di volersi astenere e di preferire un ritorno al negoziato. Ora la Francia è diventata il primo grande paese europeo a dichiarare il sostegno completo al voto: la sua posizione è stata criticata ieri sera esplicitamente dal dipartimento di stato americano. Anche Londra è propensa per il “sì”, come ha lasciato intendere il ministro degli Esteri, William Hague, lunedì sera dopo una conversazione con Abu Mazen, anche se ufficialmente non è stata presa alcuna decisione. Secondo il Financial Times il consenso sarà definitivo a tre condizioni: che i palestinesi non usino la risoluzione per entrare nella Corte dell’Aia (condizione dirimente per Israele); che Abu Mazen si impegni a tornare al negoziato con Israele; che la risoluzione non sia utilizzata per chiedere una membership completa al Consiglio di sicurezza. Mentre anche la Spagna ha annunciato il “sì” alla risoluzione, la Farnesina fa sapere che “deciderà” in accordo con l’Ue, ma “al momento non è stata ancora presa alcuna decisione”. Ieri ci sono state consultazioni tra i ministri dell’Ue per definire una linea comune, nonostante la Francia si sia già espressa e Londra stia valutando il da farsi con i suoi interlocutori in medio oriente. I palestinesi intanto lavorano ai loro progetti: dal 2009 hanno riconosciuto in modo unilaterale la giurisdizione della Corte dell’Aia, con l’obiettivo di incriminare Israele per i “targeted killing”, gli omicidi mirati dei capi del terrorismo. La Corte dell’Aia considera le uccisioni extragiudiziali “illegali”. Molti gli ufficiali israeliani nel mirino dell’Aia, come il colonnello David Benjamin: il procuratore Ocampo ha minacciato un’inchiesta su di lui. I palestinesi all’Aia hanno un alleato importante nel giudice Richard Goldstone, che ha posto il proprio nome come sigillo nel controverso rapporto che all’Onu ha messo Israele e Hamas sullo stesso piano di responsabilità per la guerra di Gaza del 2009 (poi Goldstone ha abiurato quello stesso rapporto in un’autocritica clamorosa sul Washington Post). I palestinesi hanno intenzione di chiedere alla Corte dell’Aia di pronunciarsi anche sull’illegalità di compagnie straniere coinvolte nella costruzione della barriera difensiva in Cisgiordania (nel 2004 la Corte stabilì l’illegalità del muro israeliano) o in attività di antiterrorismo, come Elbit, Hewlett-Packard, Motorola e Caterpillar, i cui bulldozer sono usati da Israele nelle operazioni nei territori, compresa la distruzione delle case dei terroristi. La convenzione su cui poggia la Corte dell’Aia, ratificata a Roma, stabilisce anche che la presenza dei coloni israeliani nei territori dopo il 1967 è un “crimine di guerra” e che il “transfer” di popolazione è proibito dalla convenzione di Ginevra. Su pressioni dei paesi arabo-islamici, la stessa convenzione ha rifiutato di inserire il terrorismo fra le azioni perseguibili in tribunale.

Il MANIFESTO - " Sì allo Stato palestinese all’Onu "


Moni Ovadia                Pierluigi Bersani              Susanna Camusso


Nichi Vendola                     Antonio Panzeri

Un appello pubblicato in tandem con L'Unità. Il motivo è chiaro, tra i firmatari  c'è pure Pierluigi Bersani.
Riconoscere il non-Stato palestinese all'Onu avrebbe effetti devastanti sui negoziati futuri, questo perché i confini proposti dall'Anp non garantiscono la sicurezza per Israele e per via dello status di Gerusalemme.
E, comunque, per ora non esiste nessuno Stato palestinese, come sia possibile che una entità indefinita entri a far parte a pieno diritto dell'Onu è un mistero.
Tra i firmatari, oltre al nome di Bersani, spiccano quelli di altri odiatori professionisti di Israele come Moni Ovadia, Susanna Camusso, Nichi Vendola, Ali Rashid. Non stupisce la firma di Antonio Panzeri, europarlamentare del PD, che, in qualità di 'esperto', disinforma con cadenza quasi quotidiana i lettori di Libero.
Ecco il pezzo:

Quattro anni fa, in quei drammatici giorni che seguirono l’assedio di Gaza, lanciammo un appello dal titolo: «La questione morale del nostro tempo». Rappresentava il tentativo non solo di uscire dalla spirale della guerra maanche dai rituali dello schierarsi con le parti in conflitto, per provare ad indicare una prospettiva diversa, capace di modificare il nostro sguardo su un conflitto che affonda le proprie radici nel cuore di tenebra dell’Europa e del suo Novecento. Si avviò una carovana. Si nutriva di culture e di storie che la guerra intendeva cancellare, di resistenza nonviolenta a dispetto della chiamata alle armi, di relazioni fra territori e persone nell’intento di valorizzare luoghi e saperi che nell’intreccio del Mediterraneo hanno costruito straordinarie civiltà niente affatto in conflitto. Una rete fittissima di esperienze che hanno interagito con la «primavera araba» dopo la quale niente è più come prima. Oggi la storia sembra ripetersi, quasi a voler abbattere i ponti di dialogo costruiti a fatica nel contesto dei grandi cambiamenti di questo tempo. Di nuovo assistiamo impotenti al dilagare della guerra. Le popolazioni civili vedono aggiungersi nuove sofferenze e nuove distruzioni, tanto in Palestina dove nuovi lutti si aggiungono ad una interminabile lista del dolore, quanto in Israele dove un numero pur minore di vittime non attenua lo stato di tensione e di paura. Per entrambi, l’insicurezza e l’incertezza del domani avviliscono l’esistenza ed offuscano le menti. Ora che i bombardieri tacciono e la tregua sembra reggere, dobbiamo sapere che i problemi sono immutati e che il campo della belligeranza si è fortificato, che i sondaggi di opinione danno in crescita i falchi ottusi e le tendenze estreme. I proclami di guerra e di odio hanno contaminato il linguaggio quotidiano, costringendo in una posizione minoritaria la ragionevolezza e il buonsenso, mentre tutti noi diventiamo vittime collaterali. Eppure siamo consapevoli che la guerra non porta da nessuna parte, tanto è vero che gli ultimi conflitti nel Vicino Oriente si sono risolti in un vano e catastrofico esercizio di potenza, deteriorando situazioni già intollerabili, impoverendo di umanità e di intelletto popolazioni già provate e allontanando l’orizzonte di pace e serenità per una vita dignitosa. E che il dialogo è l’unica alternativa alla guerra. In queste ore, con un nuovo appello vorremmo essere vicini a tutti, gettare una pietra nello stagno che ci ha trasformato in impotenti spettatori o in agguerriti tifosi. Noi sappiamo che nel diritto, nella legalità internazionale e nelle suemolteplici convenzioni, esiste uno spazio di vita e di dignità per tutti. Sappiamo anche che il Mediterraneo è uno spazio non solo geografico ma anche culturale e politico nel quale costruire una prospettiva di incontro e convivenza fra i popoli. Così come sappiamo infine che «la pace dei coraggiosi» continua a rappresentare l’unica scelta possibile per una vita in sicurezza, per la dignità, la crescita umana e culturale di entrambi i popoli. Per questo siamo a chiedere la convocazione di una nuova conferenza internazionale per la pace che riparta da dove i colloqui si sono interrotti. Chiediamo all’Italia e all’Europa di sostenere, presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite la richiesta di Abu Mazen a nome di tutto il suo popolo per il riconoscimento dello Stato palestinese entro i confini del 1967, come contributo a rafforzare la pace in tutta una regione oggi segnata dall’instabilità, dal soffocamento violento delle istanze di libertà e di democrazia. Questo passaggio aiuterà altresì le nuove democrazie nel mondo arabo ad evolversi verso un vero stato di diritto e getterà le basi per una proficua cooperazione regionale e mediterranea, nel quale le grandi risorse umane e materiali siano valorizzate a favore della vita e dello sviluppo umano. Con il nostro appello intendiamo dare vita a un presidio permanente contro la guerra a favore della pace in Palestina e Israele, sulla base della legalità internazionale. Ci rivolgiamo a tutti, in modo particolare a tutti i giovani, senza distinzione di fede o nazionalità, che hanno ereditato un mondo dilaniato dalla guerra e depauperato da scelte politiche insensate, perché il nostro Mediterraneo riacquisti il suo splendore.

Moni Ovadia, scrittore, autore teatrale;
Ali Rashid, giornalista e scrittore;
Fausto Raciti, segretario nazionale Giovani democratici;
Antonio Bassolino, Presidente Fondazione Sudd;
Pierluigi Bersani, Segretario nazionale Pd;
Mercedes Bresso, Presidente comitato regioni europee;
Susanna Camusso, Segretario generale Cgil;
Nandino Capovilla, Presidente nazionale Pax Christi;
Raya Cohen, Docente di Storia Università di Napoli;
Andrea Cozzolino, europarlamentare Pd;
Rosario Crocetta, Presidente Regione Sicilia;
Vasco Errani, Presidente Regione Emilia-Romagna;
Stefano Fassina, Resp. Economia e lavoro Pd;
Lorenzo Floresta, Presidente Giosef Italia;
Roberto Gualtieri, europarlamentare Pd;
Antonio Liaci, segreteria regionale Pd Emilia-Romagna;
Federica Martiny, Gioventù federalista europea;
Davide Mattiello, presidente fondazione Benvenuti in Italia;
GennaroMigliore, resp. Esteri Sinistra e libertà;
Michele Nardelli, consigliere porv. Autonoma di Trento;
Matteo Orfini, resp. Cultura Pd;
Antonio Panzeri, europarlamentare Pd;
Gianni Pittella, Vicepres. Parlamento europeo;
Alessandro Portinaro, Centro per l'iniziativa europea;
Enrico Rossi, Presidente Regione Toscana;
Pasqualina Napoletano, Resp. politiche europee Sinistra e libertà;
Nichi Vendola, Presidente Regione Puglia, segr. naz. Sinistra e libertà;
Leonardo Domenici e Paolo Beni.

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