Egitto, è iniziata la dittatura dei Fratelli Musulmani, se n'è accorto pure Obama Commenti di Angelo Panebianco, Carlo Panella
Testata:La Stampa - Corriere della Sera - Libero Autore: Redazione della Stampa - Angelo Panebianco - Carlo Panella Titolo: «Obama: preoccupazione per i poteri di Morsi - Quelle lodi a Morsi sono state un errore - Egitto indietro tutta. E l’Occidente lascia fare»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/11/2012, a pag. 1-42, l'articolo di Angelo Panebianco dal titolo "Quelle lodi a Morsi sono state un errore ". Da LIBERO, a pag. 20, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Egitto indietro tutta. E l’Occidente lascia fare". Ecco i pezzi, preceduti dalla breve dal titolo " Obama: preoccupazione per i poteri di Morsi " pubblicata sulla STAMPA a pag. 18:
La STAMPA - " Obama: preoccupazione per i poteri di Morsi"
Barack Obama
Dopo aver legittimato in tutti i modi possibili i Fratelli Musulmani, invitandoli pure alla Casa Bianca, ora Obama si dice 'preoccupato' per la piega dittatoriale presa dal presidente Morsi. Meglio tardi che mai ?
La Casa Bianca si è detta preoccupata del decreto con cui il presidente egiziano Mohammed Morsi ha dichiarato le sue decisioni inappellabili ma allo stesso tempo ricorda come abbia giocato un ruolo chiave per ottenere il cessate il fuoco tra israeliani e palestinesi a Gaza. Così il portavoce Jay Carney che ha esortato alla calma tutte le parti per risolvere pacificamente le divergenze sull’impasse costituzionale in corso. Il presidente Morsi ieri ha cercato un compromesso con i giudici sul decreto con il quale si è dato poteri speciali. In un incontro con i vertici del potere giudiziario ha ribadito che il decreto ha natura «temporanea».
CORRIERE della SERA - Angelo Panebianco : "Quelle lodi a Morsi sono state un errore "
Angelo Panebianco
Perché il colpo di Stato con cui giovedì scorso il presidente egiziano Mohammed Morsi ha concentrato nelle proprie mani tutti i poteri ha suscitato imbarazzi ma poche proteste da parte dei governi e delle opinioni pubbliche europee? Di quelle stesse opinioni pubbliche, cioè, che, solo due anni fa, avevano tanto applaudito la rivoluzione anti Mubarak? Perché tanta indifferenza per quei poveri oppositori laici scesi in piazza contro la neonata dittatura? Per varie ragioni, la principale delle quali è che non ce la si può prendere troppo con il «pacificatore» di Gaza, lodato, coccolato (e finanziato) dagli americani. Se non sapessimo che le teorie cospirative della storia, per le quali nulla accade a caso ma tutto è riconducibile a un «disegno», a un piano diabolico, sono solo spazzatura, dovremmo pensare che Morsi e i suoi siano geni del male. Dovremmo pensare che Morsi abbia fatto esplodere la crisi di Gaza facendo passare nella Striscia ogni genere di armi, ivi compresi i missili a lunga gittata forniti dall'Iran ad Hamas, allo scopo di presentarsi al mondo nelle vesti del mediatore responsabile e incassare così la legittimazione necessaria per fare un colpo di Stato nella generale acquiescenza. Non è così, la storia procede in modo più casuale. Che i rapporti fra l'Egitto dei Fratelli musulmani e i loro cugini di Hamas siano diversissimi da quelli che intratteneva con loro il regime di Mubarak è un fatto. Così come è un fatto che il successo incassato nella soluzione della crisi sia stata l'occasione colta al volo da Morsi per formulare la dichiarazione presidenziale con cui ha assunto i pieni poteri. Ma conviene escludere il «disegno»: la storia è intessuta di accadimenti e di opportunità che gli accadimenti offrono e che possono essere colte oppure no. Morsi si è rivelato bravissimo nel cogliere l'opportunità. Non sappiamo se la dittatura sarà temporanea o duratura (c'è chi spera che Morsi si comporterà da Cincinnato). Ma sappiamo che di dittatura in questo momento si tratta e che i Fratelli musulmani hanno ora tutte le chiavi, ivi compresa la possibilità di farsi una Costituzione su misura, per imporre un controllo permanente sul Paese. Ci sono equivoci da sciogliere e prospettive da valutare. I Fratelli musulmani hanno vinto le elezioni parlamentari dello scorso gennaio. Il presidente Morsi è stato scelto dagli elettori in giugno. Non basta per dire che l'Egitto è una democrazia? No. Perché la democrazia non richiede solo che i governanti siano stati liberamente votati da una maggioranza. Richiede anche che i diritti delle opposizioni siano rispettati ed esista sempre per loro la possibilità di battere in nuove elezioni i governanti in carica. La democrazia è, prima di tutto, un meccanismo per la sostituzione dei governanti tramite elezioni anziché rivolte armate. Ma se si creano condizioni che rendono impossibile per l'opposizione sfidare elettoralmente la maggioranza, allora la democrazia non c'è o è compromessa. Per questo, ad esempio, sono considerate dubbie le credenziali democratiche del regime di Putin in Russia. Ed è per questo che la mossa di Morsi rischia di pregiudicare il futuro dell'Egitto. Ci sono là oggi le condizioni per l'instaurazione di una dittatura permanente. Si aggiunga anche che se nei Fratelli musulmani convivono, secondo gli esperti, correnti più pragmatiche e correnti intransigenti, va anche messa in conto la pressione esercitata dai salafiti (reduci da un ottimo successo elettorale), la corrente più radicale, e violenta, dell'islam sunnita. È l'eterno dilemma delle democrazie e, a maggior ragione, di quelle allo stato nascente: se a vincere le elezioni è un partito non democratico la sorte della democrazia è compromessa. Per indicare regimi autoritari instaurati con il consenso della maggioranza si parla spesso di democrazie autoritarie o illiberali. Ma la democrazia in senso proprio non c'è in alcuno di quei casi. È probabilmente un errore credere che i Fratelli musulmani egiziani seguiranno le orme del partito islamico turco. La Turchia ha alle spalle quasi un secolo di occidentalizzazione avviata dal creatore della Turchia moderna, Ataturk, e anche una lunga storia, sia pure tormentata e spesso interrotta, di democrazia dei partiti. Il partito islamico turco oggi al potere deve fare i conti con quella storia. Ma nell'Egitto non c'è nulla del genere: nessuna esperienza democratica precedente a cui rifarsi o che possa condizionare i Fratelli musulmani. C'è poi un problema di prospettive. Se l'Egitto evolverà in dittatura islamica, ciò influenzerà tutto il Medio Oriente. I Fratelli musulmani, tallonati dagli estremisti salafiti, diventeranno la forza più potente e diffusa. Quanto tempo occorrerà perché si verifichi un forte riallineamento antioccidentale in tutta la regione? Per non parlare della sorte di Israele. Difficilmente potrà bastare il solito flusso di dollari americani per tenere sotto controllo un Medio Oriente sempre più stretto fra il radicalismo sciita iraniano e le varie forme dell'integralismo sunnita. Non c'è più tempo né spazio, in Europa, per manifestazioni di democraticismo ingenuo. Si prenda atto, ad esempio, che nel caso della guerra civile siriana, l'alternativa non è fra un regime sanguinario e la democrazia ma, più probabilmente, fra i tagliagole di un regime alleato all'Iran e altri estremisti di pari pericolosità ma di diverso orientamento. Meglio andarci coi piedi di piombo. Da ultimo, ci sono gli effetti probabili dell'evoluzione egiziana e dell'accresciuta forza dei movimenti islamisti in Medio Oriente sui rapporti fra l'Europa e l'immigrazione musulmana. È difficile che non ci siano ricadute. Converrà monitorare con attenzione quanto accadrà nei settori più militanti dell'islam europeo.
LIBERO - Carlo Panella : " Egitto indietro tutta. E l’Occidente lascia fare "
Carlo Panella Fratelli Musulmani
È strabiliante la capacità del presidente egiziano Morsi di proiettarsi un giorno al centro della scena internazionale, dimostrando di sapere farsi garante della tregua tra Israele e Hamas, salvo poi gettare il proprio paese nel caos il giorno dopo con un ukaze con cui subordina il potere legislativo e giudiziario all’esecutivo. A se stesso! Il tutto, ottenendo con la prima mossa - pare - un prestito dal Fmi di 4.8 miliardi di dollari, indispensabile a salvare la disastrata economia egiziana, salvo poi distruggere la credibilità economica del suo stesso paese, innescando non solo nuovi moti di piazza, ma spingendo tre dei suoi più stretti collaboratori alle dimissioni, provocando lo sciopero generale di tutti i magistrati egiziani contro di lui e addirittura spingendo ben 180 diplomatici egiziani a dichiarare che non difenderanno presso le nazioni in cui sono accreditati le decisioni del loro presidente. POLITICA ISLAMICA Un caos strategico che dimostra varie cose. Innanzitutto la scarsissima esperienza di governo dei Fratelli Musulmani di cui Morsi è espressione: eccellenti nel radicarsi nei paesi arabi quale principale forza di opposizione ai regimi, ma del tutto privi di esperienza di governo. Poi, che nella cultura politica dei Fratelli Musulmani, plasmata sulla “ars politica” di Maometto di 14 secoli fa, la concezione della separazione netta tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario è considerata superflua, ininfluente. Soltanto una visione verticistica, autoritaria della struttura dello Stato - e quindi della società - può avere portato Morsi a considerare eliminabile il check and balance, l’equilibrio tra i tre poteri dello Stato che della democrazia, assieme al voto universale, è l’essenza. Prova provata che il consolidamento della democrazia è in ambito islamico ben più complesso di quanto non lo sia stato nei paesi occidentali (che pure hanno impiegato secoli per conseguirlo, con le drammatiche battute d’arresto, in tanti paesi europei, del fascismo e del nazismo). Infine, quella decisione sciagurata dimostra - se ancora ve ne fosse bisogno - che il già difficile cammino verso la democrazia nel più importante paese arabo non è per nulla accompagnato da una strategia coerente di Usa e Unione Europea. Pure, Stati Uniti, Europa e Occidente controllano le leve degli aiuti economici indispensabili alla disastrata economia egiziana a superare il crollo seguito alla rivoluzione, con un deficit balzato all’80% del Pil e un debito estero galoppante, 20 miliardi di dollari di riserve valutarie bruciate in pochi mesi solo per pagare gli stipendi della pubblica amministrazione e acquistare carburanti e derrate dai paesi stranieri, e insomma un’economia praticamente in recessione - soprattutto a causa della contrazione del 30% del flusso turistico provocata dalla paura dei disordini di piazza. AIUTI ECONOMICI Ma l’amministrazione Obama, così come la stessa Ue, non hanno affatto elaborato una strategia che vincoli la concessione di questi aiuti economici a precisi, specifici vincoli sul terreno del rispetto dei Diritti dell’Uomo, delle regole di uno Stato democratico e anche del rispetto del quadro internazionale. Questa fu invece l’essenza del Piano Marshall con cui gli Usa nel 1945-48 risollevarono l’econo - mia europea, condizionando però quell’immenso afflusso di capitali al raccordo dei paesi beneficiari con le regole della democrazia (per questa ragione Stalin impedì ai paesi dell’Est Europa di accettare i benefici di quel Piano). Gli aiuti economici vengono invece elargiti all’Egitto senza alcuna condizione se non contingente, e dunque guardando alle settimane e non ai decenni a venire. Una politica cieca e ignava. Dopo la sollevazione popolare, Morsi ora tratta con la magistratura egiziana una sua prudente marcia indietro, e forse ritirerà quella sua mossa sconsiderata e autoritaria. Ma l’Egitto continuerà di sicuro a procedere a zig zag, subordinato all’ipoteca dell’Islam radicale, mentre l’Occidente lascerà fare, incapace di esercitare leadership persino sul terreno della più elementare difesa della democrazia e del rispetto dei Diritti dell’uomo.
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