Sul SOLE24ORE di oggi, 25/11/2012, a pag.12 Ugo Tramballi scopre che il Presidente Morsi è diventato un dittatore. Dopo gli elogi ecco la dura verità, non male per uno che passa per essere un 'esperto' di Medio Oriente. Nella stessa pagina, Alberto Negri esprime la filosofia del quotidiano della Confindustria, niente timore, per quanto riguarda l'economia 'business as usual', tutto continuarà come prima, il titolo contiene un 'ma' che è un capolavoro, " Ma sull' economia il riformismo è la strada obbligata", come dire 'Franza o Spagna purchè se magna'. E brava la nostra confindustria "
Ecco i due articoli:
Ugo Tramballi " In Egitto scoppia la guerra tra istituzioni"
Morsi peggio di Mubarak Ugo Tramballi
«È un attacco senza precedenti all'indipendenza del sistema giudiziario e dei suoi decreti». Come era prevedibile, il Consiglio superiore della giustizia, il massimo organismo di categoria dei giudici egiziani, entra con i codici e le lance nella battaglia istituzionale contro la presidenza della repubblica. Le manifestazioni di protesta continuano, anche se non oceaniche; in piazza Tahrir sono riapparse una decina di tende, segno di un presidio che vuole essere permanente. Morsi che tre giorni fa sembrava avere in mano il Paese, ora appare più isolato.
I giudici in Egitto sono quasi sempre stati il baluardo di quel poco di libertà di giudizio che era stato possibile preservare nei trent'anni di dittatura di Hosni Mubarak. Solo il Procuratore capo della repubblica, silurato tre giorni fa per decreto presidenziale, era uno degli ultimi noti sostenitori del vecchio regime. Soprattutto il Club di Alessandria (i club sono organizzazioni sociali, delle lobby di magistrati riformisti) era un ridotto dei diritti civili e dell'indipendenza della magistratura. E proprio i giudici della seconda città più importante del Paese, ieri hanno deciso di scioperare fino a quando Mohamed Morsi non avrà revocato i suoi ultimi decreti. I tribunali di altri governatorati potrebbero seguirli.
È un braccio di ferro che sta paralizzando la transizione egiziana. Nemmeno il presidente dà segni di voler ripensare o quanto meno confrontare le sue decisioni con l'opposizione che, d'improvviso, ha trovato una coesione mai vista prima. «Siamo di fronte a un momento storico nel quale la nostra rivoluzione verrà completata o sarà abbandonata», dice un manifesto di al Dostur, un partito liberale che ora è d'accordo con comunisti, socialisti, cristiani e i giovani bloggers che dopo avere avviato la rivoluzione erano stati incapaci di creare un movimento politico.
Il licenziamento in tronco del procuratore capo Abdel Maguid Mahmud che aveva assolto molti funzionari del vecchio regime, è l'unica scelta popolare del presidente. Molti pensano sia stata presa per ammorbidire l'altro decreto, il siluro istituzionale che toglie ai giudici di qualsiasi ordine e grado il diritto di impugnare le decisioni presidenziali e di proclamare decaduta la commissione costituzionale se le sue decisioni non fossero condivise da tutte le parti politiche.
Mohamed Morsi continua a sostenere di non voler eliminare i poteri dei giudici. L'uomo che ha voluto al suo fianco come vicepresidente è Mahmud Mekki; Ahmad Mekki è ministro della Giustizia e Hossam el Gheryani è il presidente della commissione costituzionale. Sono tutti e tre giudici riformisti osteggiati dal vecchio regime. Morsi assicura che i decreti emanati giovedì avranno limiti temporali: decadranno quando l'Assemblea costituente, cioè la commissione incaricata di redigere la nuova costituzione, avrà concluso i lavori. In sostanza, sarà l'assemblea a definire i poteri del capo dello Stato, se l'Egitto debba avere un sistema presidenziale, semi-presidenziale o esclusivamente parlamentare. Ma lo scontro istituzionale paralizza il processo legislativo. Morsi accusa le opposizioni di bloccare continuamente i lavori dell'Assemblea; le opposizioni laiche accusano i Fratelli musulmani di voler imprimere per maggioranza un'impronta islamica allo Stato che sarà.
Nessuno ha del tutto torto. Fino ad ora la fratellanza che ha vinto tutte le elezioni è stata molto moderata riguardo alle definizioni del ruolo dell'Islam nel sistema. Ma hanno ragione le opposizioni nel sostenere che gli islamisti stanno dominando il processo costituzionale che riflette i loro interessi. Anche i due Mekki e el-Gheriyani sono giudici progressisti ma di orientamento islamista. La carta fondamentale dovrebbe invece essere pienamente condivisa da tutti gli orientamenti politici del Paese.
Nel caos della transizione egiziana non è stato possibile seguire un'agenda tunisina, più ordinata: una assemblea costituente eletta a suffragio popolare per scrivere la costituzione, quindi elezioni politiche e/o presidenziali. In Egitto il percorso è contro-marcia e più conflittuale. Rischia cioè di non arrivare mai a una conclusione, come infatti sta accadendo nell'Egitto di oggi che non ha un buon governo né una buona opposizione.
Alberto Negri: " Ma sull'economia il riformismo è la strada obbligata "
Alberto Negri
Dovevamo intuirlo subito, quando in coincidenza con la mediazione di Mohamed Morsi per la guerra di Gaza il Fondo monetario ha raggiunto l'accordo preliminare per concedere all'Egitto un prestito di quasi 5 miliardi di dollari. I Fratelli Musulmani del presidente egiziano somigliano sempre di più ai Chicago Boys, gli allievi neoliberisti di Milton Friedman assunti nel Cile di Pinochet degli anni 70. Il golpe bianco di Morsi, che sta scatenando nelle piazze reazioni durissime, era forse prevedibile.
La teoria delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni, messa fortemente in dubbio dalla crisi cominciata nel 2008, è stata applicata per anni in tutto il mondo ai Paesi che chiedevano prestiti al Fondo: l'Egitto di Morsi, con il taglio dei sussidi - il 45% della spesa pubblica - e il risanamento del bilancio, si prepara a replicare la ben nota ricetta, accompagnata da una presa del potere che solleva qualche sospetto. Morsi afferma di volere il trionfo della rivoluzione ma i metodi per raggiungere questo obiettivo segnano più continuità che rottura con il vecchio regime. Anche se, per essere onesti, non ha molte alternative se vuole ottenere l'appoggio delle istituzioni internazionali, degli Stati Uniti, dell'Unione europea (un pacchetto da 5 miliardi di dollari) e dei generosi Paesi del Golfo. Tutti hanno promesso appoggi concreti per risollevare l'ansimante economia del Cairo ma vogliono una garanzia: che l'Egitto resti saldamente ancorato al sistema.
Messo alla prova del potere, l'Islam politico, dall'Egitto alla Tunisia - per non parlare del Marocco dove è sotto tutela della monarchia - si dimostra pragmatico e forse anche cinico. I problemi economici e sociali di Paesi come Algeria, Libia, Tunisia, Egitto, Marocco, sono quelli da decenni e nessuno è stato mai affrontato in maniera adeguata. C'è un 40-50% della popolazione che galleggia sulla soglia della sopravvivenza ed è resa ancora più vulnerabile da ricorrenti crisi interne ed estere. I rapporti delle istituzioni internazionali, basati su statistiche generiche o fallaci, oscurano la realtà fino a occultarla. I dati sul Pil ogni anno partono a razzo e poi vengono regolarmente rivisti al ribasso. Il confronto della crescita del reddito pro capite con i Paesi asiatici è impietoso. Nel 1960 in Egitto il reddito medio era circa la metà di quello della Corea del Sud: nel 2010 era crollato a un quinto.
Anche ai tempi di Mubarak sono state avviate riforme economiche, con riduzione dei sussidi, liberalizzazioni e privatizzazioni. Nella classifica Doing Business 2010 della Banca Mondiale l'Egitto era balzato dalla posizione 116 alla 106 su 183 Paesi. Ma è stato un successo arrivato troppo tardi: adesso ci provano di nuovo i Fratelli Musulmani. L'agenda del Fondo monetario non è popolare e gli stessi islamici, a colpi di fatwa, una volta si opponevano strenuamente alle intese con le istituzioni di Washington. Ma con la rivoluzione i tempi sono cambiati e anche gli slogan: Doing Business con Morsi? A Piazza Tahrir potrebbero non essere d'accordo.
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