Si potrebbe chiamare anche colpo di stato la presa del potere attuata da Morsi, chiamato da tutti i media oggi, 24/11/2012, il "nuovo faraone". Riprendiamo il commento di Fiamma Nirenstein dal GIORNALE, a pag.15, con il titolo " Se l'Egitto si ribella al nuovo faraone " e la cronaca di Cecilia Zecchinelli, dal CORRIERE della SERA, a pag.12, con il titolo "Di nuovo in piazza contro il Faraone , la primavera egiziana tradita da Morsi ".
Sulla STAMPA è uscito un lungo commento di Vittorio Emanuele Parsi, che non riprendiamo, non contenendo nulla di interessante, ma che segnaliamo per le ultime righe, nelle quali Parsi, come sua abitudine, attacca Israele con queste parole " Resta viva però l'amara sensazione che proprio l'errore strategico commesso da Netanyahu, senza la sua decisone di aprire a Gaza una crisi che ha dimostrato di non essere nelle condizioni di chiudere, abbia rappresentato un assist insperato per Morsi, in grado di consentire di anticipare una mossa azzardata che forse avrebbe dovuto quantomeno rinviare " A parte l'italiano alquanto sconclusionato, sono parole che qualificano la 'capacità' di analisi dell'autore.
1) Nel suo incerto scrivere, Parsi sembra criticare la presa del potere assoluto di Morsi - dopo averlo sin qui elogiato- ma ne dà la colpa a Netanyahu, colpevole di avere aperto la crisi con Gaza, esserne uscito sconfitto, e con il solo risultato di avere facilitato Morsi. Con un esperto così lucido, i lettori della STAMPA emigreranno in massa su altri giornali se vorranno essere informati sul Medio Oriente.
Ecco commento e cronaca:
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: "Se l'Egitto si ribella al nuovo faraone "
«Nessuno può fermare la nostra marcia, siamo una nazione fragile e io agisco per amore di Dio e del Paese». Si libra sulle sabbie dell'Egitto faraonico la voce del nuovo capo, un Mubarak all'ennesima potenza perché investito del potere religioso che gli dà l’aver vinto le elezioni in nome dei Fratelli Musulmani. Appena Hillary Clinton è tornata a Washington, Mohammed Morsi si è avvolto in un manto di poteri assoluti simili a quelli del precedente dittatore, e la piazza gli si è rivoltata contro, con quindici feriti. Ma per ora non sono scontri decisivi, le manifestazioni al Cairo, a Alessandria e Port Said sono l'ombra del ruggito della rivolta araba. La gente è stanca, suonano ovvie e sdentate, al momento, le proteste di El Baradei che accusa Morsi di essere il nuovo Mubarak; anche un personaggio duro come Amr Moussa non morde, semmai fanno più effetto le dimissioni del direttore di Al Tahrir Ibrahim Issa e del consigliere copto di Morsi, Samer Marqous.
Morsi ha fatto la grande mossa di proibire lo scioglimento dell'assemblea costituzionale e del Parlamento, zeppa di islamisti, qualsiasi legge antidonna e antiomosessuali e anticristiana decreti, e quella di stabilire che le decisioni prese da lui non possono essere oggetto di appello presso nessuna corte, ciò che lo mette su una vetta intoccabile, ieratico e solo come un faraone.
Ma è solo davvero Morsi? Non si può dire che lo sia, dato il corteggio di lodi internazionali da quando gli Usa lo hanno nominato Grande Mediatore Moderato fra il mondo islamista e quello occidentale. La qualifica se l'è conquistata convincendo i suoi confratelli musulmani (anche Hamas, organizzazione terrorista, è affiliata alla sua stessa organizzazione) di Gaza a cessare dal lancio di missili che ha provocato la guerra di otto giorni fra palestinesi e Israele. L'accordo mediato da Morsi parla soprattuto di cessate il fuoco: tutto il resto sono comma trascurabili, perché è del tutto evidente che le armi iraniane seguiteranno ad affluire dal Sinai nelle mani dei dominatori di Gaza. E gli attacchi torneranno. Ma il cessate il fuoco che Obama ha perseguito con forza disegna una strategia che non mette il conflitto israelo- palestinese al centro. Egli ha bisogno di Morsi per altri scopi. Il fatto però è che questa scelta strategica comporta l'ironico caso che gli Usa si ritrovano adesso fra le mani come alleato un nuovo dittatore, forse peggiore di Mubarak. Ma si trattava di una strada obbligata: per gli Usa il problema attuale, quello che secondo le analisi del Pentagono può fare esplodere il mondo, è quello siriano, ed è per questo che il Dipartimento di Stato facendo leva sul bisogno dell'Egitto di urgenti aiuti economici, cerca di costruire un'alleanza sunnita anti Assad, alawita con indispensabili legami sciiti, legato a filo doppio all' Iran, come i pericolosi Hezbollah che tengono in ostaggio il Libano. Nel fronte disegnato dagli americani di sono anche la Turchia, l'Arabia Saudita, gli Emirati, la Giordania... Ma di nuovo Obama sottovaluta le spinte endogene al mondo arabo, le sue pulsioni dittatoriali e religiose, la sua incapacità di mantenere salda una prospettiva internazionale di equilibrio in un momento di passaggio come questo. Durante la guerra fra Israele e Hamas, l'Egitto come gli altri Stati dell'alleanza ha usato per i terroristi di Hamas parole di grande affetto, dedicando a Israele commenti di odio razzista (l'ha fatto anche Morsi) e proclamando, come ha fatto il leader della Fratellanza Musulmana egiziana Mohammed Badei, che la sua organizzazione non riconosce Israele e che la jihad e obbligatoria per i musulmani. Essi, ha detto, aspettano solo il momento giusto per prendere tutti insieme le armi contro l'Occidente. Questo è lo sfondo, e tutti i sorrisi che vengono dedicati a Morsi ignorano dunque sia la sua vis autoritaria, ormai sotto gli occhi di tutti, e anche il suo astuto disegno di prospettiva, che ci esploderà in mano se non sapremo affrontarlo in tempo.
Corriere della Sera-Cecilia Zecchinelli: " Di nuovo in piazza contro il Faraone, la primavera egiziana tradita da Morsi "
La battaglia per Tahrir (e per l'Egitto) è ricominciata: la piazza contro il potere, come ai tempi gloriosi della Rivoluzione contro Mubarak, come in quelli più cupi dei Generali. Lacrimogeni e molotov, lacrime e sangue. Ma oggi il «nemico» è il raìs eletto democraticamente in giugno, l'islamico Mohammed Morsi, e la Fratellanza musulmana da cui emana. Ieri, primo giorno dell'assunzione dei pieni poteri del presidente, il Paese ha mostrato di essere ancora spaccato. Dimenticata per il momento Gaza, ai pochi che da quattro giorni avevano alzato uno striscione su Tahrir con scritto «vietato l'ingresso ai Fratelli» (musulmani), si sono aggiunti migliaia di oppositori. Indignati, furiosi per quel decreto con cui la sera prima, ancora fresco del successo nella mediazione tra Hamas e Israele e delle lodi della Clinton, di Obama e del mondo, Morsi rendeva «inappellabile» ogni sua decisione anche retroattiva. Si attribuiva «il potere esclusivo» di decidere misure per «difendere l'unità nazionale». Assumeva su di sé, de facto, il potere giuridico oltre a quelli esecutivo e legislativo (il Parlamento è dissolto). «Resto con il popolo sul cammino verso la democrazia, la libertà, la giustizia sociale», ha dichiarato ieri ai fan nella piazza di Abdin dove Mubarak parlava alle masse. Quel decreto era necessario per fermare i «nemici della Rivoluzione, di cui sono il guardiano fedele». Ma poco distante il centro città era in fiamme. «Morsi come Mubarak», «vattene dittatore», urlavano i manifestanti mentre altri si scontravano con la polizia nelle vie Mohammed Mahmoud, Qasr el Nil, lungo il Nilo. Un liceo assaltato e bruciato al Cairo, le sedi della Fratellanza a Suez, Ismailiya, Port Said e Alessandria date alle fiamme. Ovunque feriti.
Ad alzare la testa sono i «laici», che alle elezioni avevano votato l'ex capo della Lega Araba Amr Mussa, il nasseriano Hamdeen Sabahi, l'islamico moderato Abdel Munim Abul Futuh. O che avrebbero scelto Mohammed ElBaradei, l'ex capo dell'agenzia Onu per il nucleare che non si era però presentato. Personalità che già giovedì, dopo l'«editto» di Morsi, avevano attaccato duramente la svolta autocratica, conferma dei timori nutriti verso la Fratellanza. Sono i cristiani, tra i più spaventati dalla «ikhwanizzazione» dell'Egitto, termine usato per indicare come gli Ikhwàn, i Fratelli, stiano imponendosi ovunque. Ma sono pure i molti che «tappandosi il naso» avevano votato Morsi nel ballottaggio contro Ahmed Shafiq, uomo di Mubarak. «È l'inizio di una nuova dittatura», ha detto ieri Ahmed Maher, capo del 6 Aprile, principale movimento della piazza fisica e virtuale, che aveva appoggiato il Fratello «pur non dandogli carta bianca». Un altro che aveva dato fiducia a Morsi, il suo consulente cristiano Samir Morcos, ieri si è dimesso, seguito dalla scrittrice Sakina Fouad. E l'Europa, che pur aveva «accettato» Morsi, ha avuto parole dure per bocca del capo della diplomazia Catherine Ashton. Più cauta l'America, due giorni dopo le grandi lodi per Gaza: «Il decreto di giovedì ha destato timori, la Costituzione è un imperativo», ha detto un portavoce dell'Amministrazione.
In realtà anche in Egitto c'è chi, tra molti dubbi, aspetta. Perché in teoria i poteri assoluti di Morsi sono tali fino alla nuova Costituzione attesa per l'inizio del 2013. «In quel decreto ci sono anche cose positive, come la riapertura dei processi per i morti della Rivoluzione e il licenziamento del procuratore generale vicino a Mubarak — si legge sul blog laico Arabist —. I nemici della transizione democratica restano forti, forse Morsi la vuole proteggere. Ma chi ci garantisce? Non certo l'opposizione, in piazza ma come sempre, purtroppo, divisa. Speriamo solo che Morsi sia un nuovo Cincinnato».
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