Hamas tra il martello israeliano e l’incudine iraniana
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)
Israele-Gaza, il confine Mordechai Kedar
La vera, profonda ragione dell’attuale guerra tra Israele e Hamas nasce dalla natura dei rapporti tra questo movimento e l’ Iran, uno statodirettamente coinvolto con quanto avviene a Gaza.
Sin dalla caduta del regime di Saddam Hussein in Iraq nell’aprile del 2003, l’Iran aveva fornito un forte sostegno ad Hamas affinchè il movimento continuasse l’ jihad contro Israele, diversamente dall’OLP, che aveva firmato gli accordi di Oslo e aveva rinunciato, secondo il punto di vista dell’Iran, a lottare per liberare la Palestina. Per anni l’Iran aveva inviato armi, munizioni, denaro ed equipaggiamenti ai combattenti di Hamas nella Striscia di Gaza; via Siria, Libano e il mare a Nord, e via Sudan, Egitto e Sinai a Sud.
La Siria aveva garantito ai leader di Hamas, soprattutto a Khaled Meshal, un sicuro rifugio a Damasco, da cui potevano dirigere l’ jihad contro Israele: c’era un coordinamento totale tra il regime siriano e Hamas.
Inoltre, in qualunque momento ce ne fosse stato bisogno, a sostegno di Hamas c’era anche l’aiuto di Hezbollah. Così Hamas è diventato parte inseparabile della coalizione che l’Iran ha creato nel mondo arabo, il fatto che i combattenti di Hamas fossero sunniti mentre Iran e Hezbollah fossero sciiti, non creava alcun problema.
Nel gennaio del 2006 Hamas ha avuto la maggioranza dei seggi nel Consiglio Legislativo Palestinese, ma lotte violente con l’OLP impedirono di trasferire ad Hamas le redini del potere. Una serie di scontri tra le organizzazioni nella Striscia di Gaza nel febbraio del 2007 diedero origine all’ “Accordo della Mecca”, reso effettivo ma che non impedì ad Hamas di prendere il controllo della Striscia di Gaza nel giugno del 2007 col sangue e col fuoco, eliminando fisicamente le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese. Alcuni di loro furono gettati in strada dai piani alti degli edifici dove avevano cercato di nascondersi.
Da allora Hamas ha avuto il totale controllo di Gaza, permettendo però la presenza di altre organizzazioni , il cui compito era essenzialmente attaccare Israele. Ecco perché sono attive nella Striscia di Gaza organizzazioni come la Jihad islamica, i Comitati di Resistenza Popolare, l’Esercito della Nazione, l’Esercito dell’Islam, le Brigate Salah-a-Din ed altre. Finchè le loro azioni contro Israele si svolgevano entro certi limiti, il governo di Hamas chiudeva un occhio. Intanto si dedicava a organizzare l’ amministrazione della Striscia : sicurezza, esercito, industria militare capace di costruire missili, un sistema legale con un meccanismi legislativi a carattere islamico, ospedali, centri per l’educazione, infrastrutture. I leader di Hamas vanno in giro per il mondo ricevuti come Capi di Stato, ospiti graditi a Mosca e nella maggior parte delle capitali arabe; spesso sono stati in visita anche in Iran, che ha ottime relazioni con Hamas, al quale fornisce i missili destinati ad essere lanciati su Israele.
Nel marzo del 2011, quando iniziarono le dimostrazioni contro il regime siriano, ci fu un cambiamento nelle relazioni tra Hamas e Iran. Il regime di Assad sta lottando con ferocia contro i dimostranti; l’ esercito spara sui civili, uccidendo cittadini inermi. La maggior parte delle vittime sono musulmani sunniti, mentre il regime alawita è una ramificazione dell’Islam sciita. La natura del conflitto siriano è resa evidente dal fatto di essere sostenuta da Iran e Hezbollah, che sono sciiti. Da quando sono scoppiate le rivolte in Siria, diventate in pochi mesi di una violenza inaudita da entrambe le parti, il regime siriano aveva chiesto ai leader di Hamas, soprattutto a quelli che vivevano in Siria, di esprimere il loro sostegno in favore del regime e di aiutarlo con milizie che sparassero ai dimostranti, proprio come Hezbollah aveva fatto inviando cecchini in Siria per la stessa scopo.
I leader di Hamas, sunniti, non possono agire in favore del regime degli eretici alawiti, che stanno uccidendo i cittadini sunniti con l’aiuto degli sciiti, sia perché sarebbe un tradimento nei confronti dei loro fratelli, sia per il timore che cittadini sunniti potrebbero vendicarsi sui rifugiati palestinesi in Siria; ma, d’altro canto, non possono sostenere la popolazione sunnita perché il regime potrebbe rivalersi su di loro e sui loro fratelli rifugiati. Per molti mesi Khaled Meshal ha evitato di schierarsi nella speranza che le dimostrazioni sarebbero finite , risparmiandogli di dover scegliere da che parte stare, ma questo non è accaduto, anzi è successo il contrario: gli atti di ostilità tra le due parti avverse in Siria sono aumentati, così come le pressioni su Meshal. Gli iraniani e il regime siriano esigono che Meshaal ripaghi Assad per i lunghi anni di sostegno economico che la Siria ha dato ad Hamas con armi, munizioni, e denaro. Un aiuto che però Meshal si è ben guardato dal dare. Ecco perché ha dovuto lasciare Damasco e trasferire le sedi di Hamas, stabilendosi soprattutto tra Qatar ed Egitto, dove nel frattempo Il Cairo è diventata la capitale della Fratellanza Musulmana, il movimento da cui è nato Hamas.
L’Iran ha poi diminuito i suoi aiuti a Hamas, perché ha messo da parte la bandiera della jihad, essendosi dedicato negli ultimi anni a costruire le infrastrutture statali a Gaza. L’Iran ha girato i suoi aiuti a organizzazioni criminali, soprattutto all’ Jihaad islamica e ai Comitati di Resisitenza Popolare, che hanno reso la vita difficile ad Hamas così come Hamas aveva fatto con l’OLP. Nel frattempo la crisi in Siria si è trasformata in un conflitto regionale in cui la coalizione sciita – Iran, Irak e Hezbollah – sostiene il regime di Assad, mentre la coalizione sunnita – Qatar, Arabia Saudita, Turchia, Giordania e Egitto – appoggia i cittadini sunniti. Il Qatar comanda questa coalizione, principalmente per ripararsi dall’Iran che minaccia gli Emirati del Golfo. L’Emiro del Qatar, l’uomo più potente del mondo arabo, che comanda gli arabi sunniti contro la coalizione sciita sotto la leadership dell’Iran, è andato in visita a Gaza il mese scorso. Questa visita ha segnato l’accettazione di Gaza, sotto la guida di Hamas, come membro a tutti gli effetti della coalizione sunnita e in cambio l’Emiro ha promesso un finanziamento di 450 milioni di dollari per lo sviluppo delle infrastrutture nella Striscia. Questa visita e il denaro sono stati un ulteriore chiodo piantato sulla bara dei rapporti tra Hamas e Iran, dato che i soldi rappresentano un impegno a lungo termine da parte del governo di Hamas a far parte della coalizione sunnita anti Iran, comandata dall’Emiro del Qatar.
Il tradimento di Hamas, ha dato origine alle ire dell’Iran che oggi guida le nuove forze che combattono Israele a Gaza, il Comitato di Resistenza Palestinese e la Jihad Islamica, la cui azione nuoce ad Hamas. Il 10 novembre, ad esempio, hanno sparato un missile anti-carro contro una jeep che pattugliava una strada in territorio israeliano, ferendo tre militari. Il piano criminale iraniano ha avuto successo oltre le aspettative: dopo alcuni giorni di intemperie ( è difficile per i droni senza pilota funzionare bene con vento e pioggia ) Israele ha cominciato una operazione su larga scala contro le infrastrutture di Hamas, esattamente come l’Iran aveva previsto. Il portavoce iraniano ha espresso – come era ovvio – la condanna della “barbarie” messa in atto da Israele, esprimendo appoggio ad Hamas, ma è chiaro che è un appoggio solo verbale, visto che Israele sta svolgendo il lavoro sporco iraniano, vendicando il tradimento di Hamas,unitosi al Qatar, dopo che l’Iran lo aveva sostenuto per anni .
La coalizione sunnita ha capito benissimo cosa stava accadendo e si è mossa immediatamente in aiuto dei fratelli a Gaza: sabato scorso, il 17 novembre, i leader di questa coalizione – l’Emiro del Qatar, Erdogan e il Presidente Morsi – si sono riuniti al Cairo per consultarsi su come liberare Hamas dal martello che Israele stava brandendo dall’alto, e dall’incudine iraniana, ossia l’organizzazione che si oppone ad Hamas a Gaza.
Tutti sanno che Hamas non ha né il desiderio né la possibilità di agire in maniera decisiva contro le organizzazioni che gli si oppongono a Gaza. Agire contro di loro, fornirebbe acqua al mulino della propaganda che descrive Hamas come la “Polizia dei confini di Israele”, gemello dell’ANP palestinese, che ha abbandonato la Jihad in cambio di lavoro e salari.
Non so se Israele abbia capito subito il progetto iraniano. La situazione aveva posto Israele di fronte a due possibilità: una era che Hamas potrebbe attualmente servire gli interessi di Israele nello spaccare parte dell’Autorità Palestinese e creare uno Stato palestinese a Gaza; in questo caso sarebbe stato meglio considerare l’attacco alla Jeep israeliana come l’azione di gruppi ribelli e non reagire contro Hamas. L’altro approccio era: Hamas ha il controllo di Gaza, bisogna ritenerla responsabile per quanto vi succede, e perciò se viene sparato un missile contro una jeep israeliana, Hamas è responsabile anche se non lo ha fatto direttamente.
Secondo questa visione, Gaza sta già funzionando come uno Stato e perciò deve essere ritenuta responsabile di ogni attacco da Gaza contro Israele. Se avessero voluto, avrebbero potuto stroncare le organizzazioni criminali e sequestrare le armi.
Ora, dato che Israele ha scelto una operazione su larga scala contro Hamas e le altre organizzazioni, deve essere chiaro che qualunque sia l’accordo raggiunto, l’Iran non sarà più in grado di armare i suoi alleati a Gaza; l’Egitto comincerà finalmente a intraprendere azioni serie contro il contrabbando di armi e missili dal suo territorio verso Gaza, e se Morsi deciderà di aprire il valico di Rafah, dovrà controllare attentamente ogni carico per essere sicuro che i missili non entrino più di nascosto. Può essere che in cui alcuni paesi circostanti l’Iran sia temuto non meno che da noi, per cui si potrà agire assieme ad alcuni paesi, vicini e non, contro di loro, perché “il nemico del mio nemico è mio amico”. Hamas a Gaza, se si comporta come un vicino pacifico, può far parte della coalizione anti-iraniana. Israele dovrebbe avere un dialogo anche con il governo egiziano, ovviamente non alla luce del sole, sul modo in cui tutti gi paesi della regione, Hamas incluso, possono cooperare contro la grande minaccia rappresentata dall’ Iran e dai suoi alleati – invece di cadere nella trappola che l’Iran sta preparando per i suoi oppositori e quelli che lo hanno abbandonato e tradito.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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