Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/11/2012, a pag. 2, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Scatta la tregua tra Hamas e Israele ", a pag. 3, l'intervista di Paolo Mastrolilli a Elliott Abrams dal titolo " Il negoziato è ormai inutile e Washington l’ha capito ".
Ecco i pezzi:
Aldo Baquis - " Scatta la tregua tra Hamas e Israele "
Attentato sul bus a Tel Aviv
Il secondo conflitto fra Israele e Hamas negli ultimi quattro anni si è concluso ieri, dopo otto giorni di combattimenti, con un accordo per un cessate il fuoco senza precondizioni raggiunto grazie agli interventi personali del presidente Obama e dal presidente dell’Egitto Mohammed Morsi, un dirigente dei Fratelli musulmani. Nell’ultima settimana, il legame fra i due si è molto rafforzato, e Hillary Clinton l’ha ringraziato Morsi per essersi assunto una «leadership responsabile». «Abbiamo raggiunto tutti i nostri obiettivi» ha affermato con convinzione da Gerusalemme il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, mentre il premier Benjamin Netanyahu ha parlato di «gesto giusto e responsabile» nel aprire alla tregua dopo una «risposta militare robusta» ai lanci di razzi da Gaza.
Dalla Striscia invece Hamas ha assicurato alla popolazione di aver conseguito «una vittoria eclatante, grazie al nostro braccio armato, le Brigate alQassam». A Gaza, con l’inizio della tregua, i miliziani di Hamas hanno festeggiato sparando in aria raffiche di arma automatica e fuochi di artificio (anche se il bilancio delle vittime palestinesi toccava in quel momento la cifra di 162 morti). E Khaled Meshal, leader politico di Hamas, afferma che «Israele ha fallito» e ringrazia l’Iran per «le armi e i soldi». L’intesa ha lasciato invece in disparte il presidente pragmatico dell’Anp Abu Mazen: di fatto è apparso irrilevante durante la crisi, proprio mentre vorrebbe chiedere all’Onu il riconoscimento della Palestina come Stato non-membro. Ieri, a Ramallah, il segretario di Stato Hillary Clinton gli ha vivamente consigliato di rinunciare a quella «inopportuna» iniziativa.
L’annuncio della tregua è giunto la scorsa notte dal Cairo, dopo un’intensa spola nella regione della Clinton e del segretario generale dell’Onu Ban Kimoon. Secondo il documento mediato dall’Egitto Israele dovrà cessare tutte le ostilità e le aggressioni a Gaza per mare, aria e terra, inclusi gli sconfinamenti e le esecuzioni mirate. Le fazioni armate palestinesi, Hamas in testa, dovranno cessare a loro volta i lanci di razzi su Israele e gli attacchi lungo le linee di demarcazione. I valichi di Gaza – per primo quello di Rafah con l’Egitto – saranno riaperti e gli spostamenti saranno facilitati.
L’annuncio della tregua è giunto al termine di una giornata di grande tensione, culminata in un attentato palestinese in un autobus di Tel Aviv, vicino al ministero della Difesa e al palazzo utilizzato in passato dai servizi. Un colpo doloroso, in pieno centro, che ha riaperto i traumi dell’intifada. Ma l’attentato era per fortuna di fattura rudimentale e, a parte lo spavento, ha provocato 28 feriti, di cui uno solo grave. Ieri i lanci di razzi da Gaza sono proseguiti anche dopo la tregua, scattata alle 21 dell’ora locale, e sono stati almeno una dozzina. Uno dei missili palestinesi ha ucciso, ancora prima del cessate il fuoco, un soldato israeliano a Eshkol, portando a sei il totale delle vittime israeliane (di cui due militari). Smentito invece dall’esercito israeliano il lancio di due missili dal Sud del Libano.
Paolo Mastrolilli - " Il negoziato è ormai inutile e Washington l’ha capito "
Elliott Abrams
Secondo Elliott Abrams - ex viceconsigliere per la Sicurezza nazionale che gestiva il portafoglio Medio Oriente per Bush, oggi analista al Council on Foreign Relations - «gli sconfitti di questa crisi a Gaza sono già delineati: Abu Mazen, lo stesso Hamas, e forse l’Iran. Ma l’elemento politico più rilevante è che il processo di pace sulla base della soluzione dei due Stati è praticamente finito. Si potrà tornare a negoziare, dopo le elezioni israeliane, ma solo per discutere alcuni dettagli che rendano più vivibile la situazione in Cisgiordania, e quindi più duratura la tregua».
Hamas ha festeggiato l’attentato di Tel Aviv e non riconosce il diritto di Israele a esistere. Come può tenere la tregua?
«In realtà esiste uno spazio per i pragmatici, che potrebbero quanto meno frenare le violenze. Hamas per colpire Israele ha bisogno di due cose: la complicità dell’Egitto e le armi dell’Iran. In questa crisi, però, i Fratelli Musulmani non hanno trattato Meshal come un fratello: Morsi e gli altri leader si sono concentrati sugli interessi nazionali del Cairo, che al momento non prevedono una guerra con Israele. Se l’Egitto decide che gli conviene la calma a Gaza, e blocca i rifornimenti iraniani, Hamas viene privato della capacità di colpire. A quel punto gli conviene la tregua».
Quali sono le condizioni che potrebbero renderla duratura?
«L’Egitto deve impedire il passaggio dei razzi e delle armi, e aprire i propri confini con Gaza per tutto il resto. Quando mancano le bende in un ospedale, tutti accusano Israele, ma questi problemi si potrebbero risolvere facilmente se il Cairo togliesse il suo blocco. A quel punto Israele potrebbe rinunciare alle sue operazioni militari».
Quale ruolo ha l’Iran?
«Al di là dei problemi che ci sono stati fra Hamas e Teheran a proposito della Siria, con l’uscita della leadership del gruppo da Damasco, non ho dubbi che l’Iran ha incoraggiato e facilitato la crisi di Gaza, in parte proprio per distrarre l’attenzione da Assad e complicare il quadro. Ora tutto dipende da come Obama interpreterà questi fatti: se riconoscerà le colpe dell’Iran e deciderà di adottare una linea più dura, Teheran sarà uno degli sconfitti della crisi».
Perché il presidente palestinese Abu Mazen è già il sicuro perdente?
«Hillary Clinton ha cercato di riportarlo al centro dell’azione incontrandolo, ma è chiaro che Ramallah ormai è la periferia del conflitto. Abu Mazen ha perso il controllo del popolo palestinese».
Perciò il negoziato di pace è finito?
«Abu Mazen non può garantire per tutti i palestinesi, e quindi è inutile accordarsi con lui».
La missione della Clinton significa che Obama vuole rilanciare il negoziato?
«Non credo, perché sa che è senza speranza. Dopo le elezioni israeliane si tornerà a trattare, ma solo per i dettagli che possono facilitare la vita in Cisgiordania, e aiutare la tregua. Abu Mazen vuole rilanciarsi col voto all’Onu sullo status dell’Anp, ma è inutile discutere della soluzione basata su due Stati, quando è chiaro che non esiste più perché gli stessi palestinesi sono divisi e non la vogliono».
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