La guerra del Guardian
di Annalisa Robinson
Annalisa Robinson
Eccola qui, la vignetta che ci mancava in questo momento. Dal giornale inglese politicamente corretto per eccellenza, The Guardian. Autore: Steve Bell. Vedere per credere: Benyamin Netanyahu su un podio decorato da una menorah e rami d'ulivo, che manovra due marionette con le fattezze di William Hague (Ministro degli Esteri britannico) e Tony Blair (reo di aver detto che entrambe le parti del conflitto hanno la responsabilità di porvi fine). Il volto di Netanyahu è caricaturale, crudele, distorto; le spalle muscolose, minacciose, da buttafuori. Intorno a lui, missili con la Stella di Davide formano un ventaglio minaccioso, come la coda di un pavone crudele; dietro di lui, le scie di missili già lanciati, sormontati dalla scritta “Vota Likud”. Un burattinaio crudele che promuove la guerra e la morte per fini elettorali. E' facile replicare con la solita distinzione fra ebraismo e lo Stato di Israele; ma la menorah e la stella di Davide sono anche simboli di profondo significato religioso e di grande valenza identitaria. Steve Bell avrebbe potuto disegnare la stessa vignetta omettendoli. Non avrebbero alterato il presunto messaggio. Ha scelto di usarli a tutto campo – facendo di Netanyahu prima di tutto un ebreo, e poi anche un politico israeliano.
E' una vignetta degna di Der Sturmer; è vile e meschina, e un quotidiano degno di rispetto non l'avrebbe pubblicata, o almeno l'avrebbe rimossa dal suo sito. Non è né satirica né particolarmente intelligente; trasmette una visione grottesca e faziosa di un tragico conflitto, e attinge al repertorio della più retriva e trita propaganda antisemita. Il Dr. Goebbels avrebbe certamente approvato, visto che ai suoi tempi circolavano manifesti con messaggi tipo “Dietro le potenze nemiche: l'Ebreo”, o “L'Ebreo: promotore di guerre”. Che cosa ci riserverà Bell nei prossimi giorni? Ebrei dal naso adunco in abbigliamento ultraortodosso, seduti a un tavolo, intenti a divorare bambini palestinesi?
E questo non è tutto. Prendiamo il Guardian di un giorno di guerra a caso, il 19 novembre, e guardiamo gli articoli dedicati all'attuale situazione israelo-palestinese. Vediamo cosa si dice e come lo si dice.
“Le incursioni aeree israeliane colpiscono duramente i bambini di Gaza”. Sottotitolo: “Il Primo Ministro di Hamas condanna l' “osceno massacro” che ha annientato 11 membri di una famiglia mentre l'attacco continua.” La foto che accompagna l'articolo mostra un uomo in lacrime, che bacia la mano inerte di un bambino.
“Durante l'ultimo conflitto a Gaza ho perso le mie figlie. E' ora di finire questo bagno di sangue.” Sottotitolo: “Ora occorre grandissimo coraggio per guarire ferite storiche e porre fine alle uccisioni, abbandonando qualsiasi giustificazione per la guerra”. L'autore, il medico palestinese Izzeldin Abuelaish, specialista di infertilità, ha perso tre figlie nel 2009, quando una bomba israeliana ha colpito la sua abitazione a Gaza. Ora è un attivista per la pace e insegna all'Università di Toronto. Il titolo fa pensare a un messaggio di riconciliazione, a un invito a entrambe le parti a interrompere la sofferenza che il conflitto porta. Invece l'articolo (come peraltro ci si aspetterebbe da un padre cosi' duramente colpito) si limita a ricordare le sofferenze palestinesi, rinfocolate periodicamente dagli israeliani a scopo elettorale; a prendersela con “i nemici ultimi, ignoranza, arroganza, paura e avidità”, e a dichiarare che “vero coraggio sarebbe dare attuazione ai trattati e ai piani di pace”. Difficile non sottoscrivere: ma perchè, nello stesso articolo, non lo dice chiaro e tondo anche ai suoi connazionali? Perchè non dice: smettetela di lasciare i negoziati, smettetela di sganciare missili, smettetela di usare gli aiuti finanziari per le armi?.... Perchè non dice che se questo avvenisse non morirebbero più bambini?...
“Noi della striscia di Gaza non moriremo in silenzio.” Sottotitolo: “Se il mondo non difende i palestinesi contro gli israeliani, noi abbiamo il diritto di difenderci.” L'autore è nientemeno che Musa Abumarzuq, vicecapo dell'ufficio politico di Hamas. La foto mostra il cratere creato da una bomba israeliana. L'articolo nega che i missili palestinesi siano la ragione delle attuali incursioni, attribuendo l'inizio delle ostilità a Israele, che in un'incursione militare (ovviamente immotivata) dell'8 novembre avrebbe ucciso un bambino palestinese. L' “agenda” israeliana ha fatto naufragare gli sforzi egiziani per negoziare una tregua; lo scopo di Netanyahu, naturalmente, è quello di vincere le elezioni “con il sangue dei palestinesi”, cosa normalissima per lo Stato ebraico. Abumarzuq deplora l'atteggiamento ipocrita, “immorale e miope” assunto da Europa e Stati Uniti, che ancora una volta difendono l' “aggressione israeliana”, cosi' come hanno ignorato il blocco di Gaza, che ha negato agli abitanti “cibo, acqua, medicine, arrivando perfino a determinare quante calorie si dovessero assumere giornalmente”. Menziona 700 vittime “negli ultimi giorni”, senza che il giornale aggiunga alcuna precisazione.. L'articolo si conclude con una minaccia: “Israele si è lanciato in un'avventura senza fare bene i conti. Ora deve sopportarne le conseguenze. I termini di una eventuale tregua saranno quelli di Hamas, non di Israele. E il primo punto sarà la rimozione del blocco che opprime la Striscia di Gaza.”
Altro articolo: “Gaza non è piu' sola.” Sottotitolo: “Nei paesi della primavera araba, la gente insorge rivendicando anche i diritti dei palestinesi.” L'autrice è Ahdaf Soueif, scrittrice egiziana, “opinionista politica e culturale”, autrice di “Cairo: My City, Our Revolution”, pubblicato anche in Gran Bretagna. L'articolo è accompagnato da una foto di donne velate che fanno con le dita il segno V di vittoria. Soueif fornisce il link per ascoltare il suono degli orribili attacchi israeliani (“esplosioni, droni, ambulanze”). Parla di una ragazzina graziosa con gli occhi verdi, una maglietta verde e nastri verdi nei capelli, ora ridotta a una “figura carbonizzata”, avvolta in un sudario blu d'ospedale. Parla dell'errore marchiano commesso da Israele uccidendo Ahmed al-Jaabari, “il comandante di Hamas che per gli ultimi cinque anni ha impedito che Israele venisse attaccato” [sic], aggiungendo che con la primavera araba Israele non potrà piu' vendere all'Occidente l'immagine di una democrazia circondata da un mare di fanatismo: “Ora Israele non è altro che una democrazia nella quale i politici possono ordinare l'assassinio di bambini per procurarsi vantaggi in termini elettorali”.
E' tutto? No! “Non pretendete che gli Stati Uniti non siano coinvolti nell'assalto israeliano a Gaza.” Sottotitolo: “Il continuo sostegno finanziario, militare e diplomatico dell'amministrazione Obama per Israele è una componente chiave del conflitto.” Autore, Glenn Greenwald, esperto di libertà civili e sicurezza nazionale USA; nella foto, un uomo che porta in un'ospedale di Gaza un bambino ferito.
E di quello che succede in Israele, non si dice nulla? Ma certo, il Guardian non ha pregiudizi. C'è un articolo, “Israele conta sul sistema missilistico di difesa Iron Dome”, in cui le batterie antimissile diventano “un'attrazione turistica” (praticamente, a Gaza si muore, in Isarele ci si da' al turismo). Si ammette che il sistema intercetta solo un terzo dei missili palestinesi, e si aggiunge che i tre israeliani uccisi in un'attacco missilistico a Kiryat Malachi, “finora le sole vittime israeliane in questa guerra – sono morte per il malfunzionamento del sistema Iron Dome”. Insomma, non sono morte per mano palestinese, bensi' per il malfunzionamento del sistema di difesa. Si presume che, se dei missili lanciati da un Paese straniero cadessero, che so, in Kent, o in Sussex, il Guardian inviterebbe le popolazioni locali a intonare canti di pace e proporre amichevoli girotondi.
Ma che cosa ci si puo' aspettare, quando la stessa BBC non manca di puntualizzare immancabilmente, nei titoli che scorrono in fascia rossa durante i suoi notiziari, che se la conta dei morti palestinesi è arrivata a 90, le vittime israeliane sono solo 3? Per forza lo spettatore pensa a un'indebita ferocia, piuttosto che all'uso di strategie di salvaguardia sviluppate nel corso di lunghi anni, a seguito di una continua pioggia di missili da provenienza palestinese.
Be', parafrasando uno slogan degli anni di piombo, il dottor Goebbels vive e lotta con noi.