Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/11/2012, a pag. 13, l'intervista di Ennio Caretto a Richard Perle dal titolo " Netanyahu la vera missione è proteggere il suo popolo dall'Iran ". Dalla STAMPA, a pag. 13, l'intervista di Francesca Paci a Ron Leshem dal titolo " Fra noi ebrei e gli arabi si va verso un conflitto di estremismi religiosi ". Da REPUBBLICA, a pag. 4, l'intervista di Alix Van Buren ad Aaron David Miller dal titolo " Questo è un conflitto senza vincitori. Come avvenne 4 anni fa ". Dall'UNITA', a pag. 9, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Ghazi Hamid dal titolo " Il Medio Oriente è cambiato. Se soffre Gaza, soffrirà Tel Aviv ".
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Ennio Caretto : " Netanyahu la vera missione è proteggere il suo popolo dall'Iran "
Ennio Caretto Richard Perle
Sulla matrice della crisi l'ex sottosegretario alla Difesa Richard Perle non ha dubbi: «Israele non poteva continuare a vivere sotto la minaccia dei missili di Hamas, doveva reagire». L'esponente repubblicano è anche fiducioso che «sebbene il peggio debba ancora venire, la crisi si spegnerà a poco a poco, perché nessuno ha interesse a un'escalation, non l'Iran che l'ha propiziata, né l'Egitto che pure è guidato dai Fratelli Musulmani». Perle, che sotto la presidenza di George W. Bush ebbe un ruolo di punta nella politica mediorientale americana, depreca il bagno di sangue e ne denuncia i pericoli per il Medio Oriente. Teme tuttavia una successiva e ancora più grave crisi: «Se l'Iran non rinuncerà all'atomica, Israele attaccherà: amici israeliani mi dicono che Netanyahu si considera investito da Dio nella missione di fermarlo per la salvezza del popolo ebraico».
Perché attribuisce ad Hamas la colpa dell'attuale conflitto?
«Perché Hamas l'ha iniziato con il lancio di missili, una pioggia continua. Uccidendo Ahmed al-Jabari, il capo della sua ala militare, Netanyahu ha indicato che stroncherà questa minaccia a qualsiasi prezzo e che punterà sui bersagli più importanti. Se Israele non avesse commesso lo sbaglio di ritirare le sue truppe da Gaza, Hamas non sarebbe stato in grado di attaccare. Ma le ha ritirate, e l'Iran e altri Paesi ne hanno approfittato per armare Hamas. Israele si è così trovata in una situazione insostenibile, deve fare pulizia a Gaza».
Perciò ritiene inevitabile l'escalation della crisi?
«Esatto. L'intelligence israeliana sa dove si trovano le rampe e i depositi dei missili e chi li comanda, e li eliminerà. Con l'appoggio dell'America, che pure lamenta la perdita di vite umane e chiede a israeliani e palestinesi di cessare le ostilità e di negoziare».
Ma il nuovo Egitto e persino la Turchia, che sta cercando di influire sul Medio Oriente, non sono dalla parte di Hamas?
«Penso che il governo egiziano faccia la voce grossa soprattutto a fini interni, per la sua base islamica, e che l'influenza della Turchia sul Medio Oriente sia modesta. L'Egitto di Morsi non si atteggerà a mediatore in pubblico, a differenza dell'Egitto di Mubarak, ma forse si adopererà per un accordo dietro le quinte. Quanto alla Turchia perché dovrebbe crearsi altri problemi? Ha già il suo daffare in Siria, una spina nel fianco dei Paesi arabi, che non hanno un buon ricordo dello Impero Ottomano».
E l'America?
«Non sta premendo molto su Israele, ma penso che Obama stia promuovendo negoziati che coinvolgano l'Autorità palestinese. Credo che a breve Netanyahu sarebbe disposto ad aprirli e l'Egitto ad accettarli. Certo, non ci si arriverà facilmente, l'emarginazione di Hamas è contraria alla politica dei Paesi islamici. Ma potrebbe essere questione di tempo, il Medio Oriente ha bisogno di stabilità dopo le scosse della primavera araba».
Non crede che il conflitto possa estendersi al Libano?
«Hezbollah è gestita dall'Iran. Teheran sa che se fa una mossa sbagliata Israele avrebbe una giustificazione per un attacco immediato. Mira a tenere Israele impegnata a Gaza il più a lungo possibile, dividendo l'Autorità palestinese e Hamas. Non mira a una guerra regionale che finirebbe per ritorcersi a suo danno».
Pensa che Israele una volta raggiunti i suoi obiettivi a Gaza tornerà a concentrarsi sull'Iran?
«Netanyahu intende porre fine prima o poi ai progetti nucleari iraniani. Ho visitato Israele di recente e gente a lui vicina mi ha detto che è convinto che Dio lo abbia scelto per liberare il Paese dall'incubo dell'atomica di Teheran. In un certo senso è come Bush Jr. che era persuaso di essere stato incaricato da Dio di liberare il mondo da Saddam Hussein. Con una differenza: che Saddam non era mai stato prossimo a procurarsi la bomba. Temo che il conto alla rovescia possa incominciare presto».
La STAMPA - Francesca Paci : " Fra noi ebrei e gli arabi si va verso un conflitto di estremismi religiosi "
Francesca Paci, Ron Leshem
Ron Leshem ha 36 anni, lavora in tv, scrive romanzi, riceve premi letterari e i suoi libri sono tradotti anche in cinese. Ma soprattutto è una voce della generazione under 40, la maggioranza degli israeliani, quelli nati all’indomani della guerra del Kippur ed entrati nell’esercito sotto il segno degli accordi di Oslo, i teoricamente predestinati alla pace.
Tre missili su Tel Aviv, 40 morti palestinesi e 3 israeliani, il muro contro muro che blocca la tregua: siete pronti all’invasione di Gaza?
«Gli israeliani sono preoccupati ma considerano legittimo un attacco di terra perché tante famiglie residenti al Sud, come la mia, dormono da settimane nei rifugi a causa dei razzi lanciati da Gaza. Per ora la risposta militare raccoglie consensi».
E dopo? Che cosa succederà dopo?
«Ciò che mi rende veramente pessimista sul domani del Medioriente è la religione. Oggi la sfida dei fanatici ultraortodossi viene dall’islam, ma ce ne saranno sempre di più tra gli ebrei. Io sono un pacifista, laico, ho amici in Egitto e a Gaza, eppure mi accorgo che gli israeliani come me, i liberal under 40, hanno perso la speranza e stanno lasciando il Paese. Tra vent’anni la maggioranza dei ragazzi israeliani sarà religiosa e farà da contraltare ai nostri vicini musulmani che, attraverso un processo democratico, stanno passando da dittature laiche a religiose».
I sogni delle primavere arabe si stanno mutando nell’incubo d’Israele?
«Ero fiero dei giovani di Tahrir determinati a rovesciare il regime, ma quella rivoluzione ha agevolato i Fratelli Musulmani, che non saranno mai liberal. Così ho capito che i frutti della primavera egiziana, come delle altre, non dipenderanno dal milione di ragazzi che chiedeva democrazia a Tahrir ma dagli 80 milioni, rurali o analfabeti, che chiedevano migliori condizioni economiche. Sebbene le dittature arabe non potessero durare ora è un caos: con i fanatici basta distrarsi una volta perché sia l’ultima e intorno a noi ce ne sono già».
Nel romanzo «Tredici soldati» racconta i giovani israeliani, meno votati dei genitori alla trincea. Come vedono il futuro i suoi coetanei?
«Tristemente la maggioranza dei giovani israeliani è di destra, Netanyahu vincerà. Da un lato i ragazzi sono più estremisti e qui la sinistra è morta, dall’altro i miei coetanei non capiscono il problema di essere occupanti e quanto lo pagheremo, anche perché al ritiro da Gaza del 2005 sono seguiti l’avanzata di Hamas e la minaccia dei razzi da Gaza. Chi capisce se ne va o si astrae nella bolla di Tel Aviv, sesso, spiaggia, disperata voglia di vivere ignorando le notizie. Finché le notizie, come i razzi, non ti piombano addosso».
Nel libro «Underground bazar» descrive un ragazzo di Teheran che potrebbe vivere a Tel Aviv. Il protagonista, così simile a lei, poteva essere un arabo?
«È folle, ma siamo più simili agli iraniani che agli arabi. Per quel che ne so le piazze di Teheran non ci odiano davvero, quelle del Cairo sì. Con le persone è diverso, ho due amici di Gaza laici che dopo l’avvento di Hamas sono fuggiti a Los Angeles e Abu Dhabi».
Come si sente dalla parte che molti in occidente considerano dei cattivi? Pare quasi possano capirvi di più gli arabi.
«È triste. In alcuni casi Israele si difende eppure l’opinione pubblica europea preferisce la narrativa semplicistica e naïf del forte contro il debole. Io sono di sinistra, non voglio essere un occupante, ho amici arabi, ma sono stanco di quanto l’Europa non provi a capire che abbiamo vicini disposti a uccidere i gay e lapidare le adultere nel nome di Dio. Gli arabi almeno sono cresciuti con media bugiardi e non democratici e conoscono solo metà della storia. Non so spiegarmi perché l’Europa che ha gli strumenti preferisce superficialmente i cliché».
La REPUBBLICA - Alix Van Buren : " Questo è un conflitto senza vincitori. Come avvenne 4 anni fa "
Aaron David Miller
«MI chiedo quali risultati Israele intenda ottenere attraverso un’eventuale incursione nella Striscia di Gaza. Già quattro anni fa l’invasione durò tre settimane, e cosa ne è scaturito? Una tregua temporanea, in più a un costo considerevole». Aaron David Miller, consigliere di sei Segretari di Stato, ha seguito per vent’anni i negoziati di pace. Ora è disincantato: «La verità è che questo è un problema senza soluzione. Sia Israele sia Hamas sono su posizioni
irriconciliabili».
Allora perché Israele è intervenuto?
«Lo ha fatto per rispondere alla pressione delle comunità del Sud del Paese, esposte ai razzi- Ma anche spinto dal nervosismo e dall’incertezza per i mutamenti nel mondo arabo, dall’impossibilità di fermare il programma nucleare iraniano. C’è anche il sentimento d’avere perso parte del proprio potere deterrente nella regione. Perciò Israele non poteva non rispondere
alla pioggia di 800 razzi».
Lei si aspettava la risposta di Hamas? i missili contro Tel Aviv e Gerusalemme?
«Questa è la vera sorpresa. Bisogna chiedersi se si tratta di un fallimento dell’Intelligence israeliana. Oppure se è uno dei motivi che hanno convinto Israele ad agire. Per ora, i missili di Hamas sono imprecisi, non hanno provocato vittime in alcuna delle due città».
L’Amministrazione Obama è in ritardo
riguardo al processo di pace?
«Qui non si tratta affatto di pace. I fattori in gioco sono tutt’altri e gli obiettivi più limitati. L’Egitto e il Qatar premano su Hamas, e l’America su Israele, perché frenino entrambi e si eviti l’incursione terrestre. Spargerebbe altro sangue e risolverebbe niente, come s’è visto già quattro anni fa».
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Il Medio Oriente è cambiato. Se soffre Gaza, soffrirà Tel Aviv "
Ghazi Hamad
L'intervista offre frin dalle prime righe la visione distorta di Hamas. Sarebbe Israele ad attaccare per primo. Hamas sarebbe parte della 'resistenza palestinese'. Israele farebbe 'terrorismo di Stato'.
Secondo Hamas, il terrorista Jabari era stato coinvolto dall'Egitto nella trattativa per raggiungere una tregua con Israele. Non è ben chiaro a quale trattativa di riferisca. In ogni caso, Udg commenta con queste parole : " Ed è forse per questo che andava eliminato ". Jabari era un terrorista di Hamas, un bersaglio militare. Non c'entra nulla la sua presunta partecipazione a trattative.
Secondo Hamad, la popolazione di Gaza vive sotto assedio, ma non viene specificato il motivo. Se la Striscia non fosse controllata da un'entità terrorista che vuole la cancellazione di Israele e che lancia razzi, forse la popolazione potrebbe condurre una vita normale.
Hamas, come chiarito nel corso dell'intervista, non è interessata a nessun dialogo. Secondo Hamas "non è possibile nessuna forma di dialogo con chi vuole annientarti". Perciò che cosa dovrebbe fare Israele ?
Ecco l'intervista:
«L'equazione cambia, perché il Medio Oriente è cambiato. Sono finiti per sempre i tempi in cui Israele poteva colpire impunemente Gaza. Se non c'è più pace a Gaza non ci sarà nemmeno a Tel Aviv». A sostenerlo è una delle figure di primissimo piano di Hamas: Ghazi Hamad, 48 anni, vice ministro degli Esteri nel governo di Ismail Haniyeh, più volte incarcerato da Israele. Assieme ad Haniyeh e Mahmud al Zahar, Hamad è nella lista delle «eliminazioni mirate» di Tsahal. «Quello messo in atto dagli israeliani - dice Hamad all'Unità - è terrorismo di Stato. Possono eliminare molti di noi, ma altri sono già pronti a prendere il nostro posto. Hamas è parte vitale della resistenza palestinese; una resistenza popolare, ed è per questo che i sionisti non l'avranno mai vinta. Perché non possono cancellare un popolo intero». Hamad, considerato il capofila dell'ala pragmatica di Hamas, rivela un particolare che inquadra in una luce nuova l'eliminazione da parte israeliana di Ahmed Jabaari, il comandante delle Brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas: «Jabbari - dice - era stato coinvolto dall'Egitto nella trattativa per giungere ad una tregua con gli israeliani». Ed è forse per questo che andava eliminato. «Netanyahu - aggiunge - vuole vincere le elezioni col sangue dei palestinesi». Per Israele le operazioni militari a Gaza sono un atto d difesa per I ripetuti lanci di razzi contro le sue città. »Quella d'Israele è un'aggressione, è terrorismo di Stato. Oggi i riflettori internazionali si riaccendono su Gaza, ma nessuno ha denunciato che Gaza, la sua gente, un milione e mezzo di persone in maggioranza sotto i 18 anni, vive assediata da anni. Questa si chiama occupazione contro la quale rivendichiamo il diritto di resistenza. I governanti israeliani si sono macchiati di crimini contro l'umanità ma nessuno ne ha chiesto il processo davanti alla Corte di Giustizia dell'Aja. Chi è stato complice di una aggressione permanente non può dare lezione di democrazia e di moderazione». Ma corte potete ritenere ci poter battere uno del più agguerriti eserciti al mondo? Il vostro non è un azzardo II cui prezzo viene pagato dalla popolazione palestinese? «Cosa ci si aspetta da noi? Che alziamo bandiera bianca in segno di resa? Questo non accadrà mai, mai. In questa guerra c'è un carnefice e una vittima, solo che la vittima non si consegna al carnefice. Chi si illude è Israele: Hamas non è un corpo estraneo alla società palestinese, ma ne è parte fondamentale. Si possono assassinare dirigenti e militanti, ma non si può annientare un popolo. Chi è fuori dalla storia oggi non siamo noi ma è Israele». Fuori dalla storia? «Il Medio Oriente è cambiato, ma Israele si comporta come se nulla fosse accaduto. A Gaza c'è stata la visita del primo ministro egiziano, del ministro degli Esteri tunisino, qualche settimana fa dell'emiro del Qatar. Abbiamo avuto il sostegno di tutti i Paesi arabi e musulmani, tra cui la Turchia. Le chiedo: chi è oggi isolato?». "È II momento dell'unità con Harnas»: ad affermarloè II presidente deW Autorità nazionale palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen). Qual è la risposta di Ha-mas? «L'unità non è un regalo ad Hamas, ma è ciò che si aspetta il popolo palestinese di fronte all'aggressione israeliana. Nessun negoziato è possibile con chi vuole annientarti. L'unità si costruisce nella resistenza». La parola "dialogo" è bandita dai vocabolario ci Hamas? «No, se dialogo non è sinonimo di resa. In passato ci siamo dichiarati disponibili a una "hudna" (tregua, ndr) prolungata, a condizione che Israele ponesse fine all'assedio di Gaza e liberasse i prigionieri palestinesi detenuti nelle sue carceri. La risposta è sotto gli occhi di tutti». Gli Usa sono tornati a chiedere ad Hamas ci riconoscere lo Stato tiisrasle. «Possiamo negoziare una tregua, ma non riconoscere uno Stato che nega ai palestinesi il diritto di esistere come Nazione, che porta avanti la pulizia etnica ad Al Quds (Gerusalemme, ndr), che espropria le nostre terre, affama la nostra gente, colonizza la Cisgiordania e si prepara di nuovo ad invadere Gaza. All'origine di tutto c'è l'occupazione della Palestina. Obama ponga fine a tutto questo, e poi ne riparleremo. Finora, al di là delle belle parole, Obama non ha fatto nulla per impedire a Israele di portare avanti la sua politica colonizzatrice. Al presidente Usa il popolo palestinese chiedeva un segnale di discontinuità con le precedenti amministrazioni. Quel segnale non c'è stato». Lei ha avuto rincarico dal primo ministro Hanlyeh dl formare una leva dl "ambasciatori" di Hamas. Guai è II segno di questa Iniziativa? «A muoverci è la consapevolezza che le "primavere arabe" hanno modificato profondamente il corso degli eventi nel mondo arabo. Abbiamo stabilito relazioni con diversi Paesi e dobbiamo ora formare diplomatici in grado di avviare e seguire progetti con quei Paesi Hamas intende essere parte di questo cambiamento lanciando un'offensiva diplomatica che riporti la causa palestinese al centro dell'attenzione internazionale. Sappiamo, vogliamo fare politica. La resistenza armata è uno strumento non il fine di Hamas».
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