Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/11/2012, 15, l'intervista di Francesco Battistini ad Amos Oz dal titolo " Siamo sotto attacco dal 2006 Netanyahu ha dovuto reagire ". Dalla STAMPA, a pag. 10, l'intervista di Maurizio Molinari a Jonathan Schanzer, dal titolo " I raid elimineranno i Qassam: non serve l’attacco di terra ", a pag. 11, l'intervista di Francesca Paci a Nabil Fahmy, diplomatico egiziano dal titolo "Morsi non è Mubarak, deve rispondere al popolo". Da REPUBBLICA, a pag. 14, l'intervista di Francesca Caferri a Susan Abulhawa dal titolo " La convivenza è ormai un mito lontano ". Dall'UNITA', a pag. 4, l'intervista di Umberto De Giovannangeli ad Avi Pazner dal titolo " Israele ha il dovere di difendere il suo popolo ".
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Siamo sotto attacco dal 2006 Netanyahu ha dovuto reagire "
Francesco Battistini, Amos Oz
L'opinione di Amos Oz coincide con quella di A. B. Yehoshua (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=46829). Ne tengano conto i pacifinti italiani sempre schierati contro Israele. Amos Oz e A.B. Yehoshua, critici con tutti i governi israeliani, condividono le scelte di Netanyahu.
L'unico che continua a non capirci nulla è David Grossman.
Ecco l'intervista:
GERUSALEMME — Amos Oz, stanno osando l'inaudito: razzi su Gerusalemme… È il gps di Hamas che funziona male o c'è una strategia?
«Mi piacerebbe che fosse il gps… Ma temo che sia una cosa intenzionale. Sono in macchina, sto ascoltando la radio militare e dicono che l'obbiettivo era quello di colpire la Knesset».
Ma se poi colpiscono la moschea Al Aqsa? In ogni caso, il venerdì, alla Knesset non c'è nessuno…
«Non possono sapere tutto».
Possiamo già chiamarla la Seconda guerra di Gaza?
«Consiglierei prudenza. È lo scorrere dei giorni a dare la forma a una guerra».
Con la calma di chi ha visto di peggio, chiuso in un carro armato nei Sei giorni del 1967 e sulle alture del Golan. Con la leggera sapienza di chi sa che da queste parti «la vita fa rima con la morte», titolo d'un suo libro. Con l'autorevolezza tranquilla di chi ha fondato Peace Now israeliano, e per lo Stato palestinese si batteva già quarant'anni fa. All'ora dei missili e delle bombe, con tutte queste cose caricate in auto, il più grande scrittore israeliano se ne va verso Sud. Destinazione Arad, casa sua, deserto del Negev: «Ero a Tel Aviv giovedì pomeriggio, quand'è caduto il primo razzo. Me ne vado, ma non per paura. Perché è il weekend…».
Curioso, però: fra tanto sparare, il mondo s'impressiona se un Fajr solca il cielo di Tel Aviv…
«Finora a Gaza sono morte più di venti di persone, per la maggior parte erano tutti miliziani di Hamas. Gli aerei israeliani stanno facendo di tutto per colpire il meno possibile obbiettivi civili. Hamas, no: il suo scopo è fare morti fra la gente comune, perché sa che l'effetto è maggiore. Ecco perché un missile su Tel Aviv non è solo un missile su Tel Aviv».
Il coinvolgimento delle grandi città può cambiare le strategie?
«Un morto a Tel Aviv non è più importante d'un morto a Sderot. La differenza sta nella densità dei centri colpiti, nel numero di vittime. Per questo sparano al bersaglio grosso».
La chiamano dall'estero per sapere che succede?
«Sì. E io spiego che Israele si trova sotto l'attacco continuo di questi razzi almeno dal 2006. Quale Paese sopporterebbe dodicimila missili in sei anni? Bisognava reagire, non c'era alternativa se non con un attacco aereo che è sproporzionato solo per chi non ha provato a stare qui in questi anni. Però adesso sono contrario all'ingresso via terra coi carri armati: a Gaza è facile entrare, ma non è facile uscirne».
Anche nel 2008, Piombo Fuso doveva essere un'operazione risolutiva…
«E infatti allora si fece l'attacco via terra, un errore. Penso che Netanyahu farà di tutto per evitare di ripeterlo: quattro anni fa, le ferite furono molto profonde, anche psicologiche».
Il caso Shalit, la mediazione egiziana dimostrano però che, al di là della retorica, con Hamas si può parlare…
«Si può parlare con Hamas, ma dipende da come e su che cosa. Hamas non ci vuole vivi, continua a ripetere che non dobbiamo stare qui. Non c'è dialogo con chi mette in discussione la tua presenza».
L'Egitto dei Fratelli musulmani ci crede.
«L'Egitto s'è posto come intermediario. Ma è difficile lo possa fare un governo che dà tutte le ragioni a Hamas e tutti i torti a Israele. È meglio se si leva: serve un altro mediatore, più neutrale. Nemmeno la Turchia può avere questo ruolo».
Quanto dura questa Colonna di fumo?
«La risposta è solo nella testa di Hamas. L'operazione militare terminerà quando finiranno i missili. Non ci sono molti retroscena, non c'entrano niente il voto alla Casa Bianca o quello israeliano in gennaio, di cui sento parlare: sono bombe legate a un'emergenza da risolvere».
C'è un dato politico, però. In quattro anni, Netanyahu è riuscito a rompere con Obama, con la Turchia, con l'Egitto, ha congelato il dialogo coi palestinesi… È il leader adatto?
«Lei sa quanto io sia un oppositore di Netanyahu. A gennaio voterò contro di lui. Sul piano politico, non ha mai tentato un accordo coi palestinesi. E sul piano sociale, s'è rivelato un primo ministro al servizio dei ricchi. Ma questo non m'impedisce di dargli ragione sul problema di Gaza».
Ma è lecito sigillare in quel modo un milione e mezzo di persone e pretendere che non reagiscano?
«Gl'israeliani stanno rifornendo la Striscia di cibo e di benzina anche in questi giorni, il valico egiziano di Rafah è aperto: non accetto che si dica che quella è una prigione a cielo aperto per colpa d'Israele. Vedo molta ipocrisia su questo tema: da quando a un povero, per quanto povero, è riconosciuto il diritto d'uccidere gente innocente?».
L'Obama II sarà una sorpresa per il Medio Oriente?
«Non ci sono soluzioni a sorpresa, qui. Quello che Obama può fare, è aiutare Abu Mazen e Netanyahu a negoziare fra di loro. Con pazienza. E lasciando perdere Hamas».
La STAMPA - Maurizio Molinari : " I raid elimineranno i Qassam: non serve l’attacco di terra "
Maurizio Molinari, Jonathan Schanzer
L’ Egitto ha tentato di risolvere la crisi ma non c’è riuscito ed a rafforzarsi è stato l'Iran»: così Jonathan Schanzer, l’ex analista di Intelligence sul Medio Oriente del ministero del Tesoro oggi direttore politico della Fondazione per la difesa della democrazia a Washington, legge quanto sta avvenendo a Gaza.
Perché Morsi ha inviato il proprio premier nella Striscia?
«Lo ha fatto cedendo alle forti pressioni americane. Il presidente Obama vuole che sia l’Egitto a risolvere la crisi di Gaza e Morsi ha compiuto un gesto per riuscirci».
Ma la missione sembra fallita, ora quali scenari si aprono?
«Obama ha chiamato il leader turco Ergodan sperando che abbia maggior successo con Hamas ma più a lungo dura la crisi più a rafforzarsi è l'Iran».
Qual è il motivo?
«I razzi lanciati da Hamas contro Tel Aviv e Gerusalemme sono di produzione iraniana. Dimostrano che Teheran sta rifornendo Hamas con armi simili a quelle che ha fatto arrivare, in maggior numero, agli Hezbollah in Libano. Se Morsi non riesce a porre termine agli attacchi, la crisi spingerà sempre più Hamas nelle braccia degli iraniani».
Ciò significa che vi sarà un'invasione israeliana?
«Non credo. L’intenzione di Israele è stata sin dall’inizio di distruggere tutti i depositi di razzi iraniani consegnati a Hamas. Hanno pressoché terminato l’opera. Fra 48 ore tutti i loro obiettivi saranno raggiunti. Ciò significa che se Hamas cesserà di lanciare razzi tutto rientrerà in fretta».
Gli accordi di pace di Camp David fra Egitto e Israele ne escono indeboliti?
«Sin dall’elezione di Morsi alla presidenza l'Egitto discute sulla revisione degli accordi di pace con Israele. C’è una evidente volontà di arrivarci da parte dei Fratelli Musulmani ma gli israeliani hanno fatto capire con chiarezza che non è disposta ad addentrarsi su questo terreno. E gli Stati Uniti sono decisamente contrari. Morsi non può far a meno degli ingenti aiuti economici americani e internazionali. Dunque ritengo che, a dispetto di una retorica molto aggressiva nei confronti di Israele, non arriverà a denunciare gli accordi di pace del 1979».
Le relazioni fra Obama e Morsi ne escono indebolite?
«In questo momento gli Stati Uniti vogliono soprattutto che Hamas cessi il lancio dei razzi e dunque questo è ciò che chiedono a Morsi ma quando tutto sarà finito vorranno appurare se l’Egitto era o meno a conoscenza dell’inizio dell’offensiva dei razzi. Se ciò fosse vero le relazioni bilaterali sarebbero messe a dura prova e il Congresso di Washington potrebbe decidere di intervenire sugli aiuti economici annuali che sostengono tutt’ora l’economia egiziana».
La STAMPA - Francesca Paci : " Morsi non è Mubarak, deve rispondere al popolo "
Francesca Paci, Nabil Fahmy
Nel corso dell'intervista, Nabil Fahmy dipinge Mohamed Morsi per ciò che non è, un leader democratico.
Mohamed Morsi non potrà fare da mediatore fra Hamas e Gaza per un motivo molto semplice, Hamas non è altro che una costola dei Fratelli Musulmani.
Non c'entra per nulla il presunto rendere conto alla popolazione.
Ecco l'intervista:
Go Morsi, go. Nabil Fahmy, ex ambasciatore egiziano a Washington e ospite fisso del ministero degli Esteri quando al Cairo si parla di America, Israele e questione palestinese, è moderatamente ottimista: i primi passi diplomatici del presidente Morsi, dice, promettono.
Israele ipotizza l’invio di 75 mila riservisti, Gaza teme l’invasione, Hamas esclude la tregua. Tutti gli occhi sono sull’Egitto: riuscirà il presidente Morsi a disinnescare la miccia?
«Questa crisi è caratterizzata da due aspetti nuovi in contraddizione tra loro. Il primo è che il Medio Oriente è cambiato e l’opinione pubblica araba si fida oggi dei propri leader assai più di quanto facesse in passato. Il secondo è che negli ultimi dieci anni Israele ha reagito con forza crescente all’emergere nella regione di attori non Stato, tipo Hamas, e non è abituato a una risposta governativa come quella dell’Egitto post Mubarak. Morsi non cerca il confronto militare con Israele ma, essendo stato eletto dopo una rivoluzione che chiedeva democrazia, doveva rispondere alle attese agli egiziani».
E se tra le attese degli egiziani ci fosse la cancellazione di Camp David?
«È ovvio che lentamente i rapporti tra Egitto e Israele cambino, penso che diventeranno più trasparenti e più complicati ma non metteranno in discussione la pace. Prendiamo per esempio la presenza militare egiziana in Sinai: è chiaro che vada rivista perché la situazione della sicurezza nella zona è diversa da 30 anni fa. Ma su questo, anche se la tensione con Gaza non aiuta, i due Paesi stanno già collaborando. La sfida che affronta Morsi è delicatissima: deve rispondere ai suoi elettori ma essere saggio e diplomatico. Credo che riuscirà a muoversi sui due binari, sempre che non aumenti la violenza».
Cosa intende?
«Finora quando Israele aveva un problema con l’Egitto sapeva di essere il solo a dover rispondere alla propria gente perché Mubarak non se ne curava. Adesso l’equilibrio si è ristabilito. Per questo Morsi ha alzato la voce al punto da richiamare l’ambasciatore egiziano in Israele. Non c’è più un solo giocatore ma è una partita a tennis in cui la palla attraversa in due sensi la rete: l’Egitto ha ritenuto inaccettabile l’aggressione israeliana a Gaza e ha replicato a tono».
Israele ha spiegato di essersi difeso dopo mesi di lanci di razzi da Gaza.
«Quanti israeliani sono stati uccisi negli ultimi mesi da quei razzi? Zero. Quanti palestinesi sono morti invece negli ultimi tre giorni? Le reazioni devono essere proporzionate, la forza può anche essere usata occasionalmente ma non si può contare solo sulla forza. La verità è che Israele ha colpito approfittando del momento in cui tutto il mondo, a partire dagli Usa, era distratto da altro».
Gli interessi del nuovo Egitto coincidono con quelli di Hamas?
«I rapporti tra Hamas e l’Egitto post rivoluzionariosonomiglioridiprima, ma le due agende non coincidono del tutto. L’Egittostaconipalestinesisesonoattaccati ma non ha in agenda la promozione del conflitto con Israele. Credo comunque che, seppureinapparenzairritanteperIsraele,il nuovo attivismo egiziano non sarà positivo solo per gli arabi perché nel lungo termine anche Israele si avvantaggerà di una potenza che diversamente da Usa ed Europa difende i palestinesi ma proprio per questo può poi chiedere compromessi coraggiosi».
La REPUBBLICA - Francesca Caferri : " La convivenza è ormai un mito lontano"
Francesca Caferri Susan Abulhawa
Il libro scritto da Susan Abulhawa è pieno di storie inventate, ma Caferri lo cita come se fossero realmente accadute, come se si trattasse di un saggio. In realtà è solo bassa propaganda politica.
Ecco l'intervista:
«GERUSALEMME non è ferita da ieri. Gerusalemme è ferita da 60 anni. E non è solo un missile a ferirla: sono i tank che distruggono le case, i fucili con cui la gente è minacciata, le pallottole che uccidono i suoi abitanti».
C’è dolore e amarezza nella voce di Susan Abulhawa, la scrittrice americano-palestinese che con il suo “Ogni mattina a Jenin” ha raccontato l’epopea di 4 generazioni di palestinesi in 60 anni: un libro tradotto in tutto il mondo (in Italia da Feltrinelli) che ha commosso milioni di lettori.
Signora Abulhawa, Gerusalemme è una città sacra: i missili di Hamas non le fanno impressione?
«Certo, provo dolore. Ma la Gerusalemme colpita non è più la città che è stata per secoli, quella in cui le religioni convivevano, ognuna pregando il proprio Dio. È una città razzista e divisa, da cui migliaia di persone sono state cacciate
per far spazio a nuovi abitanti in nome di una presunta superiorità religiosa. La Gerusalemme di oggi è il luogo dove la figlia di una dinastia che per 900 anni è vissuta lì, come sono io, non può tornare: ma dove il mio vicino di casa negli Stati Uniti, che è ebreo, può
andare a vivere».
Questo non vuol dire che sia legittimo colpirla.
«Certo che non lo è. Io amo Gerusalemme. Quello che dico è che è diventata un luogo dove persone che si sentono superiori cacciano coloro che non
ritengono degni».
A Gerusalemme vivono anche palestinesi e cristiani: ogni luogo sacro avrebbe potuto essere colpito, ogni persona di qualunque religione...
«Lo so bene e ne sono addolorata. Vorrei solo che accanto allo sdegno per Gerusalemme ci fosse quello per la gente di Gaza, che non ha un luogo per scappare o rifugiarsi di fronte ai missili israeliani».
Ma Hamas ha delle responsabilità precise nell’escalation di questa crisi...
«Questa crisi è iniziata quando gli israeliani hanno ucciso un bambino palestinese che giocava a calcio. È dopo questa azione che Hamas ha iniziato il lancio dei missili. Gli israeliani danno tutta la colpa ad Hamas, ma sappiamo bene che è una scusa: ci attaccherebbero anche se non ci fosse Hamas. Io posso non condividere quello che fa Hamas: ma i palestinesi hanno il diritto di scegliere chi deve governarli. Anche Israele ha i suoi criminali di guerra».
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Israele ha il dovere di difendere il suo popolo "
Avi Pazner
Incredibile la giravolta dell'Unità, che oggi pubblica un pezzo non ostile ad Israele con l'intervista di Udg ad Avi Pazner:
Quale governo degno di questo nome, quale paese al mondo non reagirebbe se avesse un milione di persone sotto attacco missili-stico...Mentre parliamo un missile ha colpito di nuovo Asqelon e le sirene d'allarme sono risuonate a Tel Aviv e Gerusalemme...Hamas deve capire che ha tutto da perdere se continua con queste azioni terroristiche: ci vorranno giorni, ma alla fine impareranno la lezione". A parlare è Avi Pazner, portavoce del governo israeliano, per anni ambasciatore dello Stato ebraico a Roma. «Le operazioni condotte fino ad ora - sottolinea Pazner- hanno permesso di neutralizzare il 95% dei missili Fajir 5 a lunga percorrenza. L'obiettivo è di distruggere tutto l'arsenale missilistico in dotazione ai gruppi terroristi palestinesi". A Gaza è ancora guerre, mentre la comunità Internazionale chiede a Israele moderazione._ «Ma in queste settimane siamo stati più che moderati di fronte ai razzi sparati a centinaia dalla Striscia di Gaza contro Sderot, Beer Sheva, Ashqelon...A chi ci chiede moderazione vorrei dire di vivere anche solo un giorno con l'incubo che un razzo possa colpire l'asilo del proprio bambino, o la propria abitazione...lsraele è stato costretto a reagire perché nessuno Stato al mondo rimarrebbe inerme quando un milione dei propri cittadini è sotto minaccia missilistica». Ma a Gaza a morire sono anche bambini, donne, «Di ciò siamo addolorati, mi creda. Ma la responsabilità di queste morti ricade su Hamas e sugli altri gruppi terroristi che nascondono il loro armamentari in edifici pubblici, che usano i civili come scudi umani. Non è Israele che "assedia" Gaza, ma sono i gruppi terroristi palestinesi a tenere in ostaggio la popolazione civile, trasformando abitazioni in depositi d'armi. Non facendosi scrupolo di usare i civili come scudi umani. Hamas e la Jihad islamica hanno trasformato Gaza in una rampa di lancio di missili che bersagliano le città di frontiera ed ora anche Tel Aviv e Gerusalemme. Non è Israele che ha dichiarato guerra ad Hamas. Israele sta esercitando il diritto-dovere all'autodifesa. Nessuno, mi creda, ritiene che la questione palestinese possa risolversi militarmente, ma oggi il problema è un altro...». E qual è questo problema? «È contrastare un nemico che ha come obiettivo dichiarato la distruzione dell'"entità sionista" non facendo distinzione alcuna tra militari e civili. Ogni israeliano è un obiettivo da colpire. Da eliminare. Mi lasci aggiungere che aver avuto un consenso elettorale non dà ad Hamas alcuna copertura o legittimazione per condurre le sue azioni terroristiche». La guerra dl Gaza è Iniziata con l'ennesima «eliminazione mirata»: quella del comandante delle Brigate Ezzedin al-Qassam, Ahrned Jabaari. Già In passato Israele aveva eliminato dirigenti di primo plano di Hamas, ma altri li hanno sostituiti «Hamas è una organizzazione gerarchica che risponde ad una precisa catena di comando. Spezzarla è di grande importanza nella lotta al terrorismo. Aggiunga che Jabaari aveva la responsabilità di una serie di attentati che sono costati la vita a centinaia di israeliani. Ma l'obiettivo principale di questa operazione è neutralizzare l'arsenale di missili Fajir di lunga gittata: ne abbiamo neutralizzato il 95%, ma ne hanno ancora per portare la minaccia ad un milione di israeliani. Hamas deve capire la lezione, e la capirà». Anche attraverso un attacco da terra? «È un'opzione in campo, molto concreta". Ambasciatore Pazner, c'è chi sostiene che dietro l'operazione militare vi sia una ragione elettorale: Israele va al voto a gennaio_ «Non esiste. Nessun governo rischierebbe per calcoli elettorali una operazione di questo genere, che si sa come inizia, ma non si può dire come finirà. Vede, Israele può dividersi su tante cose, e lo fa perché è una vera democrazia, ma quando è in gioco la sicurezza nazionale non c'è destra o centro o sinistra che tenga: Israele ritrova la sua unità, quell'unità che ci ha permesso di esistere nonostante le tante guerre e attacchi che hanno segnato i nostri primi 64 anni di vita come Stato. E sarà così anche questa volta».
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