Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 17/11/2012, a pag. 1-13, il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo " Su Gerusalemme piovono i razzi. Su Israele l’odio ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Gaza è la via più breve per al Aqsa ". Dall'OPINIONE, l'editoriale di Dimitri Buffa dal titolo "Noi stiamo con Israele ". Da LIBERO, a pag. 13, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Obama molla Netanyahu nella tenaglia di Iran e Siria ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 1-60, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo " Strategia colpevole ", a pag. 14, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Gli ordigni «made in Iran» contrabbandati via Sudan ", a pag. 15, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Il nuovo Egitto si schiera: cambia lo scacchiere mediorientale ".
Un'immagine vale mille parole
I cittidini israeliani sono il bersaglio di Hamas
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Su Gerusalemme piovono i razzi. Su Israele l’odio "
Fiamma Nirenstein
La mia amica Ruthie che vive al centro di Gerusalemme credeva che fosse la sirena che annuncia l’ingresso di Shabbat, quando la gente si sorride, augura Shabbat Shalom, popolo di Israele, un sabato di pace. Invece era la sirena che annuncia l’arrivo di un missile, chissà in che punto, chissà che cosa, chi colpirà, corri, hai quindici secondi per trovare un tetto di cemento. Ruthie ha capito dopo un po’ che quella sirena era troppo lunga, troppo ululante, e che lei era troppo lontana da un rifugio, così si è accucciata sotto le scale come consiglia la radio. L’ultima volta che Gerusalemme è stata colpita, nel 1990, i palestinesi sui tetti, nonostante i loro fratelli vivano in una parte di Gerusalemme, invitavano Saddam Hussein a colpire. Adesso si odono spari e botti di gioia da Gerusalemme est perché gli ebrei vengono colpiti. È dalla fondazione dello Stato che a causa di un odio tetragono, religioso, e anche di una irresponsabile incomprensione da parte occidentale delle ragioni di Israele, che esso combatte assalitori pieni d’odio da ogni parte.Difficile spiegarsi perché il mondo non capisca. Non si dica che la situazione è complessa; essa è invece semplicissima, e solo la malafede può impedire di elencare cronologicamente la successione degli eventi: centinaia di missili da Gaza, due milioni di persone sotto il fuoco, una reazione di difesa che qualunque Paese avrebbe doverosamente avuto. Adesso una parte sola ha in mano le chiavi della pace, ed è Hamas: se cessasse il lancio, Israele non continuerebbe neppure per un minuto a bombardare i covi dei terroristi, i depositi di missili e le gallerie, molti posti in zone abitate. Ma neppure durante la visita di ieri del primo ministro egiziano Isham Kandil, mentre Haniyeh usciva tranquillo in strada, Hamas ha smesso di lanciare missili a valanga, e questo mentre Israele si asteneva da attacchi durante l’incontro.Israele non ha in programma, come Hamas, di distruggere il nemico, né tantomeno di provocare l’Egitto, mentre Hamas ne ha tutto l’interesse. Fu lo Stato ebraico a sgomberare Gaza; ha a cuore la vita e la salute di ciascuno dei suoi cittadini, non vuole vedere soldati feriti o morti, né bambini colpiti fra i suoi o fra quelli di Gaza. Hamas invece vuole distruggere Israele e indottrina i suoi perché divengano shahid, martiri della guerra santa, non tenendone in conto la vita e il benessere, mescolando i combattenti con i civili così da creare incidenti per cui Israele venga biasimata.
Ci vuole una laurea a capire queste semplici verità? Shabbat shalom Israele. La giornata di ieri è stata piena di simboli, il mondo islamico gode che lo speaker della radio, che interrompe continuamente i programmi per dire tzeva adom colore rosso, allarme, correte ai rifugi, elenchi con finta flemma i nomi di Gerusalemme e di Tel Aviv fra gli altri sotto il fuoco. A Gerusalemme la santa,così,la sirena si confonde con l’entrata del giorno santo: che altro può fare? E a Tel Aviv di venerdì, nel week end, vogliamo scherzare? Il missile vola da Gaza, ma tu siedi in un caffè e comincia il riposo; gli amici si affollano intorno ai tavolini carichi di bevande sotto il sole. Dov’è il rifugio, dove potrà proteggersi dall’attacco il cuore gaudente di Israele? La sirena suona, i bambini le fanno il verso mentre le madri li riacchiappano e cercano di trascinarli in un rifugio, Sderot, Ashdod, Ashkelon, Bersheeba, le città regolarmente colpite, province poco interessanti, sono ora unite a Gerusalemme e a Tel Aviv nella costrizione a guardare il cielo infuocato.
Il FOGLIO - Giulio Meotti : "Gaza è la via più breve per al Aqsa "
Giulio Meotti
Roma. Il nome di Marwan Issa apparve per la prima volta nel 2005, quando in una sorta di fuga dalla clandestinità, l’allora capo militare di Hamas, l’imprendibile Mohammed Deif e i suoi sei luogotenenti, pubblicarono sul sito di Hamas i propri nomi e imprese. Era la prima volta dal 1988 che Hamas rivelava i propri vertici operativi. Di questa cupola faceva parte anche Ahmed Jaabari, “il generale” ucciso tre giorni fa da Israele in un raid nella Striscia di Gaza. Issa è il suo successore a capo degli squadroni della morte palestinesi. Issa guida il gruppo “Fajr al Intisar”, l’alba della vittoria.
Debka, sito vicino all’intelligence israeliana, rivela che a settembre Issa guidò la delegazione di Hamas in visita a Teheran, dove avrebbe firmato un patto militare con gli ayatollah.
La nomina di Issa segna la vittoria degli “scissionisti”, l’ala “iraniana” di Hamas, uscita rafforzata nella faida che vede contrapposti chi, più legato all’ideologia dei Fratelli musulmani, spinge per la trasformazione di Gaza in una “comunità religiosa modello” da cui avviare, “gradualmente”, la lotta per la liberazione anche della Cisgiordania, e i militari che invece vogliono assumere il controllo politico di Gaza per intensificare la guerra a Israele tramite piani “ad alta mortalità”. Issa vede la Striscia di Gaza come “la via più breve per la moschea di al Aqsa” a Gerusalemme. Issa è già sopravvissuto a uno strike dell’aviazione israeliana nel 2006, in cui rimase ferito al bacino. Il nuovo capo militare di Hamas è una delle “sagome” pubblicate dall’esercito israeliano con i nomi dei most wanted, assieme a Zahar e al defunto Jaabari. Issa è stato anche uno dei fautori dell’alleanza con Abu Musab al Zarqawi, il capo terroristico di al Qaida in Iraq, le cui cellule sarebbero state fatte entrare nella Striscia di Gaza a partire dal 2006.
A maggio Issa è stato eletto nella shura di Hamas, scelta che gli analisti israeliani hanno definito “pasdaranizzazione”. E’ l’inizio della svolta iraniana. Teheran usa il Sudan – di recente colpito da un micidiale raid israeliano – per inviare le armi ai terroristi palestinesi. Sono i razzi che possono raggiungere Tel Aviv. Issa ha voluto che nel consiglio di Hamas entrassero, in absentia, anche i quattro maggiori stragisti che languono nelle carceri israeliane: Ibrahim Ahmed, capo delle brigate al Qassam in Cisgiordania condannato per 96 omicidi; Abbas al Sayyed, mente della strage al Park Hotel di Netanya (30 morti israeliani nella Pasqua del 2002); Hassan Salameh, architetto degli attentati suicidi degli anni Novanta con 38 ergastoli da scontare, e Jamal Abu al Haija, ex comandante di Jenin. Sono i leader in carcere che hanno dettato a Gaza le condizioni del rilascio di Gilad Shalit, operazione guidata dal defunto Jaabari e da Issa, appunto. Un percorso simile a quello delle Guardie della Rivoluzione in Iran, che da centurioni del regime si sono impadronite anche del processo decisionale. A testimonianza della “svolta iraniana” è anche il fatto che Issa era uno degli aiutanti di Nizar Rayan, il capo dell’ala radicale di Hamas che ha voluto che da “martire” morissero anche due mogli e quattro figli. In nome del modello iraniano, Rayan era sia un chierico sia un militare, noto come “il Professore”, l’esperto dei detti del Profeta docente di Diritto all’Università di Gaza. Secondo questa generazione di militari al potere, Hamas è impegnata in una “guerra fra l’islam e gli eretici”. Dopo il golpe contro Fatah a Gaza, Issa ha trasformato gli uffici dell’Anp in luoghi di preghiera e orchestrato i “processi del popolo” contro “gli ammutinati e i traditori”.
L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Noi stiamo con Israele "
Dimitri Buffa
Mai come in questo momento con i razzi di hamas che assediano da settimane i confini israeliani con Gaza è cosa buona e giusta riaffermare che tutti noi, che ancora distinguiamo il bene dal male, nonchè un esercito regolare da una banda di terroristi islamici assassini e oscurantisti e altri dettagli del genere, non possiamo che stare con Israele. Senza sè e senza ma. Erano svariati mesi (e poco i giornali si erano occupati della cosa ) che questa pressione su Eretz Israel cresceva, e mai una reazione se non qualche azione mirata. Troppa la paura di mettersi contro la solita opinione pubblica internazionale “mainstream” e ipocrita che poi se ne esce fuori con qualche politico alla D’Alema che ti parla di “reazione sproporzionata”. Poi però qualcosa è cambiato e, guarda caso, in concomitanza con la rielezione di Obama alla Casa Bianca, è come se tutti i terroristi islamici della Striscia si fossero scatenati e avessero voluto festeggiare così, con fuochi d’artificio certo non a salve. Obama da parte sua chiede a Morsi, un fratello mussulmano, cioè stessa ideologia di hamas, di mettere le cose a posto. A meno che non si tratti di una nuova cura omeopatica e geopolitica verrebbe voglia di ridere. Certo l’Egitto ha problemi con il traffico di armi e droga nel Sinai e hamas con i propri tunnel sovverte l’ordine anche nei dintorni del Cairo. Ma pensare che Mohammed Morsi possa fare qualcosa per togliere le castagne dal fuoco a Gerusalemme è fantascienza da B movie. Così adesso prepariamoci alla solita sceneggiata di “Pallywood”, Palestina Hollywood, già iniziata l’altro ieri con la messa in rete, su facebook, della foto di un ospedale da campo siriano pieno di bambini feriti, spacciato per ospedale di Gaza.
E prepariamoci a leggere sui giornali sia di destra sia di sinistra della famigerata “lobby ebraica” negli Stati Uniti che bloccherebbe le risoluzioni Onu di condanna sempre contro Israele, secondo la logica con cui “ è normale che il tuo vicino di casa ti spari dentro le finestre ma è assurdo che tu reagisca”. Peraltro Israele, sebbene ovviamente il governo di Netanyahu tenda meno al politically correct di quelli dei suoi predecessori, Sharon incluso, reagisce solo quando non ne può fare a meno. Ma visto che in Europa c’è persino gente disposta a piangere il sequestratore di Shalit come un eroe di non si capisce quale resistenza, e visto che nessuno si indigna per un’intera popolazione in ostaggio di queste bande criminali che decidono i tempi e le modalità (sul c... degli altri) della propria propaganda armata contro Israele, occorre dire parole chiare sul sacrosanto diritto di qualsiasi paese, Israele in primis, di difendersi da una simile minaccia armata. Ora vediamo che ci sono missili iraniani, di cui i guerriglieri di hamas sembrano essere ben forniti, che possono colpire persino Tel Aviv, la capitale industriale dello stato ebraico. Adesso che sta capitando tutto questo si spera che l’America di Obama trovi la forza, il coraggio e l’onestà intellettuale di riaprire il dossier Iran, perchè quello è il vero problema . E se Hamas si sta allargando così è perchè esiste evidentemente un piano preciso per creare una serie di reazioni a catena, contando anche sul caos che ci sta in Siria.
In tutto questo bisognerà vedere che posizione prenderà il presidente egiziano: real politik e acqua sul fuoco oppure appoggio sotterraneo alla guerriglia? Di sicuro Israele si sta armando anche con le truppe di terra per difendere i propri confini. E francamente è quanto meno azzardato chiedere allo stato ebraico di fare un passo indietro quando la sicurezza interna si trova sull’orlo di un precipizio. I prossimi giorni saranno cruciali per capire se si tratta dell’ennesimo effetto collaterale del fallimento delle primavere arabe o se l’Iran sta soffiando sul fuoco. Di certo i veri democratici e i veri liberali di tutto il mondo non possono che stare dalla parte di Israele. La simpatia verso il terrorismo islamico lasciamola ai no global di destra e di sinistra, quelli che negli scorsi giorni hanno già fatto vedere di che tempra sono fatti quando si sono recati a insultare gli ebrei davanti alla Sinagoga di Roma.
LIBERO - Carlo Panella : " Obama molla Netanyahu nella tenaglia di Iran e Siria"
Carlo Panella Bibi Netanyahu con Barack Obama
Ha dell'incredibile il modo con cui i media italiani e mondiali, tranne rare eccezioni, tacciono da mesi e anni della folle e gratuita aggressione dei palestinesi di Gaza contro Israele. Chi legge i giornali o guarda la televisione viene innanzitutto colpito dalle notizie della reazione israeliana, vede i funerali delle vittime palestinesi dei raid di risposta di Israele - ripetiamo: di risposta - e gli monta così nell'animo, se non l'odio, il disprezzo per la «tracotanza israeliana». Solo per inciso, alla fine degli articoli o dei servizi televisivi, viene detto dai media che tutto ciò avviene solo e unicamente perché da Gaza nel corso del solo 2012 sono stati lanciati sulle città israeliane di Sderot e Ashekelon e sui kibbutz della loro area ben 470 razzi. Sono città - si badi bene - che nulla hanno a che fare con la questione palestinese e che vengono colpite con la conseguenza di decine di morti e di centinaia di feriti dai missili lanciati dalla Jihad islamica o da Hamas, per puro, demenziale odio bellicista. A questo stillicidio di morte risponde dunque ora Israele, che il 14 novembre ha ucciso con un razzo a Gaza Ahmed al Jaabari, il comandante militare di Hamas, colui che materialmente aveva ordinato di incrementare al parossismo l'aggressione contro Israele al ritmo di ben 140 razzi in 48 ore. Hamas ha risposto con ulteriori lanci di razzi (che hanno fatto tre morti) e con un missile Fajr 5 - non a caso di fabbricazione iraniana - che ha colpito un quartiere di TelAviv e oggi si è ad un pezzo da una guerra vera e propria Un escalation - di Hamas, non di Israele che si limita a rispondere a una rinnovata aggressione palestinese - che non a caso è contemporanea a una serie di colpi di mortaio tirati dalle truppe regolari siriane contro Israele sulle alture del Golan, a nord dello stato ebraico. Tre settimane fa, Israele ha poi subito un'altra aggressione con un drone armato inviato sul suo territorio da Hezbollah libanese (subito abbattuto dalla sua contraerea). Una contemporaneità che indica la ragione vera di questa crisi: il regime siriano ha disperata necessità di creare un clima incandescente contro Israele per tentare di compattare le proprie Forze Armate - fiaccate dalle diserzioni e duramente colpite dai ribelli - impegnate da mesi nei massacri contro la rivoluzione in atto. Più ancora, l'Iran degli ayatollah ha interesse a rendere incandescenti i confini di Israele per rendere credibile la minaccia di ritorsioni apocalittiche nel caso Gerusalemme decida di bloccare il suo cammino verso la bomba atomica bombardando con uno strike i suoi siti atomici e le sue basi di missili intercontinentali (ormai in grado di arrivare col loro carico atomico su TelAviv). Hamas ha rapporti stretti, strettissimi con la Siria e soprattutto con l'Iran, come strettissimi sono i rapporti con Teheran di Hezbollah e del regime siriano. Dunque, la regia è unitaria e unitari i progetti di Hamas, Hezbollah, Siria e Iran. Stiamo dunque assistendo - nel totale, cinico disinteresse della comunità internazionale - a una prova generale di una risposta a Israele nel caso decida di risolvere una volta per tutte il deciso cammino dell'Iran verso la dotazione di una bomba atomica. Questo è il contesto della nuova crisi di Gaza, aggravato dalla abituale incapacità di iniziativa da parte di Barack Obama che dà sempre più segno di non avere una strategia nel caso si arrivi - come si arriverà da qui a pochi mesi - alle certezza che le sanzioni Onu non hanno fermato il cammino iraniano verso l'atomica. Così come non ha la minima idea per risolvere il contenzioso israelo-palestinese dopo che il suo storico piano di pace del 2010 è miseramente fallito (come lui stesso ha ammesso). Israele, dunque, si trova esposto, non solo all'insopportabile stillicidio di missili da Gaza, ma anche alla imminenza di una mortale minaccia nucleare dall'Iran. Il tutto, con una totale inaffidabilità nella tradizionale protezione Usa a causa di un Obama prigioniero del suo vacuo verbalismo. Un Obama che dichiara che gli Usa difenderanno la sicurezza di Israele, ma che poi non fa nulla per garantirla. Il tutto, mentre Israele è impegnato in una tesa campagna elettorale anticipata al 22 gennaio, proprio per dotarsi di una leadership forte e compatta nel caso di strike contro l'Iran. E il clima elettorale non è certo il più favorevole a decisioni calibrate ed equilibrate di risposta alle aggressioni esterne, soprattutto da parte di un premier come Netanyahu che non ha mai condotto il paese in guerra.
CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista : " Strategia colpevole "
Pierluigi Battista 'Sono i nuovi missili antibalistici?'. 'No, sono quelli antisemiti'
Le bombe sono tutte sporche, come la guerra. E ogni civile che perde la vita per un missile o un raid aereo è un prezzo troppo elevato e su cui sarebbe indecente stilare una contabilità competitiva tra le parti in causa. Una bomba su Gaza non è meno grave di un missile su Tel Aviv, ma le ragioni e i torti esistono, non sono cancellabili, hanno una storia. E antefatti. Perché da Gaza hanno cominciato a colpire il Sud di Israele? Non c'è bisogno di risalire troppo indietro nella storia, al '67, e prima ancora al '48 con la costituzione dello Stato di Israele, e ancora prima alla presenza ebraica sotto il mandato britannico, giù giù fino ai tempi remoti dei testi sacri. Stiamo alla cronaca, e agli ultimi anni. Da anni non c'è più a Gaza un solo soldato israeliano, e nemmeno un abitante degli insediamenti ebraici smantellati per impulso del vituperato Sharon. Fu uno psicodramma: gli ebrei che si ribellavano ai soldati israeliani, le lacrime, le urla, addirittura il fantasma di una nuova persecuzione attuata dai fratelli in divisa. Ma se ne andarono. E da quel momento cessò l'occupazione israeliana, svanì ogni presenza israeliana, fu allontanata qualunque presenza umana israeliana. A Gaza, anche senza la costituzione formale di uno Stato palestinese, c'è una leadership palestinese, un'autonomia amministrativa palestinese. Ci sono state elezioni e ha vinto Hamas, che non voleva e non vuole solo uno Stato palestinese, ma vuole la cancellazione dello Stato di Israele, l'annichilimento dell'«entità sionista». Da Gaza partono i missili che vogliono colpire la popolazione civile israeliana al di là del confine, in una striscia di terra quantitativamente minuscola, se confrontata all'ampiezza di altri Stati del Medio Oriente. A Gaza i bambini vengono indottrinati dall'odio anti-ebraico, imparano la «santità» del terrorismo suicida. Non c'è distinzione, nell'universo mentale di Hamas, tra un soldato e un civile israeliano: sono considerati ugualmente usurpatori per il solo fatto di essere lì, e devono sparire tutti, senza differenza, per ripulire la terra santa da ogni contaminazione ebraica. Ecco l'humus politico, culturale e religioso che c'è in chi lancia incessantemente missili per colpire civili israeliani, e prima in chi si faceva saltare su un autobus a Gerusalemme per uccidere quanti più bambini ebrei, donne ebree, vecchi ebrei. Non è una rappresentazione manichea della realtà di Gaza e di Israele. È la radice di una guerra che rischia di incendiare tutto il Medio Oriente, di nuovo. I governi israeliani, e l'ultimo di Netanyahu, non sono esenti da colpe, soprattutto nella chiusura nei confronti di ogni trattativa con la parte moderata dei palestinesi di Abu Mazen, anche senza farsi illusioni sulla volontà di pace di un interlocutore ondivago e spesso inaffidabile. Ma attorno a Israele ruggisce il nuovo Egitto dei Fratelli Musulmani che lascia libero il passaggio per Gaza. La stessa Hamas viene scavalcata dagli estremisti che la considerano troppo moderata e arrendevole. C'è la minaccia atomica iraniana, uno dei dossier più controversi e, letteralmente, esplosivi del secondo mandato di Obama. C'è il Libano in fiamme con Hezbollah. E dalla Siria la guerra tra il dittatore Assad e la rivolta guidata da Al Qaeda non determinerà, comunque dovesse finire, l'allentamento della morsa. Questo non significa assolvere lo Stato di Israele da qualunque colpa, né giustificare preventivamente ogni sua offensiva militare su Gaza. Significa però comprendere che quella dello Stato di Israele è la difesa a una sfida finalizzata a mettere in discussione la sua stessa sopravvivenza. E anche comprendere che nell'opinione pubblica internazionale, i ripetuti, martellanti attacchi dei missili di Hamas sulle città a pochi passi dal confine, e ora su Tel Aviv e persino su Gerusalemme, non possono essere ignorati. E non è accettabile che sia divulgata una rappresentazione degli eventi drammatici di questi giorni come il frutto della solita smania militarista di Israele. Continua la minaccia «esistenziale» allo Stato di Israele. Ed è esplicita la volontà di Hamas di far sentire i cittadini israeliani costantemente sotto attacco. Il mondo spera che la guerra finisca, o che almeno l'escalation non raggiunga punte drammatiche e cruente. Ma non può permettersi di sottovalutare o trascurare la sequenza degli eventi, l'«asimmetria» di una guerra voluta e provocata da Hamas fino a che l'«entità sionista» non venga annientata. La tragedia di Gaza non è senza responsabili.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Gli ordigni «made in Iran» contrabbandati via Sudan "
Guido Olimpio
WASHINGTON — I gruppi guerriglieri mediorientali, quando non usano gli attentatori suicidi, hanno solo un modo per esercitare una pressione su Israele: il lancio di missili. Hamas, come l'Hezbollah, si è preparata da anni a questo tipo di guerra. E in modo meticoloso, per avere sempre un ordigno da sparare oltre il muro di Gaza. Cada dove cada, tanto l'effetto destabilizzante è assicurato. Se a Tel Aviv aprono i rifugi e a Gerusalemme suonano le sirene è la prova che quell'arma poco precisa ha raggiunto il suo scopo. Un dato è significativo: durante il conflitto 2008-2009 hanno lanciato 600 «pezzi» in 22 giorni, in questa nuova crisi 550 in appena tre giorni.
I palestinesi si sono dotati all'inizio della seconda intifada di quelli che Yasser Arafat definiva i «petardi», ossia i Kassam, tubi costruiti in officine locali. Dopo oltre dieci anni i gruppi di fuoco hanno migliorato mettendo in campo mortai, razzi (20-40 km di raggio) e infine le ultime frecce: il Fajr 5, con circa 90 chilogrammi, e l'M75, entrambi in grado di raggiungere Tel Aviv (ad una settantina di chilometri) o i sobborghi della città santa.
Gli 007 israeliani hanno segnalato a partire dal 2009 che Teheran aveva fornito i Fajr 5 seguendo la «rotta del deserto». Via nave verso scali africani, quindi in Sudan, poi attraverso il Sinai. L'ultimo tratto, breve, all'interno dei tunnel scavati sotto il confine Gaza-Rafah. Un traffico che ha coinvolto pasdaran e contrabbandieri, uniti da interessi diversi. Per l'intelligence è probabile che gli iraniani siano stati costretti a smontarli per poterli trasferire lungo le anguste gallerie, però non sarebbe una sorpresa se i «minatori» palestinesi avessero trovato il modo di aggirare l'ostacolo.
Nel tentativo di fermare l'arrivo dei Fajr, Israele le ha provate tutte. Compresi tre raid aerei, a distanza di tempo, in Sudan. L'ultimo alla fine di ottobre, durante il quale sono stati distrutti dei container nella fabbrica militare di Yarmouk. Secondo alcune indiscrezioni era una spedizione di missili destinati proprio ad Hamas. Altri sono stati invece seguiti dal momento che sono partiti dall'Iran fino a Gaza. La ricognizione aerea, con l'aiuto di spie sul terreno, ha «mappato» depositi e postazioni segrete. Non appena sono esplose le ostilità i caccia hanno neutralizzato i bersagli mettendo fuori uso gran parte dei Fajr. In mano ai palestinesi, però, ne restano ancora. E li usano con parsimonia per continuare ad avere un'arma «lunga» che possa tenere in scacco l'area di Tel Aviv. La tattica è già stata impiegata in passato. Mortai, i vecchi Kassam e la katyuscia sono usate nella zona a ridosso di Gaza. Più mobili, facili da nascondere, sono «sistemi» impossibili da neutralizzare completamente. Per questo Israele potrebbe tentare azioni terrestri limitate per spingerli più indietro riducendone così il raggio. Una risposta comunque sempre temporanea se non accompagnata da una soluzione politica.
CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Il nuovo Egitto si schiera: cambia lo scacchiere mediorientale "
Antonio Ferrari Ismail Haniyeh con Mohamed Morsi
La guerra di Gaza ha un terzo protagonista politico, influente, e soprattutto esterno: il nuovo Egitto. Nuovo perché il presidente Mohammed Morsi si è affrettato a spiegare che il suo Paese «non è più quello di ieri» e che anche «gli arabi di oggi non sono più quelli di ieri». Un messaggio sibillino che ne ha accompagnato uno esplicito: «L'Egitto non lascerà sola Gaza», che è vittima «di un'eclatante aggressione contro l'umanità».
Linguaggio inusuale per il capo del più importante Paese arabo, che per decenni aveva accuratamente evitato ogni eccesso pur di proteggere il trattato di pace di Camp David. Ma allora Hosni Mubarak, ergendosi a bastione della stabilità, faceva quel che voleva e non doveva rispondere a nessuno. Adesso il presidente Morsi, eletto democraticamente, deve rispondere a chi gli ha dato il voto, e rendere conto di ogni passo compiuto.
C'è però una seria complicazione, Mohammed Morsi non è un capo di Stato neutrale. Avrà di sicuro carisma e volontà da statista, come sostengono i suoi collaboratori, ma appartiene alla Fratellanza musulmana. E se da una parte può essere più spregiudicato del suo predecessore Mubarak, dall'altra deve tener conto che la base dei suoi elettori è sicuramente più vicina ad Hamas che ai gruppi palestinesi laici, come il Fatah. Infatti, Hamas è sicura espressione della Fratellanza, e oggi si trova nell'ambigua posizione d'essere blandito sia dagli sciiti sia dai sunniti. I legami dei padroni della Striscia con l'Iran sono noti e hanno una lunga storia. Ma ora, oltre alle interessate carezze (e promesse) egiziane vi sono i soldi, tanti, 400 milioni di dollari, portati a Gaza dall'emiro del piccolo e multimiliardario Qatar, alleato di ferro dei sauditi. Un solido sostegno sunnita quindi, cui potrebbe accostarsi anche la Turchia di Erdogan.
Ecco perché questa guerra di Gaza è molto più insidiosa delle precedenti. Per i popoli coinvolti (israeliani e palestinesi) e per gli influenti attori esterni. Fa impressione che il presidente egiziano Morsi abbia deciso di richiamare immediatamente il suo ambasciatore a Tel Aviv, e di inviare subito il primo ministro per offrire concreta solidarietà agli abitanti della Striscia e ai loro leader. Pensare al Cairo come mediatore, a questo punto, è davvero arduo, anche se il premier israeliano Netanyahu finge di crederci e l'Amministrazione Obama fa capire di volerlo credere.
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