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Il Foglio Rassegna Stampa
16.11.2012 Ribelli siriani contro Assad. Ma chi sono ?
analisi di Carlo Panella

Testata: Il Foglio
Data: 16 novembre 2012
Pagina: 3
Autore: Carlo Panella
Titolo: «Quanto è bizzarra l’opposizione siriana creata in laboratorio»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 16/11/2012, a pag. 3, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "Quanto è bizzarra l’opposizione siriana creata in laboratorio".


Carlo Panella

Roma. E’ piuttosto bizzarro che la dirigenza nazionale di una rivoluzione contro un regime sia formata “sotto pressione” di paesi terzi, come è accaduto a Doha, durante la “creazione” dell’opposizione siriana da parte della Lega araba, degli americani e dei francesi. Non era mai successo che le forze che per venti mesi hanno guidato sul terreno la rivolta contro un regime abbiano poi dovuto subire dall’esterno una specie di manuale Cencelli per formare la dirigenza che aspira a guidare il paese dopo la caduta della dittatura. Invece dopo l’operazione di Doha, il Consiglio nazionale siriano cesserà di essere considerato la voce dell’opposizione al regime di Bashar el Assad, ma il suo ruolo passerà alla Coalizione nazionale delle forze d’opposizione e della rivoluzione (Cnor), alla cui presidenza è stato nominato Moaz al Khatib, già imam della moschea degli Omayyadi.
Con la formazione della Cnor è stato ridimensionato il ruolo del Cns, che così rimane al riparo dalle giuste accuse di essere egemonizzato da una Fratellanza musulmana più forte nell’esilio che in patria. Il riconoscimento di formale rappresentanza presso la comunità internazionale della Cnor non è partito da subito, tranne che da parte dei francesi che, dopo un’iniziale cautela, hanno deciso di concedere il riconoscimento completo, con lo stesso tempismo attivo che caratterizzò l’operato di Parigi in Libia. Americani e inglesi si riservano di vedere che cosa accade sul campo, e verificare così l’efficacia dell’opposizione creata in laboratorio.
Questo comporterà tempi ancora allungati prima che arrivino gli indispensabili aiuti finanziari e di armi. Questa situazione anomala getta ombre di insicurezza consistenti sul futuro della Siria, una volta caduto il regime Baath, perché prefigura una forte ingerenza da parte di Turchia, Arabia Saudita e Qatar (i registi del “processo di Doha”). La rivoluzione siriana ha una peculiarità: è stata capace di dispiegare per 20 mesi un’enorme forza, di subire un immenso prezzo umano, ma è stata incapace di formare una leadership unitaria: il movimento per tutti i primi mesi ha avuto come motore i contadini e le città agricole (Daraa in testa), e si è esteso essenzialmente alle periferie, arrivando solo ultimamente a coinvolgere settori “borghesi” e il centro delle città. Ha contato poi molto la forza di un apparato repressivo unico nel medio oriente che ha sgretolato un movimento clandestino che non ha goduto (come invece è avvenuto in Iraq con la gerarchia sciita di Najaf) della protezione di una forte istituzione religiosa.
Ma pesa soprattutto sull’opposizione siriana lo stato di abbandono a cui è stata ridotta a causa delle illusioni che l’occidente s’è fatto sulla natura riformista del regime di Assad, democratici americani in testa. Nulla di simile alla conferenza di Doha fu necessario a George W. Bush prima della guerra in Iraq del 2003, perché sin dal 1998 l’Amministrazione di Bill Clinton aveva ottenuto dal Congresso l’approvazione bipartisan di un Iraq Liberation Act (8 milioni di dollari l’anno) che mise in raccordo con gli Stati Uniti tutte le forze reali dell’opposizione irachena. Se oggi sono al governo a Baghdad tutte le forze alla base di quell’iniziativa, lo si deve proprio a quel processo lungimirante e di impostazione bipartisan.
Ma l’Amministrazione Bush – che pure considerava la Siria un “rogue state” – non ha mai potuto proporre al Congresso un Syrian Liberation Act nei confronti della Siria perché i democratici sostenevano che il “riformismo” del regime di Assad faceva della Siria la chiave di volta del dialogo risolutore della crisi israelo-palestinese e del contenzioso atomico con l’Iran. Quella “dottrina” errata è causa non ultima dei fallimenti del presidente Barack Obama in medio oriente.

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