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L'Opinione - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.11.2012 Guerra: le cronache
di Stefano Magni, Maurizio Molinari, Aldo Baquis, Francesco Battistini

Testata:L'Opinione - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Stefano Magni - Aldo Baquis - Maurizio Molinari
Titolo: «Pioggia di razzi su Israele - Razzi palestinesi fino a Tel Aviv. A Gaza 250 raid - Obama chiede a Morsi di fermare il conflitto»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 16/11/2012, a pag. 5, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " Pioggia di razzi su Israele ". Dalla STAMPA, a pag. 2, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Razzi palestinesi fino a Tel Aviv. A Gaza 250 raid ", a pag. 3, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama chiede a Morsi di fermare il conflitto ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " L'allarme, la paura e l'incredulità: 'E' un'esercitazione?' ".

a destra, la mappa dell'IDF dei razzi lanciati da Gaza e delle risposte israeliane
Ecco i pezzi:

L'OPINIONE - Stefano Magni : " Pioggia di razzi su Israele "


Stefano Magni, l'appartamento centrato da un razzo di Hamas a Kyriat Malachi

Tre cittadini israeliani sono stati uccisi a Kiryat Malachi da un razzo lanciato da Hamas. Una famiglia intera è stata distrutta. Tre bambini sono sopravvissuti, feriti gravemente. Si è soliti credere che gli ordigni dei palestinesi siano rudimentali e sostanzialmente inoffensivi. Ma la distruzione della casa in cui viveva la malcapitata famiglia è la dimostrazione pratica che i razzi Qassam e i più potenti Grad sono lanciati per uccidere. La strage poteva essere anche peggiore: un altro razzo ha colpito una casa ad Ashdod, un altro ancora ha impattato nelle immediate vicinanze della scuola di Beer Tuvya. Altri ordigni sono finiti a Ofakim e Ashkelon. Alcuni razzi più a lungo raggio sono arrivati sino alle porte di Tel Aviv, nel cuore di Israele. Se le perdite fra i civili israeliani sono relativamente contenute, è solo perché le difese sono solide: in questi giorni il sistema anti-missile Iron Dome è riuscito a intercettare ben 145 razzi nemici. E il capillare sistema di rifugi, costruiti nelle piazze e nelle strade delle città meridionali, permette agli abitanti di ripararsi dalle esplosioni. Anche l’abitudine, ormai più che decennale, ad evacuare le aree a rischio al primo segnale di allarme, fa sì che gli israeliani riescano a sopravvivere alla continua pioggia di ordigni. Ma ciò non toglie che il bombardamento di Hamas contro le province meridionali di Israele sia costante e letale. E miri a uccidere e terrorizzare quelle popolazioni.
Oggi si dice che l’uccisione dei tre cittadini israeliani sia una “rappresaglia” per l’omicidio mirato di Al Jabari, il leader della branca militare di Hamas. Ma si dimentica, in questo modo, che il raid dell’aviazione israeliana che lo ha ucciso, è avvenuto dopo il lancio di ben 120 razzi di Hamas contro il territorio nazionale di Israele. E nelle ultime 24 ore questo numero è raddoppiato. La notizia dell’uccisione dei tre civili israeliani rischia, inoltre, di essere oscurata, nei media internazionali, dai 15 palestinesi uccisi nel corso della rappresaglia dello Stato ebraico. Ma, in questo caso, l’aviazione con la stella di David non mirava a massacrare civili (come invece fa Hamas, deliberatamente): prima degli ultimi bombardamenti, infatti, gli israeliani avevano diffuso volantini, in arabo, in cui invitavano la popolazione a stare lontana dalle basi e dalle strutture di Hamas. Coloro che sono rimasti vittime dei missili piovuti su Gaza erano dunque stati avvertiti, come prescritto dalle leggi di guerra.
Dovrebbe essere chiaro a tutti chi è l’aggressore e chi l’aggredito, chi il responsabile di vittime civili e chi stia semplicemente sparando in risposta ad un’aggressione. Eppure gli schieramenti internazionali non cambiano, con l’Egitto di Mohammed Morsi (Fratelli Musulmani) che condanna fermamente solo Israele e i soli Stati Uniti e Regno Unito che difendono apertamente lo Stato ebraico. La protesta di Morsi è stata plateale. Subito dopo l’uccisione di Al Jabari, ha richiamato l’ambasciatore da Tel Aviv. Poi ha ordinato l’apertura del valico di Rafah, ufficialmente per permettere l’evacuazione dei feriti di Gaza. Ma è possibile che, a frontiera aperta, nell’altra direzione passino anche le armi. Il premier egiziano ha annunciato ieri che visiterà Gaza, per portare la solidarietà del governo del Cairo alla popolazione. C’era da attenderselo: Israele non può più contare su un Egitto di Mubarak, fedele alla lettera del trattato di pace.

La STAMPA - Aldo Baquis : " Razzi palestinesi fino a Tel Aviv. A Gaza 250 raid"


Razzi da Gaza

Botta e risposta: all’indomani dell’uccisione da parte di Israele del comandante militare di Hamas a Gaza Ahmed Jaabari, è stata la volta di Tel Aviv a essere raggiunta da un missile sparato dalla Striscia, un Fajr 5 iraniano.

«Il tempo in cui Gaza veniva colpita impunemente è finito per sempre. Adesso c’è una nuova equazione: se non c’è pace a Gaza, non ci sarà nemmeno a Tel Aviv», ha teorizzato ieri Ghazi Hammed, un dirigente di Hamas, mentre nella Striscia le immagini di una Tel Aviv sorpresa dal suono delle sirene di allarme destavano scene di incontenibile entusiasmo.

Il razzo palestinese si è inabissato nel mare di Giaffa (alle porte di Tel Aviv). Ma l’allarme è stato avvertito anche nel ministero della Difesa, dove in quel momento Benjamin Netanyahu era impegnato in consultazione. Il premier è stato scortato in una stanza protetta. Poco dopo ha autorizzato il richiamo di 30mila riservisti, mentre lungo le linee di demarcazione con la Striscia di Gaza prendevano posizione brigate israeliane di fanteria pronte a entrare in azione, come ai tempi dell’operazione Piombo Fuso.

Quella di ieri è stata una giornata di forte escalation, su tutti i fronti. I palestinesi hanno fatto grandinare su Israele 250 razzi colpendo tutte le città principali nella regione Sud e mirando poi alla periferia meridionale di Tel Aviv. L’aviazione di Israele non è stata da meno, conducendo in media dieci raid l’ora e complessivamente circa 250 in una giornata di combattimenti.

Nel territorio israeliano un condominio è stato centrato da un missile palestinese e tre persone sono rimaste uccise. A Gaza - dove ieri si sono svolti i funerali di massa del comandante Jaabari - il bilancio complessivo delle vittime di due giorni di bombardamenti è stato di sedici palestinesi uccisi: per lo più miliziani, anche se fra le vittime si hanno pure una bambina, un bebé ed una ragazza 19enne, incinta.

Che cosa vuole Israele? Sostanzialmente rimuovere nei limiti del possibile la minaccia degli arsenali palestinesi accumulati a Gaza che da anni rappresentano un pericolo costante per un milione di abitanti del Neghev, e ormai anche per quanti risiedono a Sud di Tel Aviv. Non si può vivere all’infinito - viene fatto notare con la necessità di buttarsi in 15-30 secondi in rifugio, in ogni momento della giornata o della nottata, per sfuggire ai razzi di Hamas. La popolazione è snervata, le città alla lunga rischierebbero di svuotarsi. Dunque i depositi dei missili Fajr-5 e i bunker dove sono stati stivati migliaia di razzi devono assolutamente essere distrutti, affermano i vertici militari israeliani. A quanto pare, l’obiettivo politico di abbattere il regime di Hamas (che era stato evocato quattro anni fa nell’operazione Piombo Fuso) è stato ormai accantonato.

Ieri comunque Hamas ha dimostrato che non si lascerà piegare facilmente. «Sono al nostro fianco i popoli liberi, le masse arabe scese in piazza per rimuovere despoti come Mubarak, il popolo egiziano, quello siriano», ha osservato Hammed. L’obiettivo di Hamas: costringere Israele ad accettare un nuovo deterrente.

Fra queste posizioni cercherà oggi di manovrare il primo ministro egiziano Hisham Kandil, un Fratello Musulmano, inviato con grande urgenza dal presidente Mohammed Morsi a Gaza nel tentativo di mettere fine all’escalation militare. Gli Stati Uniti, ha fatto sapere il presidente Barack Obama, si attendono infatti dall’Egitto che faccia pesare su Hamas tutto il proprio peso politico. Dal Libano invece gli Hezbollah di Hassan Nasrallah si complimentano per l’attacco a Tel Aviv e consigliano a Hamas di non demordere affatto.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama chiede a Morsi di fermare il conflitto"


Maurizio Molinari, Barack Obama              Mohamed Morsi

Nella crisi di Gaza Barack Obama si schiera con Israele per spingere l’Egitto a bloccare il lancio di razzi da parte di Hamas. Sono le telefonate del presidente americano a Benjamin Netanyahu e Mohammed Morsi a descrivere l’approccio di Washington. Al premier di Gerusalemme Obama assicura «sostegno nel diritto all’autodifesa dai massicci lanci di razzi contro i civili israeliani» dicendosi per «la fine degli attacchi di Hamas» e quando chiama il presidente del Cairo aggiunge: «L’Egitto ha un ruolo centrale nel preservare la sicurezza regionale, dobbiamo lavorare assieme per scongiurare l’escalation».

Ciò significa che per la Casa Bianca la crisi è stata innescata dai razzi di Hamas e risolverla ora spetta all’Egitto, nella prima vera prova di leadership regionale per Morsi. «Resteremo in stretto contatto nei prossimi giorni» aggiunge Obama a Morsi al fine di sottolineare che seguirà da vicino gli sforzi egiziani per bloccare Hamas e scongiurare l’invasione israeliana della Striscia. E’ dopo la telefonata di Obama che Morsi annuncia l’invio del premier Hisham Kandil a Gaza, dove arriverà oggi per consultazioni con la leadership politica di Hamas.

«Non c’è giustificazione per la violenza di Hamas e di altri gruppi terroristi» incalza il portavoce della Casa Bianca Jay Carney, sottolineando anche la richiesta a Israele di «limitare al massimo le vittime civili». Il portavoce del Dipartimento di Stato chiede al Cairo di «adoperare la propria influenza per porre fine alle violenze» riferendosi al fatto che Hamas è la ramificazione palestinese del movimento dei Fratelli musulmani al governo in Egitto, del quale lo stesso Morsi fa parte. Washington conta su questo legame per mantenere Hamas nell’orbita egiziana, evitando che diventi una piattaforma militare dei jihadisti salafiti. Ma Morsi al Cairo subisce le pressione proprio dei Fratelli Musulmani che gli chiedono di «rescindere ogni legame diplomatico e commerciale con l’Entità usurpatrice».

Al momento Morsi ha ritirato l’ambasciatore da Israele con una mossa che ripete quella compiuta dal predecessore Hosni Mubarak nel novembre del 2000 - durante la seconda Intifada - e dunque rientra nella «pace fredda». Ma il timore della Casa Bianca è che Morsi possa essere tentato dalla «graduale cancellazione della normalizzazione con l’Entità sionista», come la definisce Mohamed Sudan il responsabile Esteri dei Fratelli Musulmani, paventando il rischio di un collasso degli accordi di Camp David del 1979 perno della stabilità in Medio Oriente .

Come riassume Eric Trager, del «Washington Institute», «Obama vede con favore le pressioni egiziane su Israele per accelerare la soluzione dei due Stati ma non può tollerare la fine degli accordi di Camp David che per oltre 30 anni hanno garantito la pace fra Egitto e lo Stato Ebraico».

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " L'allarme, la paura e l'incredulità: 'E' un'esercitazione?' "


Francesco Battistini, israeliani al riparo in un rifugio improvvisato

TEL AVIV — Duecento shekel, grazie... «Controllo l'olio?». A posto... «Le gomme?». A posto anche quelle... «L'acqua?»... Dietro la Dizengoff, via dello struscio, la benzina serale è un piccolo rito che richiede mancia e pazienza. Itai, il ragazzo alla pompa, lo sa e si prende di regola i suoi ritmi: alle sei e mezza ci sono i pendolari che escono da Tel Aviv, i ragazzi che preparano la serata, le mamme che hanno fretta per la cena, ma nemmeno una bomba potrebbe smuoverlo. O forse sì... Solo il tempo di rispondere, prima d'aprire il cofano: le sirene cominciano da lontano, l'ululato s'avvicina, poi diventa un lamento che trapana. Ci guardiamo tutti interdetti, in coda: un allarme? Qui? Itai è il più rapido a mollare l'erogatore, la benzina che gocciola a terra, «dammi 20 e siamo a posto!». Tutt'intorno usciamo dalle macchine a guardare il cielo e le nostre insicurezze, interdetti. Dalla casa di fronte tre ragazzine scendono in strada, ridendo isteriche: «E un'esercitazione?». Qualcuno corre. Quasi tutti restiamo immobili. No, non è un'esercitazione. La voce da un megafono, spuntato chissà come: «Andate al rifugio più vicino! Con calma, andate in un posto sicuro!». La Bolla è scoppiata. Stasera si svuotano le discoteche del porto, rimandano la serata i localini blues di Florentine, non c'è coda ai ristoranti di Neve Tzedek: vent'anni dopo gli Scud suonati da Sad-dam, ecco i Fajr serviti da Ahmadinejad. Due razzi a portare l'emergenza nella città bianca delle infradito no stop e dei mojito a gogò, la Bolla appunto, come il resto d'Israele orante e laborioso chiama la Tel Aviv edonista che, luogo comunissimo, sempre s'estrania dal «balagan», il casino mediorientale. Truce il comunicato della Jihad islamica: «Le Brigate Al Quds hanno colpito la città occupata di Tel Rabea», il nome in arabo, «abbiamo provocato una potente esplosione che ha scosso la città». Il botto lo sentono un po' dappertutto, russi e falascià, francesi e orientali: al museo del design di Holon e nei giardinetti di Rehovot, fra le ultime bancarelle del mercato di Jaffa e nelle scuole dei surfisti, perfino davanti alla base aerea di Bat Yam, quella dove la leggenda popolare vuole ci siano i bombardieri pronti con l'atomica... I razzi cadono in mare o nel nulla e fanno una sola vittima, la tranquillità. Un lutto non paragonabile a quel che passano i palestinesi nella Striscia o gl'israeliani di Sderot, comunque grave: « E la mia prima e spero ultima bomba qui», scrive Uri Fiano su Facebook; «Dopo anni d'esercitazioni che ti facevano prendere un colpo, stavolta era una sirena vera e io non sapevo cosa fare», è un po' panicata Judith Pacifici. E Shira, 38 anni: «Non abbiamo una stanza di sicurezza, che faccio se tirano ancora?». «Ero al parco giochi con mia figlia — descrive Orian — mi sono messa a correre e non sapevo bene dove»... La mezz'ora del razzo, impossibile telefonare, sapere dove nascondersi, avere informazioni certe. Mezz'ora soltanto, però: a Tel Aviv si spolettano subito, le paure. Racconta Etgar Keret, lo scrittore, che ai tempi saddamiti del 1991 qui s'andava in spiaggia e quando il cielo ululava di missili, tutt'al più, si parlava dell'emergenza meduse: «Ricordo una ragazza a una festa, quando arrivò un'esplosione. Si girò, mi guardò un attimo annoiata: una bomba, che roba anni 80...». I tempi non hanno corso troppo: «Le sirene mi hanno sorpreso fuori città — chatta Lior Cohen — io abito in centro, sulla Ben Yehuda. Ho lasciato una bici rossa legata all'incrocio con Gordon. Qualcuno può controllare che stanotte non me la rubino?».

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