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Libero - Il Giornale Rassegna Stampa
13.11.2012 Egitto in pieno inverno islamista
Salafiti e islamisti senza freni

Testata:Libero - Il Giornale
Autore: Enrica Ventura - Redazione del Giornale
Titolo: «Fondamentaliste scatenate al Cairo. Cristiane rapate in metrò: 'Infedeli'»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 13/11/2012, a pag. 16, l'articolo di Enrica Ventura dal titolo " L’Egitto come i talebani: «Le piramidi e la Sfinge sono idoli da abbattere» ". Dal GIORNALE, a pag. 17, la breve dal titolo " Fondamentaliste scatenate al Cairo. Cristiane rapate in metrò: «Infedeli» ".
Ecco i due articoli:

LIBERO - Enrica Ventura : "  L’Egitto come i talebani: «Le piramidi e la Sfinge sono idoli da abbattere»"

La Sfinge e le piramidi come le statue del Buddha di Bayman, in Afghanistan, o come le tombe dei santi sufi a Timbuktu, in Mali: distrutti dalla furia islamista, perché blasfemi e non rispettosi dei dettami del Corano, che proibisce l’idolatria, il culto delle persone e le raffigurazioni umane. Ora in Egitto, con la salita al potere dei Fratelli musulmani e dei salafiti, il mondo rischia di perdere alcune delle più grandi imprese architettoniche mai compiute dall’uomo nel passato. Come riferito dalla tv Al Arabiya, il salafita-jihadista Murgan Salem al-Gohary ha auspicato la distruzione di tutti gli «idoli» sul territorio egiziano, a cominciare da Sfinge e piramidi, che dovrebbero fare la fine dei Buddha scavati nella roccia nella valle di Bayman, demoliti dopo quasi un mese di bombardamenti dai talebani nel marzo 2001. L’episodio scandalizzò il mondo, che impotente vide venire giù i due enormi capolavori antichi di 1500 anni. Al-Gohary ha fatto il suo annuncio durante l’intervista del weekend sul canale privato Dream TV, molto seguito non soltanto in Egitto ma anche in tutto il mondo arabo. Il salafita- jihadista è noto per i suoi legami con i talebani. Durante il regime di Hosni Mubarak, scrive il quotidiano Egypt Independent, è stato condannato due volte per apologia della violenza, con una sentenza anche all’ergastolo. Dall’Egitto è scappato in Afghanistan, dove è stato gravemente ferito dalle truppe della Nato. Nel 2007 si recò dal Pakistan alla Siria, che lo consegnò all’Egit - to. È stato rilasciato nei primi mesi del 2011, dopo la deposizione di Muhammad Murabak. «Dio ha ordinato al profeta Maometto di distruggere idoli» ha dichiarato al-Gohary in televisione, «quando ero con i talebani abbiamo distrutto le statue di Buddha». Ed è quello che si augura riesca a fare ora l’Egitto, con un Parlamento guidato da Fratelli musulmani e salafiti. E la salvaguardia dell’im - menso patrimonio archeologico del paese, tra cui anche il sito di Abu Simbel e i tesori conservati nel Museo Egizio, è uno degli argomenti più spinosi dell’agenda del presidente Mohammed Morsi, membro dei Fratelli musulmani, che ancora non si è pubblicamente espresso in merito. Senza dimenticare che proprio per questo patrimonio l’Egitto è visitato ogni anno da milioni di persone, con il turismo che è la seconda voce dell’economia del paese. Le dichiarazioni di al-Gohary sono arrivate il giorno dopo il cosiddetto «Venerdì dell’ap - plicazione della sharia», con piazza Taharir invasa da centinaia di manifestanti che chiedevano al governo che la legge coranica diventi la base dell’intera legislazione egiziana, a cominciare dalla Costituzione. Non solo. Le sue parole arrivano dopo che episodi contro l’idolatria si sono già registrati dopo la caduta di Mubarak. Ad Alessandria testimoni hanno più volte raccontato di salafiti che hanno coperto le statue delle fontane e dei palazzi della città. Eppure l’annuncio di al- Gohary non è piaciuto a tutti gli islamisti. Durante la trasmissione, a sorpresa, ha telefonato in diretta Sheikh Abdel Fattah Moro, vicepresidente di Ennahda, il partito islamista al potere in Tunisia, che si è scagliato contro le intenzioni del salafita-jihadista, ricordandogli che il famoso condottiero musulmano Amr ibn al-Aas non distrusse alcuna statua quando conquistò l’Egitto nel VII secolo e fondò la sua prima capitale, Al Fustat. Il Cairo guidato da Morsi finora ha preferito mantenere, rispetto al patrimonio archeologico, la stessa posizione dell’era Mubarak e questo mese ha riaperto al pubblico, dopo tre anni, la piramide di Chefren, la seconda più grande di Giza.

Il GIORNALE - " Fondamentaliste scatenate al Cairo. Cristiane rapate in metrò: «Infedeli» "


Imam Qaradawi

Capelli tagliati a forza in metropolitana alle ragazze non velate perché «infedeli», l’ex candidato dei laici occidentalizzanti Moha­med El Baradei denunciato alla magistratura per offese alla religione (musulmana natural­mente: si era permesso di chiamare «pagliacci» gli integralisti salafiti), il predica­tore estremista Qaradawi accol­to per la prima volta a tenere un sermone nella grande moschea di Al-Azhar, e un altro predicato­re vicino ai talebani afghani che si spinge a caldeggiare pubblica­ment­e l’abbattimento delle pira­midi e della Sfinge, da lui definiti «idoli».
Quattro notizie in un giorno che arrivano dall’Egitto e un solo denominatore comune: il peg­gior
tipo di islam sta prendendo piede sempre più in un Paese che era noto per la sua tolleranza e nel quale vivono con crescente disagio quasi dieci milioni di cristiani. E risale a due giorni fa un’altra notizia dal forte impatto simbolico: per la prima volta nella storia della Egypt Air, la compagnia di bandiera del Cairo, le hostess so­no state «autorizzate» a portare il velo. Impressionano particolarmen­te gli episodi di prepotenza di cui sono state vittime - ed è la secon­da volta in due mesi- ragazze gio­vaniss­ime non velate a bordo del­la metropolitana del Cairo: prota­goniste attive donne coperte dal niqab, il velo integrale, che in un caso hanno rapato a forza una tre­dicenne cristiana e in un altro hanno spinto una giovane di 28 anni fuori dal treno gridandole «infedele» e procurandole la frat­tura di un braccio. Ispira invece soprattutto malinconia il caso di El Baradei, l’ex direttore dell’agenzia atomica dell’Onu che aveva sognato di diventare presi­dente dull’onda della rivolta della primavera 2011: ora deve affrontare un processo per avere criticato degli estremisti religiosi. Un caso triste­mente simbolico.

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