Obama bis
La storia ripete se stessa
Cari amici,
oggi come certo sapete è il giorno della conferma di Obama, ed è quindi per noi di Informazione Corretta, probabilmente per molti lettori e, crediamo, per quel grande complesso di valori e realizzazioni che chiamiamo Occidente, una giornata triste. I risultati elettorali in democrazia vanno accettati, ma questo non significa che non debbano essere discussi, anzi.
Al di là di ogni questione personale, la vittoria di Obama è un sintomo di un certo stato mentale dell'America (e dell'Europa che se avesse potuto avrebbe votato Obama con maggioranza molto più ampia). In politica interna è la tendenza a privilegiare lo stato sociale, le sue spese e i suoi vincoli, alla tradizionale libertà economica americana, anche se queste scelte stanno gravemente ritardando l'economia e l'industria americana (per non parlare di quella europea) rispetto alla concorrenza globalizzata. E' il paradosso per cui l'inventiva occidentale continua a mettere al mondo i prodotti di massa della cultura mondiale, per esempio negli ultimi anni gli smartphone e i tablet, ma va a fabbricarli in Cina o in altri luoghi che non rispondono alle sue regole, perché non potrebbe farlo da noi. Del quadro fa parte un'idea di diritti senza doveri per quanto riguarda l'immigrazione, l'educazione, la convivenza civile. Si pensa a dividere la torta sociale in parte più uguali, non ad aumentarne la dimensione. Le tasse diventano da un male necessario, una virtù in sé che deve crescere per il bene di tutti, e naturalmente serve ad alimentare un ceto politico e una burocrazia parassitaria di massa, che si fa garante dello satus quo.
Sul piano della politica internazionale, che è il nostro tema specifico, quest'Occidente si sente in colpa per tutto il passato, non è in grado di rivendicare i propri meriti, ha paura a resistere alle aggressioni, preferisce comunque venire a patti con chiunque minacci di aggredirlo, o magari cerca di appoggiare i propri nemici, illudendosi che in questa maniera essi gli serberanno gratitudine. Al di là di qualunque polemica contingente, questa è stata la politica dell'amministrazione Obama che ha portato alle rivolte arabe: ammettere senza discutere le colpe che gli islamisti attribuiscono all'Occidente (il "colonialismo" su quelle terre che in realtà fino a cent'anni fa erano sfruttate dai turchi, che spesso erano state sotto l'egemonia sovietica e che in passato erano state invase brutalmente proprio dagli arabi, soffocando le popolazioni locali), cercare di eliminare la classe burocratico-militare che si era formata venendo a patti anche con l'America, favorire la presa del potere degli islamisti accreditandone un'inesistente "moderazione". E naturalmente cercare di costringere Israele a una politica altrettanto illusoria e masochista. Con la differenza che l'America è lontana e le conseguenze si vedranno nei decenni, ma Israele è in mezzo a quel mondo ribollente e se rinuncia a difendersi scompare in pochi mesi. L'appeasement, l'idea che concedendo ai propri nemici quel che vogliono si possa raggiungere la pace, è caratteristica di questo modo di pensare: nei confronti dell'Islamismo, ma anche della Russia e della Cina. E' l'idea che provò a realizzare con la Germania nazista Neville Chamberlain, non resistendo alle prime mosse espansive di Hitler (il riarmo, l'Anschluss, la presa della Cecoslovacchia) e che portò in definitiva alla seconda guerra mondiale.
Ora abbiamo molto probabilmente di fronte quattro anni di questa politica, senza neppure il vincolo della rielezione, che ha imposto a Obama una certa moderazione negli ultimi due anni per non dispiacere a settori cruciali del proprio elettorato. Dobbiamo prepararci a un appeasement con l'Iran, a un'estensione del potere degli islamisti, a "compromessi" con Cina e Russia, alla mano dura nei confronti del governo israeliano, magari con interferenze pesanti sulle elezioni che verranno. L'Europa sarà un modello sociale per l'America di Obama, ma la sua difesa, che è un problema di fronte alla crescente aggressività russa, non sarà certo una priorità. Gli sviluppi saranno ancora più inquietanti per l'America, dove Obama avrà per ragioni biografiche l'occasione storica di plasmare la "terza camera" del sistema politico americano, cioè la Corte Suprema.
Naturalmente c'è poco che chiunque di noi, che non siamo neanche elettori di questo presidente, possiamo fare. Se non ricordarci che l'esperienza ha mostrato che questa amministrazione tende a venire a patti con chi le resiste non solo coi nemici, ma anche con gli alleati. E' stata la resistenza di Netanyahu, oltre a considerazioni di carattere elettorale, a far cessare i tentativi dell'amministrazione Obama di forzare la politica israeliana nella direzione di un'acquiescenza totale alle pretese arabe. Si tratterà dunque di resistere, di opporsi, di denunciare i rischi dell' "avventurismo della resa" che fa parte del DNA di Obama. E' questo il compito che dobbiamo assegnarci per anni che saranno, probabilmente, difficilissimi.
Ugo Volli
|