Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/11/2012, a pag. 3, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "Mr President, ecco a che punto siamo con l’Iran".
Daniele Raineri
La mano tesa. Nel marzo 2009, all’inizio del mandato, il presidente americano Barack Obama fece all’Iran un’offerta di pace cauta ma chiara pronunciando in un discorso questo passaggio famoso: “Tenderemo la mano se voi aprirete il pugno”. Oggi il mandato finisce e nel frattempo Obama ha ordinato contro l’Iran le sanzioni economiche più dure mai imposte a una nazione e altre sono in arrivo. Il paese è in difficoltà: la moneta, il rial, ha perso l’ottanta per cento del suo valore nell’ultimo anno, e beni essenziali per il funzionamento di una società moderna, come i farmaci importati e le parti meccaniche di ricambio prodotte all’estero, cominciano a mancare a causa dell’embargo. Eppure proprio adesso, nel pieno della guerra economica dichiarata da Washington con l’appoggio dell’Europa, il regime di Teheran si mostra ricettivo. Si moltiplicano le voci su contatti segreti e su negoziati discreti tra i due paesi. Ora che deve affrontare la crisi, il governo iraniano in privato non ha più tutta quella sicurezza respingente che continua a ostentare in pubblico.
Where is the beef? I rumor sugli incontri sono negati da entrambi i governi e assomigliano a quelli sulle trattative opache tra americani e talebani che nessuno ha visto ma che tutti sostengono essere in corso. Gli osservatori continuano a chiedersi: se c’è tutto questo fumo, sui contatti tra Iran e America, ci sarà anche un po’ di ciccia? Il giornale israeliano più letto, lo Yedioth Ahronoth, lunedì ha scritto che un’avvocatessa di Chicago, Valerie Jarrett, consigliera di fiducia del presidente Obama, è una figura chiave dei negoziati segreti tra i due paesi. Si incontrerà con emissari della Guida suprema, Ali Khamenei, nel Bahrein, paese arabo neutrale (in realtà no, ma è comodo per gli iraniani). I colloqui sarebbero pure cominciati per iniziativa di Jarrett, che è nata a Shiraz, in Iran, e vi è cresciuta fino all’età di cinque anni – e quindi ha un’infarinatura di cultura e di farsi, la lingua iraniana – prima di trasferirsi in America e di diventare una trafficona della scena politica locale a Chicago e la potente kingmaker di Obama nella prima fase della sua carriera politica. A ottobre il New York Times ha dato la notizia di colloqui segreti tra Iran e Stati Uniti, ma era stato smentito dalla Casa Bianca il giorno dopo. Il giorno dopo ancora, membri anonimi dell’Amministrazione avevano riconfermato la notizia al quotidiano di New York. Ora anche lo scoop sulla Jarrett è stato smentito ufficialmente. Where is the beef?
Rumore di fondo dal Golfo. Le notizie sui colloqui sono ovviamente coperte dal rumore di fondo fin troppo realistico sulla guerra che potrebbe scoppiare nel Golfo tra Israele e l’Iran oppure tra una coalizione a guida americana e l’Iran. Ogni giorno questa guerra fredda produce una notizia che assomiglia a una minaccia: i pasdaran annunciano che mineranno lo Stretto di Hormuz, una simulazione fatta da Israele su cosa accadrebbe quando o se bombarderà i siti atomici dell’Iran, l’annuncio dalla Gran Bretagna che sposta navi e aerei militari nella zona, uno strike fantasma contro una fabbrica d’armi in Sudan, la vendita di aerei da guerra americani al Qatar che è il nemico e dirimpettaio dell’Iran.
“Iran e America contro il vero islam.” In medio oriente, dove le teorie del complotto proliferano rigogliose, è quasi dato per scontato che siano in corso colloqui tra Teheran e Washington. Un portavoce dei ribelli siriani, in un colloquio telefonico con il Foglio, dice: “Non lo sai? Sono d’accordo”. Ma Teheran chiama l’America il Grande Satana e minaccia di attaccare Israele, il più importante alleato dell’America nella regione. “E’ una posa. In realtà, se fossero veramente nemici, Washington ci aiuterebbe e invece non lo fa. Hanno paura dell’islam sunnita, del vero islam, dall’Egitto alla Libia all’Iraq e qui. Sono d’accordo ai nostri danni”. La voce dalla Siria in guerra è incrollabile, l’uomo non vuole sentire ragioni.
Nella stessa stanza. Questa settimana delegati di Israele e dell’Iran partecipano a una conferenza sulla non proliferazione delle armi di massa. E’ l’anticipazione di una conferenza che si terrà in Finlandia e avrà per oggetto la creazione di una zona senza armi di distruzione di massa in medio oriente (sembra un’iniziativa per mettere in crisi la dottrina dell’ambiguità nucleare di Israele). In teoria i rappresentanti dei due paesi potrebbero non incrociarsi nemmeno nei corridoi. Laura Rozen, una giornalista esperta che segue meticolosamente le schermaglie della diplomazia internazionale per al Monitor, sostiene che iraniani e israeliani si sono già incontrati in via non ufficiale e riservata in paesi dell’Europa. Se ci fosse una fonte credibile a confermare, sarebbe una notizia da titolo cubitale in prima pagina. Invece rimane sospesa così, come un rumor da citare in mezzo agli articoli.
L’uomo a Teheran. Un segno evidente che gli iraniani sono interessati a questi ipotetici negoziati con il Grande Satana arriva dalla nomina di un coordinatore “per i contatti con esperti americani non governativi”, quindi appartenenti a think tank, o ex uomini delle Amministrazioni passate. Il punto è che il nominato, Mostafa Dolatyar, è invece un uomo del governo iraniano, in servizio. E’ un diplomatico navigato che lavora come capo del think tank del ministero degli Esteri di Teheran. Dolatyar è il risultato “del desiderio degli iraniani di avere un approccio più strutturato quando hanno a che fare con l’America”, dice Mark Fitzpatrick, un esperto di nucleare iraniano che lavora per il think tank Iiss a Londra. “L’Iran vuole parlare con una sola voce, per questo ha creato quel nuovo ruolo”. Il diplomatico farà rapporto direttamente a Saeed Jalili, il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza dell’Iran che è anche il caponegoziatore sul nucleare. A Teheran, però, l’attenzione è puntata soprattutto sull’ascesa di Ali Akbar Velayati, oscuro consigliere della Guida suprema Ali Khamenei che ora è spinto in prima fila dalla forza invincibile del favore dell’autorità religiosa. Velayati ha avuto parole da falco sulla possibilità di un intervento militare dell’occidente in Siria, ma su negoziati e nucleare è rassicurante e conciliante. Tanto che si parla di una sua possibile candidatura alle presidenziali dell’anno prossimo, al posto dell’ormai logoro Ahmadinejad.
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