Turchia: emerge un’altra tirannia islamista
Analisi di Isi Leibler
(Traduzione di Yehudit Weisz)
Pubblicato su The Jerusalem Post e Israel Hayom
Isi Leibler Bernard Lewis Recep Erdogan
Bernard Lewis, uno dei più grandi studiosi d’islam al mondo, qualche anno fa mi disse che la giovane generazione iraniana emergente e la disorientata classe media avrebbero portato a un cambio di regime. Aveva anche predetto che la Turchia si sarebbe trasformata in una dittatura islamica aggressiva e sarebbe diventata la più grande minaccia per Israele.
La sua previsione sulla Turchia si sta realizzando.
Quando dodici anni fa, Recep Erdogan prese le redini del governo in Turchia, molti espressero timori che sotto la patina di moderazione e l’impegno a fondere l’Islam moderato con la democrazia il vero Erdogan fosse un musulmano fanatico, il cui obiettivo era trasformare la Turchia in uno stato islamico autoritario. Ora ne abbiamo la conferma.
L’esercito, che controllava la nazione fin da quando Kemal Ataturk aveva creato una Repubblica Turca laica nel 1923, aveva senza dubbio manifestato tendenze autocratiche con la sua determinata volontà di combattere l’estremismo musulmano. Ma in termini di libertà di parola e di processo democratico, la situazione oggi è molto peggiorata rispetto al pre-Erdogan, che ha gettato in carcere migliaia di cittadini sulla base di false accuse e con processi sommari, come è accaduto a uno su quattro degli ex generali turchi, tutti in prigione; giornalisti, accademici e politici non conformisti sono stati sbrigativamente arrestati; i giornali dissenzienti sono stati chiusi.
I leader si possono giudicare dai loro alleati. Erdogan aveva orgogliosamente accettato un “premio per i diritti umani” dal defunto tiranno libico Muammar al Gheddafi e aveva accolto come suo ospite Omar al Bashir, il padrone genocida del Sudan, un criminale di guerra riconosciuto responsabile della morte di centinaia di migliaia di suoi concittadini. Erdogan nega poi che Hamas sia un’organizzazione terroristica e si riferisce ai suoi seguaci come eroici combattenti per la libertà, accogliendo la visita del leader di Hamas Ismail Haniyeh, quasi come un capo di Stato. Il mese scorso ha invitato l’altro leader di Hamas, Khalid Mashaal, come suo personale ospite d’onore a una cena di Stato per celebrare la fine del Ramadan. Erdogan ha anche allargato i rapporti diplomatici alle organizzazioni e ai regimi terroristici musulmani più estremisti, e di recente anche ai siriani e agli ayatollah iraniani che, continua ad insistere, hanno il diritto di diventare una potenza nucleare. Ora, dopo aver cambiato rotta rispetto ad Assad, ha stretto alleanza con il Presidente egiziano Mohammed Morsi della Fratellanza mussulmana.
Chiaramente il suo obiettivo è quello di emergere come leader popolare di un fronte musulmano sunnita neo-ottomano.
Per raggiungere l’obiettivo, ha consapevolmente sfruttato l’odio popolare verso Israele come un mezzo per ottenere un ampio sostegno da parte delle masse arabe. A tal fine, ha trasformato l’ex stretta alleanza della Turchia con Israele in uno scontro aggressivo e demonizzante, mettendosi in luce come uno dei leader degli stati musulmani che guidano le ostilità contro lo Stato ebraico.
La prima dimostrazione pubblica di questo comportamento è stato l’attacco accanito e strumentale al Presidente Shimon Peres in occasione del Forum economico mondiale di Davos nel gennaio del 2009. Milioni di telespettatori lo videro mentre accusava Peres di presunti crimini di guerra per poi, teatralmente, precipitarsi fuori dalla sala.
Il deterioramento delle relazioni turco-israeliane ebbe culmine nel 2010, quando nove membri dell’ IHH, gruppo terroristico jihadista protetto dal governo turco, furono uccisi a bordo della Mavi Marmara, una nave turca della Freedom flotilla per Gaza, dopo che avevano violentemente attaccato la squadra di ispezione dell’IDF con sbarre di metallo, bastoni e coltelli.
Una commissione d’inchiesta israeliana indipendente ha rivendicato le azioni dell’esercito israeliano come autodifesa. Anche una Commissione distaccata delle Nazioni Unite ha stabilito che, anche se ci può essere stato un eccesso di difesa, l’azione israeliana era del tutto conforme al diritto internazionale.
Erdogan ha però sfruttato questo incidente per rafforzare il braccio di ferro con Israele. Ha preteso che il governo israeliano porgesse le scuse, pagasse un risarcimento alle famiglie e togliesse senza condizioni il blocco navale a Gaza.
Nel tentativo di allentare le tensioni, gli israeliani hanno espresso rammarico per la perdita di vite umane senza però accettare le accuse, hanno cercato poi di raggiungere un accordo, offrendo di pagare una cifra di circa 6 milioni di dollari alle famiglie delle vittime. Ma ben presto fu chiaro che Erdogan era alla ricerca di uno scontro piuttosto che di un compromesso.
Il governo turco ha declassato la propria rappresentanza diplomatica e ha intensificato la campagna globale per demonizzare Israele, cercando di escluderlo dal partecipare a tutti i consessi internazionali.
Il mese scorso, nel secondo anniversario della flotilla, l’Alta Corte turca ha formalmente accusato i militari israeliani per la loro presunta responsabilità nell’incidente, pronunciando sentenze di ergastolo per l’ex Capo di Stato Maggiore israeliano Gabi Ashkenazi e per altri capi militari.
Campagne contro Israele sono state accompagnate da una più intensa propaganda antisemita nei media controllati dal governo, compreso un macabro dramma televisivo (La valle dei lupi) raffigurante gli israeliani come trafficanti di organi, assassini di bambini innocenti e altre ripugnanti attività criminali. Non a caso, i sondaggi di opinione turchi per il 76% riflettono un atteggiamento negativo nei confronti degli ebrei.
Erdogan è stato particolarmente virulento nel denunciare Israele per l’uccisione mirata di terroristi. Eppure, quando alcuni missili siriani hanno superato il confine turco, non ha esitato a lanciare un brutale attacco militare, in netto contrasto con la riluttanza di Israele a massimizzare le sue capacità di dissuasione in risposta ai missili continuamente lanciati contro i civili israeliani da Gaza.
Erdogan inoltre, non si fa alcuno scrupolo a impiegare i mezzi più feroci per reprimere le proteste e gli sforzi da parte della minoranza curda per raggiungere una maggiore autonomia o indipendenza.
Uno degli aspetti più sconcertanti di questo braccio di ferro è che, nonostante la sua campagna concertata per delegittimare Israele, Erdogan è riuscito a stringere una forte alleanza con il Presidente Barack Obama, che lo descrive come “un partner e un amico eccezionale su un’ampia gamma di questioni”. Erdogan contraccambia, affermando che “da quando Barack è diventato Presidente, abbiamo migliorato lo stato delle nostre relazioni passando da una partnership strategica ad una molto più profonda, sulla quale anch’egli ha riposto molta importanza”.
In seguito alle pressioni del Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, Obama ha accettato di escludere Israele, un paese partner della NATO e membro del Dialogo Mediterraneo della NATO, a partecipare ad un vertice- Nato svoltosi a Chicago. La Turchia ha anche chiesto che le informazioni di intelligence NATO non venissero più trasmesse a Israele.
La Turchia è riuscita a escludere Israele da una riunione speciale del World Economic Forum. Ancora più grave e scandaloso, Obama ha ceduto alla richiesta della Turchia che Israele - il paese occidentale che ha sofferto per il terrorismo di più di ogni altro – non venisse ammesso a un forum globale nella lotta al terrorismo.
Israele può fare ben poco per allentare la tensione. Coloro che suggeriscono che per vincere questa ostilità, Israele dovrebbe prostrarsi e umiliarsi davanti alla Turchia, sono ingenui e incauti. Tale comportamento trasmetterebbe ad un governo islamista aggressivo, debolezza e rassegnazione, e potrebbe solo ulteriormente incoraggiare Erdogan ad avanzare richieste maggiori. Se non siamo in grado di ispirare amicizia è molto meglio ispirare rispetto. I turchi si guarderebbero dal demonizzarci e delegittimarci, se sapessero di poter essere penalizzati. Dobbiamo esigere dal nostro principale alleato, gli Stati Uniti, che non ceda e non si pieghi alle richieste del governo turco.