Maurizio Molinari
A sostenere la tesi che Mitt Romney diventerà il 45° presidente degli Stati Uniti è chi prevede la trasformazione dell’Election Day in un referendum contro Barack Obama, frutto della combinazione fra crisi economica, impoverimento della classe media e delusione popolare per le promesse mancate rispetto al 2008.
I sondaggi
Lo scenario di un massiccio aumento di voti repubblicani è avvalorato dai sondaggi di Gallup, che da sei settimane assegnano a Romney vistosi vantaggi. I rilevamenti di Gallup hanno appurato un aumento di favori del 15 per cento per i repubblicani, rispetto al 2008, e mentre altre società demoscopiche ritengono il dato eccessivo al punto da essere un errore, Gallup ribatte che non è affatto uno sbaglio ma la fotografia di una realtà mutata. Se Gallup va in questa direzione dall’indomani del primo dibattito a Denver, all’inizio di ottobre, Rasmussen ha previsto una sensibile crescita di favori per i repubblicani sin dall’estate, sulla base del maggior «entusiasmo» del loro elettorato. A confermare tale lettura è il Pew Research Center, secondo cui «fra chi ha già votato la competizione Obama-Romney è serrata» indicando un aumento di mobilitazione repubblicana in quanto il voto anticipato vede per tradizione una maggiore partecipazione democratica.
Gli analisti
Michael Barone Karl Rove
A prevedere con certezza che tale dinamica porterà Romney alla Casa Bianca è Karl Rove, l’ex guru politico di George W. Bush, spingendosi anche a indicare il risultato: «Un minimo di 279 voti elettorali». «Il traguardo sarà raggiunto nelle prime ore del 7 novembre» aggiunge Rove, riferendosi alla necessità di aspettare l’esito del conteggio dei voti nelle singole contee di Stati in bilico come l’Ohio. «Sandy ha giocato a favore di Obama ma non basterà a mutare l’esito - aggiunge Rove - Romney vincerà per 1-2 punti, non più per 3». Il politologo Michael Barone, fra i maggiori esperti di presidenziali, si spinge oltre nella disamina degli Stati in bilico: «Romney vincerà facilmente strappando a Obama Indiana, North Carolina, Florida, Ohio, Virginia, Colorado, Iowa, New Hampshire, Pennsylvania e Wisconsin lasciando all’avversario Michigan, Minnesota, Nevada, New Mexico e New Jersey» per un risultato finale di «315 a 223». Ciò che accomuna Rove e Barone è la convinzione che l’Election Day non sarà un testa a testa bensì un risultato netto, schiacciante. Pur con maggiore prudenza Michael McDonald, esperto di flussi elettorali della George Mason University, va nella stessa direzione quando si dice «sorpreso dal livello di affluenza alle urne dei repubblicani nel voto anticipato».
Gli strateghi
Stuart Stevens Rich Beeson
Sono valutazioni che premiano gli sforzi di Rich Beeson, direttore politico della campagna di Romney, e Stuart Stevens, suo principale stratega, accomunati dalla convinzione che la sfida a Obama dovesse essere impostata sin dall’inizio su una ricetta semplice: unire tutti gli scontenti ovvero quel 55 per cento di cittadini secondo cui l’America «va nella direzione errata». Non dunque creare una coalizione di più segmenti dell’elettorato, come in genere i candidati fanno, ma puntare su un unico messaggio nazionale.
Il risultato più importante finora ottenuto è la mobilitazione dei bianchi: per Washington-Abc Romney fra loro ha un vantaggio 57 a 39 per cento, ben 6 punti in più dei 12 che McCain inflisse a Obama, grazie soprattutto alle donne.
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