Gentilissima Redazione,
di solito mi guardo bene dal trattare di temi teologici in contesti deputati a questioni politiche, ma, dopo aver letto la lettera del signor Maurizio Del Maschio "Ecclesia versus Israel", mi permetto, e sento il dovere, di scriverVi sul tema.
Il signor Del Maschio ha, naturalmente, il pieno diritto di ritenere che la Fede cattolica sia del tutto errata e infondata, ma, se accusa la Chiesa di ipocrisia e dissimulazione circa il rapporto con Israele, penso gli siano sfuggite non poche dichiarazioni.
Da ultimo, la (per me bellissima) omelia di Benedetto XVI in data 2 settembre 2012, pubblicata sul sito ufficiale della Santa Sede, vatican.va, ma che ha avuto una certa pubblicità giornalistica, anche su internet e fuori degli ambienti propriamente ecclesiali (v. blog di Repubblica).
Trascrivo le poche righe sul rapporto Chiesa-Israele, segnalando solo che il contesto era il riferimento alla gioia riconoscente di Israele per il dono della Torà ed alla gioia riconoscente della Chiesa per il dono del Figlio di Dio:
"Secondo la nostra fede, infatti, la Chiesa è l'Israele che è diventato universale, nel quale tutti diventano, attraverso il Signore, figli di Abramo; l'Israele diventato universale, nel quale persiste il nucleo essenziale della Legge, privo delle contingenze del tempo e del popolo. Questo nucleo è semplicemente Cristo stesso, l'amore di Dio per noi ed il nostro amore per Lui e per gli uomini. Egli è la Torah vivente, è il dono di Dio per noi, nel quale, ora, riceviamo tutta la saggezza di Dio".
(N.B.: per il senso delle parole "privo delle contingenze del tempo e del popolo", che non sminuiscono Israele, ma, al contrario, ne rispettano la specificità di nazione, non cancellata dal suo ruolo nella storia della salvezza a beneficio dell'intera umanità, si devono leggere i non pochi scritti del card. Ratzinger sul tema dell'Alleanza e sul rapporto Chiesa-Israele).
Questa è la Fede della Chiesa, secondo la Rivelazione che crede di aver ricevuta da Dio stesso (San Paolo dice espressamente che tutti i battezzati sono divenuti discendenti di Abramo: del resto, siamo adottati da Dio come fratelli del Figlio Unigenito, incarnatosi come Figlio di Madre ebrea) e che non nasconde affatto a chiunque sia interessato ad ascoltare.
Quanto alle conseguenze pratiche di tale convinzione, l'ostilità verso Israele, in tutte le sue orribili e anche criminose espressioni concrete, è un tragico dato di fatto storico, ma non è il legittimo o necessario frutto della Fede in Cristo e nella Chiesa quale 'Israele divenuto universale' (o, come mi è sempre venuto da pensare, 'allargato' sino ai confini della Terra, intesa come pianeta).
In effetti, se mi è consentito far riferimento alla mia personale esperienza dall'infanzia (inizio anni Settanta) ad oggi, attraverso un discreto numero di Parrocchie ed esperienze ecclesiali in varie parti d'Italia, ho constatato che ne possono anche derivare, molto più logicamente, un forte amore per Israele, popolo e Stato (quest'ultimo, laicamente inteso), ed un vivo e rispettoso interesse per il pensiero ebraico, sia specificamente religioso che no, motivati proprio dalla consapevolezza che si tratta della propria stessa famiglia: in forza di un'adozione molto controversa e certamente non riconosciuta dalla 'legge del ritorno', ma questo è, semmai, per un cristiano, un incentivo ad amare di più, e con la massima delicatezza, per compensare il fastidio causato dall'inevitabile 'intrusione' a chi non riconosce tale parentela.
Credo che questo atteggiamento vada incoraggiato e spero che diventi la norma per tutti i cristiani, non solo sotto il profilo culturale (devo dire che è per me sempre più raro sentir dire 'gli ebrei facevano' con riferimento a riti e usi ancora attuali), ma anche con riguardo ad una più netta vicinanza allo Stato di Israele (e, in questo caso, più che alla Santa Sede, che ha comunque dei doveri di eguale cura verso tutti gli esseri umani, penso ai semplici fedeli, soprattutto a quelli che operano nella politica, nella cultura, nei mass media).
Un'ultima annotazione: il pensiero ebraico degli ultimi duemila anni è ricchissimo e vanta dei geni, ma l'ispirazione divina, in senso teologico cattolico, è un'altra cosa.
Rinnovando il ringraziamento per la Vostra opera, porgo (anche al signor Del Maschio, che spero non si senta offeso dalle mie considerazioni) i più cordiali saluti,
Annalisa Ferramosca
Nessuna offesa, ci mancherebbe, ma che signifato ha secondo lei la frase del Papa "la Chiesa è l'Israele che è diventato universale, " , se non che la Chiesa ha sostituito Israele a livello planetario ? in altre parole, il cristianesimo a sostituito l'ebraismo. Che poi il Papa si esprima sempre con parole ricche di alti significati morali, questo non esclude delle medesime una lettura storica e politica. Il giudizio comprende poi duemila anni di cristianesimo, nel quali la Chiesa cattolica ha dimostrato nei confronti degli ebrei un comportamento bene esemplicato nella Inquisizione Spagnola. Lei ha ragione a scrivere che i protagonisti erano appartenuti alla stessa famiglia, l'ebraismo, ma la fugura di Gesù è divenuta un simbolo che forse non era sua intenzione diventare.
IC non entra comunque in diatribe di carattere prettamente religioso, ma duemila anni di storia significano molte altre cose, e quelle, a ben vedere, non depongono certo a favore della istituzione romana.
IC redazione