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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.10.2012 Africa, con l'ascesa di al Qaeda e islamisti continuano le violenze contro i cristiani
cronaca di Massimo Alberizzi, commento di Roberto Tottoli

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 ottobre 2012
Pagina: 17
Autore: Massimo Alberizzi - Roberto Tottoli
Titolo: «Sangue e vendetta in Nigeria - Al Qaeda mette radici in Africa. Alto rischio per il Mediterraneo»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/10/2012, a pag. 17, l'articolo di Massimo Alberizzi dal titolo " Sangue e vendetta in Nigeria ", a pag. 30, l'articolo di Roberto Tottoli dal titolo " Al Qaeda mette radici in Africa. Alto rischio per il Mediterraneo ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Massimo Alberizzi - " Sangue e vendetta in Nigeria "


Nigeria

Ennesima domenica di sangue in Nigeria: di prima mattina un terrorista suicida ha fatto esplodere la sua auto imbottita di dinamite nella chiesa cattolica di Santa Rita in Ungwan Yero a Kaduna, nel nord del Paese. Subito dopo è scattata la vendetta dei cristiani che hanno colpito case e negozi dei musulmani, ammazzando a sangue freddo alcuni fedeli di Allah.
Un funzionario del Nema (National Emergency Management Authority) ha confermato che i morti sono almeno 10 ma sul numero di feriti non ha voluto essere preciso: «Decine e decine, almeno un centinaio». Tra gli altri, in condizioni critiche, il sacerdote che stava officiando la messa.
Subito dopo l'attacco suicida è partita la rappresaglia dei cristiani. Armati di bastoni e machete bande di giovani hanno assalito i musulmani e i loro beni. Il guidatore di un mototaxi, creduto seguace dell'islam, è stato bloccato dalla folla inferocita: l'uomo prima è stato picchiato, poi gli è stata rovesciata addosso la sua moto con il serbatoio aperto. Una volta ben inzuppato di benzina, gli assalitori gli hanno dato fuoco. Non è stato l'unico a essere stato ucciso per vendetta, ma la polizia non ha voluto fornire altri dettagli.
Secondo padre Anthony Zaka, dell'arcidiocesi di Kaduna, il terrorista che ha devastato la chiesa doveva conoscere molto bene il posto. Probabilmente l'aveva visitato più volte perché ha scelto un angolo particolare dove immolarsi, per poter causare il maggior numero di vittime. Le chiese in Africa sono spesso in spazi aperti, in grandi parchi dove viene sistemato un altare. Così è quella di Kaduna, dedicata a Santa Rita.
L'attentatore suicida ha superato il cancello ed è entrato nel giardino. Ha poi parcheggiato in una zona che si sarebbe riempita di folla da lì a poco. E' rimasto seduto in auto finché la gente non ha riempito tutto lo spazio disponibile e solo allora si è fatto saltare in aria.
«Cinque persone sono morte sul colpo — ha spiegato padre Zaka — e altre cinque in ospedale per le ferite. Temo che il bilancio potrebbe aumentare perché ci sono parecchi ricoverati in fin di vita».
Nessuno ha finora rivendicato l'attacco, ma fonti diplomatiche non hanno dubbi: «E' da attribuire a Boko Haram», il gruppo islamista radicale che combatte il governo centrale del presidente Goodluck Jonathan.
Ma è sbagliato ridurre la violenza che sta sconvolgendo la Nigeria a una semplice guerra interreligiosa tra cristiani e musulmani. La crisi ha radici più profonde: corruzione, povertà, disoccupazione degrado anche ecologico.
La Nigeria è ricchissima di petrolio (ottavo produttore al mondo e primo africano) ma i proventi restano in mano a poche famiglie di miliardari. La scoperta di nuovi giacimenti a nord, nel bacino del lago Ciad ha moltiplicato i problemi. Sono troppe le mani rapaci che vogliono impadronirsi di quella fortuna. Leader senza scrupoli vogliono destabilizzare il Nord, plagiano i giovani disperati cui promettono lotta alla corruzione e alla miseria, opportunità di lavoro e salvaguardia della natura e dell'ambiente.

Roberto Tottoli - " Al Qaeda mette radici in Africa. Alto rischio per il Mediterraneo "


Roberto Tottoli è uno degli esperti di islam e terrorismo islamico del Corriere della Sera. Prendiamo atto con soddisfazione del fatto che anche lui si è accorto del pericolo di al Qaeda in Africa.
Rimane in noi lo stupore per il ritardo con cui se n'è accorto.
Adesso vediamo quanto tempo impiegherà a rendersi conto dell'avanzata dell'islam in Europa. Gli consigliamo di leggersi gli editoriali del prof.Sartori usciti sul Corriere della Sera diverso tempo fa, analisi che il quotidiano di via Solferino ha ritenuto bene non dovessero avere seguito.
Ecco il pezzo:

A poco più di un anno di distanza dalla morte di Bin Laden, le ultime azioni di al Qaeda e dei jihadisti paiono preludere a un profondo cambiamento negli obiettivi strategici e nelle scelte logistiche. Le crisi irrisolte del Vicino e Medio Oriente (Iraq, Afghanistan, Somalia e Siria) e le nuove possibilità offerte dai mutamenti generati dalle cosiddette primavere arabe nel Nord Africa hanno aperto nuove prospettive. Allo stesso tempo, e in modo sempre più minaccioso, sembrano dettare nuove possibilità di sviluppo, inaspettate fino a qualche mese fa.
La virata più clamorosa è quella strategica. Al Qaeda nacque sulle ceneri della crisi della prima guerra del Golfo, negli Anni Novanta. La sua parola d'ordine era superare la frammentazione dei vari gruppi islamisti dei Paesi musulmani, che voleva unire in nome di un solo obiettivo: attaccare gli Stati Uniti e i suoi interessi ovunque fosse possibile. La reazione occidentale dopo l'11 settembre e le perdite delle roccaforti afghane e pakistane hanno reso sempre più problematica ogni capacità organizzativa e spinto qaedisti e jihadisti a cercarsi nuovi fronti di battaglia. Negli ultimi mesi appare evidente che l'attenzione è invece rivolta al confronto settario e religioso interno ai Paesi musulmani: non più solo attentati contro la presenza o i simboli occidentali, ma soprattutto contro sciiti in Iraq e Siria, e contro cristiani in Nigeria, Pakistan e dove possibile. Sono tutti obiettivi più facili da raggiungere e devono servire al fine di destabilizzare oppure polarizzare tensione e problemi nei termini di uno scontro settario. È troppo presto per dire se si tratta di una scelta tattica, dettata dalle singole cellule nazionali. Il cambiamento è però notevole e rappresenta la fine del progetto globale anti-occidentale di al Qaeda, ma indica, per la prima volta, un suo possibile rafforzamento nelle realtà locali, aprendo ad al Qaeda spazi mai avuti per coordinare e rinforzare gruppi jihadisti sparsi un po' ovunque.
Qualcosa si sta muovendo anche nelle logistica. I movimenti ormai non più nascosti né casuali nell'ampia regione dell'Africa sud-sahariana forse non riflettono una strategia unitaria, però preparano un territorio immenso di instabilità e di possibile sviluppo per il jihadismo, esattamente come fu con l'Afghanistan. Il controllo del Mali, la presenza sempre più forte di Boko Haram nella Nigeria settentrionale potrebbero saldarsi all'instabilità sud-sudanese e alle zone ancor più instabili del Corno d'Africa, Somalia in particolare. La problematica nuova stagione politica dei Paesi del Nord Africa ha poi ulteriormente indebolito ogni controllo sulle frontiere meridionali e offerto sempre più spazio a quelli che fino a poco tempo fa erano gruppi isolati e avamposti forti solo di qualche reduce dal jihad afghano. Tale nuova stagione ha inoltre svuotato le galere di islamisti e attivisti di ogni genere, consegnandoli a una realtà molto più libera, con inaspettati margini di manovra e maggiori disponibilità di denaro proveniente dai Paesi del Golfo e della Penisola araba.
Non stupirebbe affatto se, in tale quadro, l'Africa sud-sahariana diventasse la prossima base logistica di al Qaeda. Non sarebbe la prima volta che necessità difensive impongono un vero e proprio trasloco. Dai campi di addestramento del Sudan degli Anni Novanta vi fu lo spostamento in Afghanistan e solo di recente lo Yemen è divenuta la base principale, proprio per sfuggire all'invasione americana dell'Afghanistan e sfruttando frammentazione e instabilità yemenite. La controffensiva americana, con l'uso di droni e attacchi selettivi, potrebbe alla lunga spingere per un altro radicale cambiamento e la nuova meta sarebbe con ogni logica proprio nell'ampia regione tra Mali e Somalia. Lontano da proclami ufficiali e riflettori, non sarà allora difficile trovare una zona altrettanto instabile, incapace di ogni controllo militare e politico, e magari circondata da regimi amici.
Se ciò avvenisse, al Qaeda e il jihadismo ad essa riconducibile, o comunque alleato strategicamente ad al Qaeda, diventerebbero un problema soprattutto europeo. È l'Europa che è chiamata in prima persona a rischiare instabilità e insidie che arriverebbero fino alle spiagge meridionali del Mediterraneo. In una frontiera che ormai di fatto arriva fino all'Africa nera, segnata da flussi di migrazione che spostano sempre più a sud le barriere all'effettivo spostamento dei popoli, l'Europa è il primo confine occidentale a rischio. Le fragili democrazie del Nord Africa e i regimi dominati dalle Fratellanze musulmane e pungolati dal salafismo più rigido difficilmente potrebbero essere in grado di opporre la necessaria forza di resistenza a spinte sempre di questo tipo. E quella al Qaeda che la morte di Bin Laden e le piazze arabe del 2011 parevano avere ormai seppellito definitivamente potrebbe risorgere, a fianco dei vari gruppi jihadisti, con nuovi obiettivi, nuove forze e soprattutto con l'Europa per vicina di casa.

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