E' tutto relativo ?
di Federico Steinhaus
Federico Steinhaus
Scriviamo quotidianamente di omissioni e disinformazione sul conto di Israele e può sembrare che vi sia una netta linea di demarcazione fra informazione e disinformazione, fra giornalismo serio ed omissivo. Non è sempre così, invece, ed alcuni esempi possono aiutarci a capire quanto siano sfumati questi confini.
1) L’ultimo dibattito fra Obama e Romney aveva per tema la politica estera, dunque in primo luogo Afghanistan, Pakistan, Iran, Siria e di riflesso l’alleanza degli Stati Uniti con Israele. Sappiamo che gli ebrei americani, pur non essendo compatti ed omologabili sulla politica dei governi israeliani, costituiscono una delle lobbies (che negli USA sono legittime, accreditate e controllate) più influenti. In campagna elettorale è pertanto importante schierarsi al fianco di Israele, indipendentemente da quanto potrà poi essere la linea politica reale del nuovo presidente.
I media arabi si sono sbizzarriti con articoli e vignette a sottolineare questa influenza che pare (ma non è) condizionante per l’elezione del presidente. Sono tutti commenti anti-israeliani e magari antisemiti? La risposta è no, fino a che restano sul piano dell’analisi oggettiva di una situazione. La vignetta nr.1 è di questo tipo, mentre lo stesso concetto viene illustrato con toni antisemiti nella vignetta nr.2, in cui un ebreo caricaturale secondo gli abusati schemi medievali approfitta della situazione per annientare l’Islam (vignette in alto a destra).
2) In base ad un recente sondaggio israeliano il 48% degli israeliani è contro l’annessione dei territori palestinesi, il 38% la vorrebbe ed il 36% è favorevole ad uno scambio di territori (quelli d’Israele abitati da una solida maggioranza araba allo stato palestinese, in cambio dei principali insediamenti israeliani in territorio palestinese). Nell’eventualità, estremamente remota, di una annessione totale dei territori palestinesi ad Israele, invece, il 69% degli israeliani sarebbe contrario alla concessione del diritto al voto ai palestinesi (poiché concedendolo sarebbero di fatto i palestinesi, numericamente in maggioranza, ad eleggere i governi israeliani).
Benché questa sia una ipotesi del tutto improbabile, e dunque anche il parere espresso dagli israeliani interrogati sia del tutto avulso da uno
scenario politico possibile, il quotidiano israeliano Haaretz ha presentato il sondaggio titolando che “la maggioranza degli israeliani vorrebbe uno stato di apartheid”.
Se lo avesse fatto un qualsiasi altro giornale non israeliano, grideremmo giustamente allo scandalo e lo accuseremmo di grossolana falsificazione. Avendolo fatto Haaretz, solamente Honest Reporting ha protestato.
3) Il medesimo giornale Haaretz ha illustrato la notizia che un’impiegata (neppure ebrea) della Federazione ebraica di New York è sotto processo per aver rubato qualcosa come 2 milioni di dollari con una fotografia di ebrei ortodossi, vestiti di nero, in una strada della metropoli. In questo modo Haaretz si è piegato allo stereotipo molte volte segnalato per cui la fotografia di ebrei ortodossi accompagna notizie su Israele completamente avulse dal contesto religioso, distorcendo con questi accostamenti arbitrari il senso delle cose.
Se lo avesse fatto un giornale non israeliano avremmo sicuramente protestato.
Qualcosa di simile sta, forse, accadendo anche in campo arabo. Lo scorso 26 luglio una trasmissione satirica della televisione palestinese si è fatta gioco dell’abitudine da accusare Israele di ogni male: una donna rimprovera il suo fidanzato di ingannarla perché arriva in ritardo, e lui dà la colpa ai posti di blocco israeliani. Lo stesso concetto è stato espresso il 13 agosto in un articolo di Al-Quds a proposito dei perenni disservizi e degli alti costi delle forniture di energia ed acqua.
Ma queste sono speranze mal riposte. Nulla cambia realmente nell’atteggiamento palestinese verso Israele. Nel 2011 e 2012 il presidente Abbas ha negato 97 volte l’esistenza del Tempio di Gerusalemme, con ciò negando anche ogni legame religioso e storico degli ebrei con quella terra. Non si contano le celebrazioni elogiative dei “martiri” che negli anni passati hanno ucciso civili israeliani, additati ad esempio per “liberare” la terra sacra all’Islam ed al popolo palestinese.
Dunque, esiste una risposta alla domanda iniziale: è tutto relativo? Certo, molte volte dobbiamo ragionare su “chi” dice “cosa”: la medesima affermazione ha un valore diverso se a farla è un amico piuttosto che un nemico o anche sotanto un estraneo. Accompagnare una notizia di cronaca con una immagine che faccia percepire Israele in modo negativo (il soldato assorto in preghiera accanto al suo carro armato, un posto di blocco con una donna incinta in attesa di passare) è il risultato di una pessima abitudine giornalistica che ha la sua radice nell’ avversione a priori nei confronti di Israele, ma come si è visto può anche essere frutto di una innocente disattenzione. Sta a noi lettori avere la capacità di distinguere e di valutare. Non è invece altrettanto innocente ed innocuo l’uso costante di stereotipi negativi, di accuse fantasiose e di falsificazioni di cui si rendono colpevoli i nemici tradizionali di Israele, i cultori del pregiudizio antisemita e quanti sono contigui a costoro. Esattamente come non è innocente né innocuo il silenzio dei media quando, come è successo mercoledì scorso, Hamas lancia da Gaza su Israele oltre 70 kassam in un solo giorno, salvo poi evidenziare che Israele ha ucciso un paio di “militanti” mentre ne lanciavano uno.