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Il Foglio Rassegna Stampa
25.10.2012 Elezioni americane, in attesa del 6/11
commento di Mattia Ferraresi

Testata: Il Foglio
Data: 25 ottobre 2012
Pagina: 1
Autore: Mattia Ferraresi
Titolo: «Il 'momentum' di Romney dura e i dems si spaventano»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 25/10/2012, in prima pagina, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo "  Il “momentum” di Romney dura e i dems si spaventano".


Mitt Romney con Barack Obama         Mattia Ferraresi

New York. Nel racconto dei grandi giornali italiani la figura prevalente è quella dell’ammissione a denti stretti: Mitt Romney è in vantaggio, si scrive, ma la concessione è circondata dalla cautela con cui si pronunciano verità inaccettabili, oppure posata sulla bambagia degli errori dei sondaggi (dopo i candidati, quella dei sondaggisti è la categoria di americani più sotto pressione) per convincere (e convincersi) che Barack Obama è l’uomo che per definizione non può perdere, dunque ci dev’essere qualcosa di sbagliato in quei grafici che da oltre due settimane mettono il nome dello sfidante davanti a quello del presidente in carica, almeno a livello nazionale. Nemmeno due dibattiti vinti su tre sono riusciti a compensare quell’unica, schiacciante vittoria messa a segno da Romney a Denver, quella che ha inaugurato un “momentum” che non ha l’aria di un passeggero refolo di vento, ma di una tendenza stabile che gli incontri vinti ai punti non sono in grado di fermare. A livello nazionale l’istituto Gallup dà Romney in leggero vantaggio per quanto riguarda gli elettori iscritti alle liste di partito e di tre punti sui “likely”, quel campione di americani che pur non essendo associati formalmente ad alcuna fazione molto probabilmente andranno alle urne il 6 novembre; il sito Real Clear Politics, che aggiorna costantemente la media dei sondaggi più autorevoli, dice che Romney ha un vantaggio minimo ma stabile. Che il vento soffi nelle vele dei republicani è un dato inequivocabile, corroborato da numeri non occasionali e che va messo nel contesto di un generale “surge” di entusiasmo per un candidato che tutto prometteva tranne generare passioni popolari. Da qualche settimana i comizi dello sfidante non si presentano più come adunate di un manipolo di irriducibili, o di una claque, ma come eventi politici con buone dosi di coinvolgimento e persino qualche scarica di adrenalina. Non è un fattore secondario nello spettacolo pirotecnico della politica americana. D’altra parte c’è però un vecchio detto che ora è sulla bocca di tutti: “Alle elezioni si vota per il presidente dell’Ohio, non per il presidente degli Stati Uniti”. Per arrivare alla Casa Bianca bisogna racimolare 270 grandi elettori, e per farlo occorre vincere negli stati che contano, gli swing state, e il voto degli elettori di Ohio, Florida, Virginia e via dicendo è più pesante di quello espresso in California o in Texas. L’elezione di Bush nel 2000 ricorda che non sempre il voto popolare coincide con quello elettorale, e il divorzio fra le due misure alimenta un dibattito ciclico sull’effettiva rappresentatività del sistema elettorale. E’ questo l’incubo peggiore di Romney: capitalizzare a tal punto il “momentum” da convincere la maggioranza degli americani a votare per lui, ma una maggioranza generica, non adeguatamente distribuita nei distretti che fanno la differenza. Una beffa, insomma. Chi si domanda perché nell’ultimo dibattito Romney abbia ripetuto così tante volte “I agree” e abbia proposto una visione così simile a quella dell’avversario, deve cercare la risposta nella logica del collegio elettorale.

Il modello Nate Silver

E’ su questo terreno che si muovono i più ostinati negazionisti della rimonta di Romney (anche se a questo punto chi cerca la rimonta è Obama) e trovano conforto in quello che ormai è definito soltanto il “modello Nate Silver”. Silver, l’uomo del New York Times che studia i numeri elettorali, ha messo a punto un modello di previsione basato più sui sondaggi nei singoli stati che sui rilevamenti nazionali: in Ohio, Florida, Virginia, Colorado e North Carolina, Romney ha avuto una leggera rimonta, ma per Silver non è abbastanza e il suo modello ponderato assegna a Obama 288 grandi elettori il 6 novembre. Naturalmente i repubblicani dicono che in queste due settimane di campagna compulsiva soltanto negli swing state le cose possono cambiare, che l’America è piena di elettori indecisi e cercare di prevedere un risultato in Ohio è roba da cartomanti nelle televisioni locali, ma chi non riesce ad accettare l’idea che Obama possa perdere (la sola possibilità dà un brivido ai benpensanti di tutto il mondo) può salire sul carro di Silver e sperare assieme a lui che Romney il 6 novembre divenga incoronato novello Al Gore, elettoralmente parlando.

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