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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Foglio Rassegna Stampa
25.10.2012 Ehud Barak : 'Tassare i ricchi, compreso me'
inizia la campagna elettorale ?

Testata: Il Foglio
Data: 25 ottobre 2012
Pagina: 3
Autore: Redazione del Foglio
Titolo: «La fine dei kibbutz»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 25/10/2012, a pag. 3, l'editoriale dal titolo "La fine dei kibbutz". Un titolo giusto se avesse aggiunto quanto segue: " di come era un tempo". Altrimenti può far pensare che la 'fine del kibbutz' sia riferita ad oggi, mentre la verità è l'opposto, oggi i kibutzim vivono una nuova giovinezza, è cambiata solo la loro economia.


Ehud Barak

Le tasse ai ricchi arrivano anche in Israele, all’inizio della campagna elettorale in vista del voto del 22 gennaio prossimo. A invocarle è stato Ehud Barak, potente ministro della Difesa: si deve trovare un modo per tassare i ricchi, “compreso me”, ha detto Barak. La tendenza è globale: le tasse ai ricchi sono già concrete in Francia – e c’è un riccone come Karl Lagerfeld che dice che il presidente francese Hollande è “un imbecille”, testuale – e sono in discussione nell’America che va al voto tra un paio di settimane. Nel resto d’Europa, e nella sempre più isolata Inghilterra, se ne discute, si alzano aliquote, si tratta la ricchezza come il massimo peccato da condannare. E’ difficile che i leader parlino di loro stessi, pur essendo spesso definibili ricchi (se non milionari), e la proposta di Barak, quel “compreso me”, spicca ancora di più. Ma spicca soprattutto perché riguarda Israele: le proteste degli “indignati” di Tel Aviv avevano già rivelato negli anni scorsi che il disagio economico, chi sta bene e chi sta male, è arrivato in Israele. Ma la proposta di Barak ci dice anche della crisi profonda del kibbutz e di quell’Israele ugualitaria e progressista che ha fatto – letteralmente – il paese. Il Barak di oggi, legittimamente arricchitosi lavorando come advisor per una serie di multinazionali straniere che sgomitavano per averlo nei consigli di amministrazione, poco somiglia a quello di Mishmar Hasharon, il kibbutz che i suoi genitori nel 1933 contribuirono a fondare con un gruppo scelto di pionieri russi e polacchi. Siamo nell’Emek Chefer, la zona verde fra Netanya e Haifa che i pionieri socialisti prosciugarono dalla palude e dalla malaria e dove il futuro ministro della Difesa è nato e cresciuto. Posti dove un tempo a riempire la pancia bastavano le discussioni ideologiche sui “pionieri”. Il movimento dei kibbutzim ha da poco compiuto cent’anni, ma di quell’esperienza gloriosa e foriera di verità ebraiche resta, oltre a qualche kibbutz meta del nuovo turismo ecologico, l’immagine di Ehud Barak e di una sinistra israeliana che da tempo stenta a ritrovare se stessa. Questo laburismo è stato accusato di essere elitario, supponente e refrattario a qualsiasi contatto “con le masse” e il simbolo spesso citato è il lussuoso attico di Barak nel celebre grattacielo Akirov di Tel Aviv. L’altra faccia della normalizzazione.

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