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Il Giornale Rassegna Stampa
24.10.2012 Maria Bashir, ritenuta paladina dei diritti della donna in Afghanistan, li calpesta ogni giorno
definita da Michelle Obama e Hillary Clinton 'donna di coraggio'. Che coraggio ?

Testata: Il Giornale
Data: 24 ottobre 2012
Pagina: 16
Autore: Eleonora Barbieri
Titolo: «La donna coraggio? Manda in galera le donne afghane»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 24/10/2012,a pag. 16, l'articolo di Eleonora Barbieri dal titolo "La donna coraggio? Manda in galera le donne afghane".


Maria Bashir fra Michelle Obama e Hillary Clinton

Maria Bashir, primo procuratore generale donna nella storia dell'Afghanistan, insignita del premio "Women of Courage". Definita da Hillary Clinton e Michelle Obama "campio­nessa della trasparenza giuridica e dei diritti femminili, esempio della resistenza delle donne afgha­ne". Fantastico.
Peccato sia solo l'ennesima figuraccia dell'amministrazione Obama.
Si è scoperto che la 'campionessa di trasparenza giuridica e di diritti femminili' è più che altro campionessa di incarcerazione di donne accusate di 'adulterio', accusa che viene data alle donne stuprate, alle donne sequestrate, a quelle che, semplicemente, vogliono una vita normale e si permettono di avere rapporti sessuali prima del matrimonio.
Un bell'esempio di campionessa, non c'è che dire. Ma più campionesse ancora sono state Clinton e Obama a pubblicizzarla tanto e a darle una mano nel suo lavoro di discriminazione e repressione dei diritti delle donne afghane, che in Maria Bashir non hanno trovato un aiuto, ma l'ennesimo carnefice.
Maria Bashir, donna di coraggio, sì, perchè ce ne vuole proprio, di coraggio, ad essere donna e mandare in carcere per adulterio un'altra donna perché è stata violentata, in nome del 'rispetto della legge'.
Ecco il pezzo:

L'hanno premiata, elogia­ta, portata in palmo di mano sul palcoscenico: lei, donna coraggio, donna che di­fende i diritti­delle donne in un Pa­ese dove donne e diritti sono abu­sati ogni giorno.
Maria Bashir è di­ventata il simbolo dell’Afghani­stan che l­otta per uscire dal medio­evo della violenza talebana e triba­le, primo procura­tore generale di sesso femminile nella storia del suo Paese. La sua carica ha fatto scalpore, il suo la­voro a Herat dal 2006 è stato sotto i riflettori del mon­do e dei m­edia co­me una favola bel­la: lei minacciata, insultata, che vi­ve sotto scorta, ma che combatte senza paura con­tro la corruzione, il crimine, gli abu­si quotidiani e fa­miliari sulle don­ne. E però la fine della favola sem­bra più cinica del­l’inizio: c’era una volta Maria Bashir, sì, la prima procuratrice generale afghana, che però è an­che quella che imprigiona più donne nel suo Paese, e proprio per quei «crimini morali» che per l’Occidente sono i più odiosi, e i più difficili da estirpare. La donna che accusa le donne. Che le man­da in galera. Che è più dura degli uomini.
Il record choc di Maria Bashir è stato rivelato dal
Times, ma i nu­meri sono del ministero dell’Inter­no afghano: la provincia di Herat è quella dove si trova più della metà delle donne finite in carcere con l’accusa di«zina»,cioè per rappor­ti sessuali fuori dal matrimonio (pre o extra). Sono 101 «colpevoli» su 172 in tutto il Paese, oltretutto in un’area che non è molto popolo­sa ( a Herat abita il 20 per cento del­la popolazione totale). Una spro­porzione. In tutto nelle prigioni della provincia sono rinchiuse 136 donne:101,appunto,per adul­terio. Non solo. Anche un terzo delle afghane condannate per omicidio (78 in tutto) sono state perseguite proprio da Bashir. In­somma le difende o le fa arresta­re? È una paladina dei diritti fem­minili, ma solo a intermittenza? Chi si aspettava intransigenza, o almeno comprensione per le «al­tre » ha sbagliato i conti. Come spesso succede quando una don­na giudica le altre donne. Da parte sua Bashir ha risposto al Times con toni poco combattivi: si è sor­presa, ma ha dato la colpa all’in­fluenza culturale dell’Iran, che sta proprio al confine con la pro­vincia di Herat. E ha aggiunto: «Dovremmo essere tutti felici quando rendiamo giustizia. Fa parte del nostro lavoro». Ma certo non è per questo genere di «rende­re giustizia » che Bashir è stata tan­to applaudita, non è per le condan­ne alle «adultere» (magari donne scappate da famiglie violente, che per vendetta poi le accusano di «zi­na », magari donne stuprate o se­questrate) che Michelle Obama e Hillary Clinton l’anno scorso le hanno dato il premio «Women of Courage» (definendola «campio­nessa della trasparenza giuridica e dei diritti femminili, esempio della resistenza delle donne afgha­ne »),o che Time l’ha inseritanella lista delle cento signore più in­fluenti del pianeta.
È un luogo comune che le più se­vere con le donne siano proprio le femmine (non solo al potere), ma come si spiega la trasformazione di Bashir da guerriera per la giusti­zi­a a persecutri­ce
delle più de­boli? Bashir che lottava con­tro l’orr­ore del­le spose bambi­ne; che sotto i talebani si in­ventò una scuo­la clandestina per le ragazzi­ne, che andava­no a cas­a sua con carta e penna na­scoste nelle borse della spesa; che ha dovuto mandare un figlio a stu­dia­re in Europa e deve tenere gli al­tri due segregati in casa per paura di attentati; che vive sotto minac­cia di morte. E che poi, quando si trova davanti una donna come «colpevole» è più intransigente dei colleghi maschi. E fa sembrare la favola una banalità: una donna che non perdona mai, alle altre donne.

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